4.8.17

la realtà fa ancora paura agli ambienti ecclesiastici e non solo . Il caso della fotografa irene picozzi che è costretta a scrivere al pontefice


L'artista   Irene Pigozzi  non  è  nuova  " agli scandali  "  e  alle provocazioni   (  ovviamente  non volgari  )  artistiche   ecco   lla  sua precedente    provocazione  

ecco una  delle    foto in questione

L'immagine può contenere: una o più persone, matrimonio e spazio al chiuso

Ora  vedendo  questa  foto   sono della stessa  considerazione    espressa  in merigto  al fato prima citato      da 

 [.....]   Opere semplici, delicate e innocue. Che ritraggono coppie gay nel giorno del loro matrimonio. Due uomini, due donne. Vestiti, vicini, romantici. 
Ora io non mi vergogno per la pochezza altrui. Semplicemente la pochezza altrui mi rende furiosa, perché la censura di un'artista dovrebbe far ribollire il sangue, perché spegnere la voce di un'artista significa impedire il contagio della crescita, della bellezza, del pensiero libero. In una città normale, ci si radunerebbe tutti sotto la questura a chiedere che quel progetto sia di nuovo messo a disposizione di tutti. In una città normale, si dedicherebbe spazio a Egle Picozzi e agli artisti tutti. 

Mi piacerebbe che Oristano venisse nominata da GianLuca Nicoletti della Stampa per altri edificanti motivi e non per questa squallida censura omofoba di qualche misero mentecatto e dei suoi seguaci puritani. A cui dedico tutto il mio disprezzo. Col mio nome cognome e la mia faccia. 
Chissà perché questi stronzi il nome e il cognome non ce lo mettono mai.

  e  soprattutto    come dimostrano alcuni  commenti all'articolo  dell'unione sarda  ( vedere  le  righe  successive  ) )  presenti  sulla pagina fb    del  quotidiano  . dimostrano    come      affermo nel  titolo  come  il descrivere la realtà  crei ancora  scandalo


Andrea Pala il peccato in questo caso sta nella sontuosita' delle chiese, quindi eventualmente doveva essere la fotografa e rifiutare che un gesto così grande fosse fatto in un luogo di discutibile eticità
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Marco Scotto Atti pubblici in luoghi osceni
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Giorgio Tromba ahahah😈
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Walter Sanna che stronzate.......conoscete il significato del rispetto?
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Giannino Bastone Il fatto che un gesto naturale sia forzato in un posto come in Chiesa mi sa tanto di provocazione voluta
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6 hModificato
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Andrea Pala differenza tra una foto ed un dipinto rinascimentale?
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    dopo   questa premesssa     vediamo  , alla   emìn essima  chiusura  mentale  , anche  se  qualcosa  (  e  ci voleva una lettera  al papa  😐😔😓 ) pare  si stia  muovendo .  vi terrrò  informati  


Per   ora   gli  è  stato negato ( e   qui la decisione  di rivolgersi  al Santo Padre )  dalla Commissione d'arte sacra della Diocesi di Oristano, nonostante l'assoluto lirismo e la forte sacralità, forse perché ritenuto "osceno"? ... L'artista scrive a Papa Francesco che, nella Cappella Sistina, non nel Duomo di Oristano, così si rivolse alle mamme e ai loro bambini: “Quando un bambino piange perché ha fame, alle mamme dico: se il tuo bambino ha fame, dagli da magiare anche qui, 
con tutta libertà”.


L'Unione Sarda.it » Cultura » Allattamento, no all'opera che ritrae in chiesa una mamma col bebè
CULTURA » SAN VERO MILIS
Allattamento, no all'opera che ritrae in chiesa una mamma col bebè
Oggi alle 10:06


Egle Picozzi con alcune opere





Papa Francesco lo aveva detto durante un'omelia: «Quando un bambino piange perché ha fame, le mamme possono pure allattarlo in Chiesa». E l'artista Egle Picozzi prende spunto per un progetto che cullava da tempo: fotografare una donna che allatta in una chiesa della città. Un modo per rendere omaggio e al tempo stesso attualizzare la Madonna del latte , opera consacrata nell'arte con tanti dipinti. Ma per ora è stato possibile realizzare solo un fotomontaggio. La Chiesa sembrava aver negato l'autorizzazione, ma l'artista trentasettenne non si è persa d'animo e ha scritto una lettera a Papa Francesco . E adesso si apre uno spiraglio anche da parte dell'arcivescovo Ignazio Sanna.
IL PROGETTO - "Volevo realizzare un omaggio alla Madonna del latte, rendendo questa icona contemporanea e legata ad un concetto molto alto di libertà - spiega Egle Picozzi - e così ho pensato di ritrarre una donna che allatta in chiesa, il luogo ideale per rappresentare una Madonna del latte: è come riportarla al suo luogo originario".
LE RICHIESTE - L'artista si è rivolta a vari parroci, ma ognuno rimandava all'autorizzazione dell'arcivescovo. "Ho inviato una richiesta all'arcivescovo Sanna - racconta - ma la mia proposta non è stata accolta". E così l'artista decide di rivolgersi direttamente al Santo Padre, spiegando le sue intenzioni in una lettera: "Sono sempre stata affascinata da un tema ricorrente nella storia dell'arte con la Madonna che allatta, un'opera dal carattere intimo e materno che esprime la natura umana e divina insita in Cristo". Egle Picozzi ribadisce che si tratta di uno scatto naturale senza alcuna volgarità che ritrae "un gesto dolce e delicato che da sempre caratterizza la vita". In attesa di un segnale dal Vaticano, l'artista ha realizzato un fotomontaggio esposto in pinacoteca nell'ambito della mostra "The Brig", in occasione del festival Dromos.




Il fotomontaggio con la rivisitazione in chiave moderna della Madonna del latte



L'ARCIVESCOVO - L'arcivescovo Ignazio Sanna intanto chiarisce che è necessario coinvolgere la Commissione diocesana per valutare il progetto. "Forse la fotografa ha interpretato la mia risposta come una negazione dell'autorizzazione, per me personalmente non c'è nessun problema se si volesse realizzare questo progetto". Ma serve appunto il parere della commissione diocesana. Anche don Ignazio Serra, parroco di San Vero Milis, sarebbe felice di accogliere un progetto simile. "Se l'arcivescovo lo autorizza, sono d'accordo - spiega - la nostra Madonna di Spagna è una Madonna del latte. Il gesto dell'allattamento è un gesto d'amore". Anche l'insegnante di storia dell'arte Maria Antonietta Motzo ricorda che il tema della Madonna del latte è frequente nella storia dell'arte: "Ne abbiamo tante testimonianze nell'arte spagnola ma anche in quella italiana - osserva - se il progetto vuole far riflettere e lanciare un messaggio sul ritorno alla naturalità ben venga. Del resto il ruolo dell'arte è anche quello di lanciare provocazioni".


e  qui  sotto    tratto  da  

il testo della   sua  bellissima lettera  al pontefice 



LA LETTERA DI EGLE PICOZZI A PAPA FRANCESCO







diAmbrogio Lorenzetti,
 Madonna del Latte, 1324-25,
Egle Picozzi, Madonna del latte, 2017  buil  suo per  ora  fotomontaggio
Alla Cortese Attenzione  Siena, Palazzo Arcivescovile

Sua Santità Francesco

Mi rivolgo a Sua Santità, speranzosa che la mia richiesta venga accolta e valutata positivamente.
Mi chiamo Egle Picozzi, sono una fotografa e sto attualmente lavorando ad un progetto artistico sulla libertà di espressione.
In questo caso, mi rivolgo a Sua Santità, dopo aver tentato di fare richiesta analoga già ai parroci e all’Arcivescovo della mia città, Mons. Ignazio Sanna, ma mi è stata negata la possibilità, con la seguente affermazione:
“La sua proposta non può essere accolta, perché non c’è possibilità di armonica integrazione con l’esistente.”
Mi spiego, l’argomento di mio interesse è l’allattamento materno, esattamente come la storia dell’arte ci insegna, con le sue numerose Madonne del latte.
Sono affascinata dalle raffigurazioni artistiche che parecchi artisti, nel corso dei secoli, hanno dedicato alla Madonna che allatta, opera dal carattere intimo e materno che vuole esprimere la natura umana insita in Cristo assieme a quella Divina, che nel tempo è diventata simbolo di sollievo alle sofferenze delle anime del Purgatorio.
Il mio intento è quello di omaggiare questa importante icona, rendendola contemporanea e legata ad un concetto molto alto di libertà, ritraendo una mamma che allatta il proprio bambino.
Prendendo appunto esempio dalle parole di Sua Santità:
“Quando un bambino piange perché ha fame, donne allattate pure in Chiesa.”
A questo proposito, chiedo il permesso e la possibilità, per questo mio scatto del tutto naturale, privo di volgarità e caratterizzato dall’eleganza del gesto materno, di poter utilizzare come ambientazione l’interno di una chiesa della mia città.
D’altronde non sto violando nessuna legge e nemmeno suscitando atti osceni, si tratta di un gesto dolce e delicato, che da sempre caratterizza il Creato e la stessa Vita.
Il fine di questo lavoro fotografico, è quello di inserirlo all’interno di un contenitore di informazione, sia per quanto riguarda la rappresentazione storica della Madonna del Latte, sconosciuta a molti, sia dal punto di vista contemporaneo della possibilità/libertà di un gesto del tutto amorevole verso il proprio figlio, pubblicandolo nel mio portfolio fotografico.Con la speranza di essere riuscita a spiegare chiaramente il mio intento,non posso che augurarmi in una risposta positiva.
La ringrazio anticipatamente per l’attenzione  e mi scuso se Le ho recato disturbo
Con ogni migliore augurio a Sua Santità.
Un saluto affettuoso,Cordialmente  Egle Picozzi

3.8.17

NON chiamatelo RAPTUS ma FEMMINICIDIO

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Dopo la  lettura  di questo articolo  riportato  da Daniela  Tuscano  sulla  nostra pagina facebook  (  appendice  del blog  )   

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profili-della-violenzaAncora oggi dobbiamo parlare di femminicidio. E questo avviene in  Friuli, zona di buon livello culturale e con ampi contatti con paesi europei. Non possiamo quindi invocare tradizioni arcaiche verso la figura femminile che comunque le leggi hanno cancellato. Oggi la violenza di genere è ritenuta violazione dei dritti umani.Eppure il femminicidio in Italia è aumentato del 15% dal 2013 ad oggi.
Perché avviene questo?Perché a fianco di una sempre maggiore evoluzione culturale e professionale della donna, assistiamo a reazioni inadeguate dell’uomo, che percepisce spesso una ferita al proprio narcisismo questi successi. Fate attenzione! Il narcisismo è una caratteristica che abbiamo tutti e ci permette di sviluppare autostima. Ma se degenera nella patologia, dovremo affrontare una totale mancanza di empatia e di autocritica. Non parliamo quindi di raptus, scientificamente inesistente!!! Parliamo di persone che strutturano un’immagine di sé idealizzata e onnipotente  e quindi non possono tollerare un rifiuto.Studiosi di psicologia ( es. Kernberg) legano l’aggressività ed il sentimento di odio alla struttura della personalità narcisistica.Se abbandonati o delusi, mostreranno un’apparente depressione per attirare interesse, ma in realtà provano rabbia e risentimento  con desideri di vendetta  e mai una vera tristezza per la perdita. Questo aspetto è molto importante  se si analizzano i rapporti affettivi  e le conseguenze di eventuali crisi. Perché mi dilungo su questi aspetti? Perché voglio negare parole come “ evento inaspettato e imprevedibile”. Perché queste persone risultano spesso gradevoli e affascinanti, ma se il loro potere nella relazione affettiva viene messo in discussione , la violenza si manifesta immediata.E aggiungo: l’episodio estremo non è mai isolato, spesso è stato preceduto da comportamenti che dovrebbero essere un campanello d’ allarme. E allora vorrei sottolineare; anche in assenza di un evidente danno fisico ci sono motivi per una denuncia. E’ importante rendere noto che i mutamenti che sono stati introdotti nel diritto hanno portato ad attribuire  un nuovo peso ed un nuovo ruolo al danno psichico ed a questo proposito gli articoli del codice penale sono molto chiari nello stabilire quali atti o comportamenti sanzionare.
           (Amelia Alborghetti per SeNonOraQuando?Udine Associazione)
chiedo alle femminste in particolare a Daniela Tuscano E'  vero  che  il termine raptus è abusato dai media e dala mentalità della gente ,  e   che  : <<  Quando parliamo di “raptus”, mettiamo la violenza inaudita, quella imprevista, impulsiva sotto il consenso terminologico.>>   e   che   <<  (...)  È un termine abusato da chi stila perizie, per vanificare la colpa di chi commette azioni di grande violenza. Bisognerebbe spolverare i sussidiari di educazione civica che tanto amavo quando ero bambina e rieducare la civiltà affinché questo non accadesse. Non bisogna giustificare l’efferatezza di un crimine, la prevaricazione contro i più deboli. Giustificare è come avallare l’idea che la violenza si può “accettare” di più se commessa in un momento di pazzia. (... )  da    questo articolo  di   Monica Capizzano preso da http://www.ilcarrettinodelleidee.com/
 ed sono pochissimi 1- 2 % quelli che uccidono o fanno violenze sulle donne per effettivi problemi psichici .Qualora ci fosse un omicidio o tentato omicidio della partner , cosa più unica che rara uno sue un milione , e per mano di tali persone , come descriverlo ?continuare a definirlo raptus o metterlo nella piaga nei femminicidi 

  ecco la  sua  risposta    

Daniela Tuscano Dai, c'è scritto chiaramente. Ancora wui a menarla col raptus? Da anni gli specialisti lo ripetono e poi la dinamica degli assassini fa pensare a tutto tranne che a un raptus. Del resto, se di raptus si tratta, significa che moltissimi maschi hanno una tara nel cervello visto che siamo a 45 donne ammazzate dall'inizio dell'anno. Quindi se i maschi sono vittime di "raptus" significa che non sanno controllarsi e sono più vicini alla bestia che all'essere umano. Vedi tu se è il caso di continuare con questa minkiata del raptus. Sono femminicidi di individui che non sopportano la libertà delle compagne, punto e basta.
Rispondi1 h
Gestire
Giuseppe Scano ok . era solo un dubbio
Gestire
 oltre  alcuni url  in particolare qullo  citato nelle righe  precedenti  che riporto sopra  
  

Studentessa di Medicina, aveva compromesso la sua salute con 'annoresia ma La promessa di un book fotografico l’ha convinta a guarire

un esempio di  come l'arte  , in questo caso la  fotografia  , possa  aiutarti  e   salvarti la  vita

da http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/08/03

Spenta dall’anoressia Francesca “risorge” davanti all’obiettivo


Studentessa di Medicina, aveva compromesso la sua salute La promessa di un book fotografico l’ha convinta a guarire

MONSELICE
Sono passati mesi da quando il fotografo Manuel Favaro, noto per i suoi meravigliosi scatti dei Colli Euganei, ha proposto alla giovane Francesca, in pieno periodo di cura per liberarsi dalla “bestia nera” dell’anoressia, di fare un servizio fotografico “come si deve” solo una volta ristabilita: questo piccolo incentivo alla guarigione ha funzionato e ora la ragazza, bella e solare come non mai, posa sorridente negli scatti che sono il coronamento di un percorso duro e difficile affrontato con forza e determinazione.



Non è stato di certo facile uscire da quel “tunnel” mentale che è l’anoressia ma la ventiquattrenne monselicense Francesca Bertazzo, studentessa di Medicina e Chirurgia, ce l’ha fatta, ha vinto la sua battaglia«Avevo cominciato a mangiare poco» racconta, «nel maggio-giugno 2015 in concomitanza di un esame importante e con la perdita del lavoro di mio padre. Ho iniziato con una banale dieta, iniziando a togliere quegli alimenti che consideravo iù calorici. Utilizzavo un’app conta calorie in cui annotavo ogni cosa e non andavo sopra le 1000 Kcal (il fabbisogno giornaliero è di 2000 Kcal). La cosa è stata piuttosto subdola e lenta e io non mi rendevo conto di mangiare poco e male fino a raggiungere i 42 chili
Tenendo conto che sono alta 1, 70 è poco, avevo un indice di massa corporea di 14, 8 e quindi un sottopeso grave». La salvezza di Francesca è stata rivolgersi al Centro Disturbi Alimentari di Padova, dove è stata seguita sotto il profilo psichiatrico e nutrizionale. «Ho avuto la fortuna» conferma, «di trovare medici competenti ed empatici che hanno saputo “prendermi” nella giusta maniera e con tanta pazienza indirizzarmi verso il riacquistare la salute fisica e mentale e un rapporto sano con il cibo». Le conseguenze dell’anoressia si ripercuotevano su tutto il corpo: «Avevo una pressione bassissima» spiega Francesca, «il mio cuore batteva lentissimo, soffrivo di parestesie, facevo veramente molta fatica a studiare e ricordare le cose perché non avevo energie. Ero diventata apatica, senza emozioni, l’unica mia ossessione era il cibo, come organizzare i miei pasti per non far preoccupare chi mi stava attorno ma al tempo stesso non aumentare le calorie».Francesca aveva notato da tempo gli scatti dei Colli Euganei pubblicati da Manuel nel gruppo social del paese (anche lui è di Monselice), e gli ha chiesto l’amicizia. «A un certo punto del mio percorso ho deciso di non vergognarmi» racconta la ragazza, «e di raccontare la mia storia su Facebook. Manuel mi ha notato in un post dove elencavo una serie di cose che volevo fare prima di morire, tra queste c’era un servizio fotografico. Lui si è scherzosamente offerto e io l’ho preso in parola aspettando di essere guarita, di avere bei capelli ricci - non i quattro peli sfibrati che mi ha regalato l’anoressia - delle forme femminili e soprattutto un sorriso sincero». Adesso Francesca pesa 10 chili in più (è quasi giunta al normopeso) ed è felice, il suo sogno è di diventare psichiatra per aiutare altri ragazzi che vivono condizioni di disagio.

2.8.17

sfruttare le risorse italiane invece di fae come l'imperoromano importare tutto da fuori è possibile Alla scoperta delle saline di Comacchio

  din  quelle  sarde  ne ho parlato  in un post  precedente  (  cercatelo in archivio )  oppure    trovate  qui in questo articolo  dell'anno scorso del corriere della sera   qualcosa

da   http://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2017/08/02/


COMACCHIO
Oro bianco in Salina, torna la produzione e rinasce la storia
Dopo più di trent’anni si ricomincia a lavorare Il sindaco: tutela e valorizzazione di un sito davvero unico


Katia Romagnoli
COMACCHIO.
Nell’VIII secolo Comacchio era al centro di un crocicchio di vie commerciali che in tutto il bacino del Mediterraneo smistavano l’oro bianco, il sale, aspetto testimoniato dal capitolare di Liuprando, una preziosissima pergamena del 715 d.C. custodita nel Museo Delta Antico, con cui il re longobardo concede ai milites clomaclenses, in cambio di tributi in natura, il diritto di risalire Po, Mincio, Oglio, Adda e Lambro. Le guerre del sale hanno segnato fortuna e decadenza della salina lagunare che, per passare ai tempi più recenti, dopo la dismissione attuata nel 1984 dai Monopoli di Stato, è tornata a produrre il sale.
«Ringrazio gli enti e le persone che hanno offerto il loro contributo per il recupero delle nostre tradizioni - ha sottolineato il vicesindaco Denis Fantinuoli -, a riprova di un vivere in equilibrio con l’ambiente, riportando in auge, in chiave turistico ambientale, maestranze che stavano andando perdute».
Un percorso ambizioso condiviso con partners istituzionali e con i novelli salinari, reduci da un corso di formazione, che ha beneficiato anche dell'apporto dei colleghi di Cervia. Maira Passarella, neoeletta presidente del Cadf, ha ricordato le tappe della convenzione sottoscritta nel 2015 con il Comune ed il Parco del Delta, nel perseguimento di un obiettivo strategico congiunto, ossia la riqualificazione della salina.


«Le attenzioni del Cadf verso tematiche ambientali e la sua azione si stanno estrinsecando sia sul piano strutturale - ha detto Maira Passarella -, sia attraverso visite guidate in salina, eventi concertistici e di educazione ambientale».








Il Cadf infatti ha provveduto con opere di messa in sicurezza degli argini, con la realizzazione di pompe per la gestione idraulica delle acque nella salinetta. Entusiasta, Franco Verdi, presidente dell’associazione salinari comacchiesi, che conta una quarantina di iscritti: «Grazie al nostro impegno volontario - ha aggiunto -, stiamo ottenendo i primi buon risultati, facendo riscoprire l’antico mestiere del salinaro». Il sindaco Marco Fabbri ha parlato di “rivoluzione culturale” attraverso una «primissima produzione del sale, che ha reso fruibile ed accessibile dopo oltre 30 anni un luogo unico. Tutela e valorizzazione del sito contraddistinguono anche l’opera dell'Ente Parco, «che ha deciso di occuparsi insieme a Comune e Cadf del mantenimento - ha dichiarato Massimo Medri, presidente del Parco del Delta -, dell'equilibrio ecologico di questo comparto».

29.7.17

VENERDÌ [ Charlie Gard è morto ] © Daniela Tuscano

in  sottofondo



Legggo ora   sulla nostra pagina fb  che

Charlie Gard è morto . Egli  Non è riuscito a compiere un anno di vita, il piccolo Charlie Gard. Il bambino è morto oggi pomeriggio, in una clinica privata nel quale è stato trasferito dopo che ai genitori l’altro ieri è stato negato di poterlo far morire a casa. “Il nostro splendido bambino se n’è andato”, hanno detto la mamma e il papà.

da http://www.interris.it/2017/07/28/
 Ora  non riuscendo    ad esprimere  le mie  emozioni   \  sensazioni    lascio la parola  alla  carissima  Daniela  Tuscano



  L'immagine può contenere: sMS



Aspetto, adesso sono troppo scossa. No, devo farlo subito. Forse è meglio tacere. In verità, caro Charlie, quest'ultimo proposito mi ha sfiorata molto poco in questo lungo doloroso calvario in cui ho sofferto tanto per te, ma ho anche imparato ad amarti, come fossi un figlio mio. E, credimi, ogni mattina di quest'inquieta, arida estate mi svegliavo col tuo nome sulle labbra. Era straziante ma dolce, straordinariamente dolce perché nessun male, nessuna devastazione possono impedire ai bambini d'essere bambini. E i bambini hanno la dolcezza nella carne, negl'inizi fatti di niente che non vogliono spiegazioni. Finché c'eri, comunque c'eri, la vita umana assumeva una rotondità più piena, una completezza e una solidità. Tacere no, non taccio e non tacerò nemmeno in futuro. Poco m'importeranno le critiche e gli attacchi. Non tacerò perché non sia troppo tardi, perché a forza di preoccuparci della qualità della vita abbiamo decretato che non tutte le vite sono degne d'esser vissute, e l'occhialuto uomo dentro di noi ha soppesato freddamente, col bilancino di precisione, cosa convenisse e cosa no. Abbiamo ragionato in termini di percentuali, considerando solo, naturalmente, la maggioranza; e condannando le minoranze, le più deboli, allo scarto. Abbiamo distorto il linguaggio, come in una moderna Babele; e confuso inguaribile con incurabile. 
Eri nato nella parte ricca del mondo. Bello e biondo. Forse, per taluni benpensanti del progressismo, persino troppo: con te, non potevano appagare il loro ambiguo, narcissico egualitarismo. Bello, biondo e bianco. Un privilegiato. Eppure sei diventato l'immigrato delle nostre coscienze, sei stato figlio in un continente vecchio e sterile, futuro che esigeva di crescere, se non nel fisico, certo nella cura. Fratello dei tuoi coetanei nati sulla sponda sbagliata, devastati da guerre, fame e sfruttamento o annegati su anonimi barconi, come è accaduto anche stamane. 
Come loro, non "valevi" abbastanza; ti è stata negata la compassione. Così, dopo aver irriso e negato il tribunale celeste, ti abbiamo sottoposto a un tribunale umano. La tua famiglia naturale è stata spezzata, e nemmeno con cattiveria; piuttosto, con logica. Non ci siamo proprio accorti, di quella penuria di compassione. Semplicemente, non l'abbiamo considerata. Non potevamo capirla. Ed è questo l'aspetto più terribile della tua, della nostra vicenda.
Sì, perché un domani saremo tutti come te. E nell'opinione pubblica sarà ormai acquisito, ovvio e normale rassegnarsi all'inevitabile, accantonare i tentativi, scansare la ricerca, lunga, perigliosa. Solo noi, nel nostro infermo mutismo, sapremo un'altra verità. 
Ci hai lasciati di venerdì. Giorno che evoca un altro grande silenzio, di cui ormai non avvertiamo più il soffio. Orfani di simboli, anche in tal caso, non capiamo. Un giorno vale l'altro.
Posso solo prometterti che non dimenticherò il venerdì di Charlie. Quando giungerà il mio, ti prego, stammi vicino. 



                              © Daniela Tuscano

28.7.17

L'elzeviro del filosofo impertinente

Sono trascorsi 20 anni dalla morte di Lady D. Un lasso di tempo che ha permesso alla principessa del Galles di diventare un mito, e di cristallizzare la sua figura nell'immaginario collettivo. Diana Spencer era una donna libera che rifiutava ogni forma di pregiudizio. Era, in un certo senso, una vera outsider che ha tentato di cambiare il volto della monarchia inglese. Devo ammettere che il Regno Unito ha sempre esercitato un fascino potente sulla mia vita. Chi non ha vissuto gli anni'80 e '90 non può immaginare il carisma di Diana, e dunque non può comprenderla fino in fondo. Quando si muore nel fiore degli anni si rischia di divenire presto un santino da venerare. Diana era destinata a diventare regina d'Inghilterra in quanto consorte del primogenito di Elisabetta II, Carlo, ma il suo dramma personale non lo rese possibile. Il suo matrimonio tormentato con l'erede al trono iniziato nel 1981 si concluse ufficialmente nel 1996, e di conseguenza questo inevitabile passaggio sancì la fine del suo rapporto con la casa reale. La sua tragica morte nel Pont de l'Alma di Parigi spense per sempre il sorriso sul suo volto. Nel 1998 andai per la prima volta in Inghilterra. Per me che adoravo quel paese era un sogno che si concretizzava. Avevo girato il mondo in lungo e in largo ma il Regno Unito non lo avevo ancora visitato. Dopo aver reso omaggio a Canterbury e a Geoffrey Chaucer arrivai a Londra. Londra era il centro dei miei studi e delle mie attenzioni. Sono uno shakespeariano convinto e non potevo non visitare il Globe Theatre. Da questa città sono passati anche i miei miti musicali: I Beatles, Elton John, David Bowie, George Michael e Freddie Mercury. Lady Diana era morta soltanto un anno prima e nei nostri occhi era ancora presente la commozione suscitata dal suo funerale. Mi recai anche nel Northamptonshire per visitare il suo luogo di sepoltura, Althorp House, dimora della famiglia Spencer. Diana non aveva paura d'amare, e di esternare il suo amore incondizionato per i suoi due figli. Non nascondeva le sue fragilità e i suoi malesseri esistenziali. Era la principessa del popolo e non voleva ingannarlo. Aveva compreso che attorno alla sua figura ruotava l'attenzione dei media, e proprio per questo decise di adoperarsi per delle importanti cause umanitarie. Andò in Angola per sensibilizzare l'opinione pubblica sulle mine antiuomo disseminate nei campi. Sposò la lotta all'AIDS e fu anche Madrina delle arti e patrocinò diverse cause ed eventi per raccogliere importanti donazioni in favore dei soggetti più deboli. Da poco aveva ritrovato una stabilità affettiva con Dody Al-Fayed, morto anche lui nello stesso incidente del 31 agosto del 1997 in un tunnel di Parigi. Visitai il grande magazzino Harrods e rimasi sorpreso nel vedere che il padre di Dodi, Mohammed Al-Fayed, all'epoca proprietario del negozio aveva allestito al suo interno un altare commemorativo con la foto di Diana e il figlio. Nel '98, prima di rientrare in Italia, visitai nuovamente la mia amata Parigi, ma questa volta volevo recarmi al Pont de l'Alma. Devo dire che osservando attentamente il luogo della sua morte mi sfiorarono diverse perplessità sulle dinamiche dell'incidente. Non sono un complottista ma non credo alla versione ufficiale. Ricordo la quantità immane di messaggi dedicati a Diana lasciati ai piedi della torcia che sovrasta il tunnel. La sua giovane vita si era spenta come una candela al vento, proprio come la canzone che Sir Elton John aveva cantato al suo funerale. Non voleva diventare un'icona, ma la sua morte l'ha consegnata per sempre alla leggenda. Diana era una donna sensibile in cerca di pace e spiritualità, ma era anche una madre affettuosa che seppe trasmettere ai suoi figli, William e Harry, il valore della normalità. Il loro essere principi non doveva in alcun modo distoglierli dalla consapevolezza di essere vicini al popolo e alle loro problematiche. Lei diceva: "Voglio che i miei ragazzi imparino a comprendere le emozioni delle persone, le loro insicurezze e preoccupazioni, le loro speranze e i loro sogni". A vent'anni dalla sua scomparsa mi piace ricordarla con il suo bellissimo sorriso, con i suoi limiti e i suoi pregi perché Diana era una persona reale, e non un personaggio inventato. Ha speso ogni energia per rendere la monarchia un'istituzione al passo coi tempi. In qualche modo riuscì a rendere più umana la famiglia Windsor. Se la casa reale appare molto meno ingessata lo si deve proprio alla timida maestra diventata in breve tempo la beniamina del popolo. Ma Diana capì anche che la solidarietà è un valore aggiunto da sperimentare quotidianamente nelle nostre vite.
"Fai un atto di bontà, casuale, senza aspettativa di ricompensa, e stai sicuro che un giorno qualcun altro potrebbe fare lo stesso per te" (Lady D).

Cristian Porcino


® Riproduzione riservata

27.7.17

lo ius soli eviterebbe storie come questa di Sara in italia dall'età di 2 anni ma che non può essere 'alla pari'



ecco perchè sono per lo ius soli onde evitare discriminazioni come queste Ma i malpancisti non solo non vogliono ma inventano cose non vere pur di non votarlo e fare propaganda parlando alla pancia della gente .Eed influenzandola , ecco alcuni commenti dell'articolo ivi ripotato










Anna G. Baratella
Cara signorina, guarda che mia sorella - cittadina italiana - ha dovuto sottostare alle stesse regole per andare a Londra a fare la cameriera in un pub. Fornire i dati del datore di lavoro e circa le mansioni che si andranno a svolgere, dimostrare di avere una certa disponibilità di denaro e soprattutto dichiarare che non si risiederà per oltre un certo periodo di tempo E' LA NORMA PER TUTTI, non solo per i marocchini!
Io capisco che ormai ci si inventa di tutto per parlare e straparlare dello Ius Soli, ma signora De Gregorio la smetta di dare spazio a chi racconta storie manipolatorie infarcite di disinformazione. 


Guido
Anche tu Conchita ! Basta ,pietà non se ne può davvero più di questa narrazione lacrimosa sullo ius soli...........
Non possiamo modificare l'identità e la composizione della popolazione italiana con una legge così di forte impatto e così invasiva sulla base di ragioni così labili e inconsistenti come la delusione di Sonia che non può andare subito a fare la ragazza alla pari...siamo davvero al ridicolo involontario.Sonia impari ad aspettare con calma e consapevolezza,arriverà il momento giusto ,se lo vorrà, di diventare italiana.Anche questo rappresenta un insegnamento.



Anonimo
Ma la De Gregorio Concita deve continuare per quanto a propinarci queste tonnellate di melassa a costo zero?? Non se ne può più !!! A quando le storie dei gattini rimasti su un albero?? oppure la vecchietta che non trova nessuno che la accompagni a fare la spesa ?? Che pena.........







da http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/ del   26 LUGLIO 2017

Sara che non può essere 'alla pari'





Sara da piccola in Toscana

Grazie alla lettera di Sara Souiba

“Scrivo questa lettera, non amo usare il termine email, mi rende lontana e fredda da chi mi legge; scrivo per far conoscere la mia storia e quella di un milione di miei compagni di battaglia. Nasco in una piccola città toscana; tra colline pianeggianti e il profumo del mare portato dal vento caldo estivo. La mia storia è lunga e ricca di narrazione come quella di ognuno di noi. I miei genitori sono nativi del Marocco, intraprendono il loro viaggio nel Bel Paese negli anni Novanta; quando gli stranieri
erano veramente pochi".
"Dopo un po' di anni danno alla luce una bambina, che sono io, dopo un anno mia mamma ed io torniamo in Marocco e io riesco a crearmi un legame con le mie origini, la terra della mia famiglia, e imparo perfettamente l'arabo. Torno in Italia all'età di sette anni, frequento la scuola elementare, le medie e adesso il liceo poi l'università. La facoltà che sceglierò ancora non la so esattamente; mi piacciono tanti rami e intrecci ma tutti con indirizzo umanistico: di scientifico ho poco o niente".
"Cambiando discorso, ritorniamo al succo di questa epistola: cominciò tutto quest'inverno quando mi scaldavo accanto al camino con in mano un bicchiere di tè alla menta; mi era venuta in mente la splendida idea di fare la 'au pair’ in Inghilterra d'estate per migliorare il mio inglese e fare nuove esperienze. Mi iscrivo così ad un sito per ‘au pairs’, sembra tutto in regola sono tutta felice; contatto varie famiglie, videochiamate su Skype e chiamate su whatsapp.
Insomma sembra che il sogno si possa avverare veramente, partire tre mesi lontano dal nido famigliare, dalla vita quotidiana della città di provincia dove abiti e invece no: il mio desiderio si disperde e perde le sue speranze".
"Non ho la cittadinanza italiana, infatti, ma marocchina. Dovrei richiedere un visto speciale, far sapere da chi vado e perché vado, dichiarare una certa somma di soldi per potermi mantenere e risiedere in Inghilterra meno di tre mesi. È stato un colpo al cuore, nata e cresciuta in Italia, ormai italiana perché mi riconosco in questa cultura, nella lingua nei costumi e nelle tradizioni. Per lo Stato italiano io non esisto. Come cittadina mi cascano le braccia a scrivere queste frasi che sono, ai miei occhi e alla mia anima, prive di senso. La legge sullo Ius Soli è stata rimandata ancora dal Senato, non c'è una maggioranza del governo. Partiti di destra che si scontrano per una legge che tutela e garantisce dei diritti a dei bambini, a dei cittadini che sanno l’italiano benissimo, che a scuola cantano l'inno a squarciagola".
"È innegabile il diritto al voto, il diritto al viaggio, ma soprattutto è illegale a parere mio non essere riconosciuti in un paese in cui si è nati. Concita, io spero che leggerai queste mie parole piene di dispiacere dalle quali si può capire cosa vorrei – più di tutto, adesso, avrei voluto lavorare alla pari in estate - e com’è deluso il mio stato d'animo adesso”


26.7.17

ricordiamo che la mafie uccide anche gente comune non solo politici e giornalisti . Il ricordo. Rita Atria, la picciridda di Borsellino che morì 25 anni fa



Anche un suicidio può diventare omicidio . Soprattutto quando i media e le istituzioni ( dopo averli riempiti di merda fango quando erano invita ) si geneflettono ricordando Falcone e Borsellino e di sgtriscio gli uomini delle loro scorte .Ed  in un barlumne di coscienza  e   di lucidità   anche  le istituzioni  : <<  Conosciamo tutti le vittime della strage di Via D'Amelio eppure ne dimentichiamo sempre una. Rita Atria aveva solamente la colpa di essere nata in una famiglia mafiosa»: lo scrive su Facebook il presidente del Senato Pietro Grasso (  http://www.corriere.it/cronache/17_luglio_26/)  >> 

 E il caso che mi acingono a riportare oggi 


Antonio Maria Mira mercoledì 26 luglio 2017
Figlia di una famiglia mafiosa di Partanna testimone di giustizia, aveva 17 anni quando si gettò dalla finestra appena seppe della strage di via D'Amelio.

                                                     Rita Atria

Via D’Amelio e via Amelia. Paolo e Rita. Il magistrato nemico delle mafie e la 'picciridda', figlia di una famiglia mafiosa. Una storia di riscatto e di speranza, di fiducia nei giovani e in una vita pulita, che vince anche la morte. Quella di Rita Atria, 17 anni, la settima vittima di via D’Amelio, anche se la sua vita si ferma il 26 luglio 1992 sul marciapiede al numero 23 di via Amelia, a Roma, sotto il palazzone dove la ragazzina viveva tutelata dal Servizio centrale di protezione, testimone di giustizia, dopo l’uccisione del padre e del fratello, mafiosi di Partanna. Una scelta disperata dopo la morte di Borsellino, il suo nuovo papà. «Rita non la dobbiamo ricordare per la sua morte ma per la sua intelligenza che le diede la possibilità in pochissimo tempo di cambiare. È la storia drammatica di una ragazza che per la prima volta aveva trovato nella vita cose pulite e siccome era intelligente aveva capito la differenza tra le cose sporche in cui aveva vissuto e quelle pulite che aveva trovato».


                        Le due lapidi poste sulla tomba di Rita Atria (Max Firreri)




Così la ricorda Alessandra Camassa, presidente del Tribunale di Marsala. Venticinque anni fa, giovanissima sostituto procuratore nella città siciliana, fu lei a seguire il percorso di collaborazione di Rita. Lei insieme al suo 'capo' Paolo Borsellino. «Paolo aveva una particolare predisposizione per i giovani, soprattutto per i più fragili. Più un ragazzo era fragile e più lo amava. Aveva questo spirito adottivo. Si sostituiva subito alla figura paterna. La sua era una vocazione. E quindi il rapporto con Rita è stato automatico. Faceva benissimo il magistrato ma gli riusciva ancor più bene fare il padre». E per Borsellino era fondamentale anche nella lotta alla mafia. «Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo», diceva. «Quanto è importante investire sui ragazzi. È fondamentale», afferma anche la Camassa. Ed è anche l’eredità che ci lascia la 'picciridda', così come la chiamava Borsellino.
Lo sottolinea il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, che come come ogni anno sarà oggi al cimitero di Partanna. Sulla tomba, come aveva chiesto Rita, saranno poste una rosa rossa e un’orchidea. «Il suo sogno si è infranto il 19 luglio. La morte di Borsellino è un vuoto che ha risucchiato la sua fragile vita. Lei il 26 luglio si è affacciata sul balcone e si è lasciata morire. Ma io sono convinto che durante quel volo Dio l’ha abbracciata stretta e forte. Per noi vive, perché la sua vita spezzata ha generato tanti frutti. Soprattutto due: le donne di mafia che si ribellano ai padrini e i ragazzi della giustizia minorile, che hanno più o meno la sua età, che cercano altre strade, altri punti di riferimento, che fanno delle esperienze in un altro tipo di comunità, non quella mafiosa ma quella vera che riempie la vita di vita».
In fondo è proprio quello che Rita aveva scritto. «Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia che al di fuori c’è un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di quello o perché hai pagato per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Se ognuno di noi prova a cambiare forse ce la faremo».
Rita sceglie di parlare seguendo l’esempio della giovane cognata Piera Aiello, moglie del fratello ucciso. «Quando comincia a collaborare con la giustizia – racconta ancora il magistrato – non pensa minimamente 'ora aiuto i giudici'. C’è solo rabbia. Era venuta per vendicarli. E come può una ragazzina di 17 anni vendicare la morte del padre e del fratello? Certamente non si poteva mettere a sparare per strada pur conoscendo tutti i mafiosi amici del padre. E allora collabora con la giustizia. Ma per lei la giustizia erano i carabinieri che venivano a casa la notte. Nei primi colloqui mi dice 'mio padre era un uomo straordinario perché ogni volta che rubavano le pecore, lui riusciva a farle restituire'. Io allora le faccio vedere i rapporti giudiziari e le dico, 'guarda che tuo padre rubava le pecore e si faceva pagare per restituirle: si chiama estorsione'. Per Rita tutto questo è stato un vero percorso analitico, ha rivisitato la sua vita, ha reinterpretato le figure del padre e del fratello. In un anno ha cambiato testa. Le si leggeva in faccia il suo stupore. Non so come ci immaginava. Forse tutti vecchi e burbera. Invece Paolo era tanto affettuoso, io e la collega Morena Plazzi eravamo due ragazze, gentili, normali. Così lei pensa 'e allora tutto quello in cui avevo creduto era sbagliato'. E si affida davvero in un modo personale a Borsellino. Morti il padre e il fratello, rifiutata dalla madre e dalla sorella, Paolo per lei era la salvezza. Era la figura maschile che le mancava».
E Borsellino la coccola, le fa regali, così anche la moglie Agnese. E Rita cambia anche nell’aspetto. «Quando partì dalla Sicilia aveva un vestitino con il pizzo, sembrava una donna dell’800, quando è tornata aveva una grande consapevolezza di sé». In fondo era «una ragazzina, ma dura, perché già la vita l’aveva traumatizzata. Mi diceva sempre: 'dottoressa lei certe volte non può capire perché è troppo una brava ragazza'. E questo mi faceva sorridere perché faceva un po’ la grande con me, mi trattava da ingenua. E un po’ aveva ragione. Le sue paure, le sue ansie io non potevo comprenderle. La paura di una che che ha avuto quella vita non è quella che abbiamo noi, è una paura profonda». E poi il rapporto con la madre. «Lei lo capiva che era qualcosa di terrificante però diceva 'mia madre è una donna che ha avuto grandi disgrazie. Io sono quella intelligente che deve andare verso di lei'. E si sorbiva delle minacce pesantissime. 'Ti farò fare la fine di tuo fratello', le diceva. Ma voleva che nei colloqui non la lasciassimo mai sola. Borsellino con la sua grande umanità cercava di trovare la quadratura del cerchio ma erano due mondi che non si potevano parlare».
Già perché la famiglia era ed è ancora convinta che la colpa delle scelte di Rita sia tutta di Borsellino e di Piera Aiello. «La madre – ricorda Camassa – denunciò Paolo per sottrazione di minore e fummo costretti a fare il procedimento al Tribunale dei minorenni per sospendere la patria potestà». E proprio la madre spezzò la lapide della tomba. Ora, dopo la sua morte quattro anni fa, la lapide è stata rimessa. Anzi due. Una di chi ha sostenuto la sua scelta, una della sorella. Fianco a fianco ma le parole e i pensieri restano diversi. Ma almeno il suo nome c’è. Nome e memoria.
Ma c’è un modo molto concreto per onorarne la memoria. Approvare rapidamente la proposta di legge sui testimoni di giustizia. Il testo è uscito dall’inchiesta della Commissione antimafia nel maggio-luglio 2014. Come ci ricorda il deputato del Pd, Davide Mattiello, coordinatore dell’inchiesta, la commissione approvò all’unanimità una relazione nell’ottobre 2014. Poi alla fine del 2015 la proposta di legge sottoscritta da tutti i gruppi politici in commissione. A marzo 2017 è stata votata dalla Camera sempre all’unanimità. «Io ero il relatore – ricorda ancora Mattiello –. Al Senato, dove lo è Giuseppe Lumia, è stata incardinata in commissione Giustizia poche settimane fa. La sfida è che non sia modificata e così diventi rapidamente legge. Spero non ci siano sorprese dopo tutta questa unanimità».Anche perché la proposta di legge è dedicata a Rita. Ed è importante perché definisce per la prima volta uno statuto autonomo dei testimoni di giustizia, rispetto ai collaboratori di giustizia. «Fino ad ora – spiega Mattiello – i testimoni sono stati trattati come una costola della normativa sui collaboratori, una scelta che genera confusione e nella confusione un certo mal trattamento». Invece, commenta la Camassa, «dobbiamo riconoscere il grande sacrificio dei testimoni. Il Paese dovrebbe tributare loro un ringraziamento continuo, perché è gente che cambia la sua esistenza, la propria vita, e per sempre». Proprio come Rita, la 'picciridda' di Borsellino.

  concluso   facendo mio  , poi  fate  come volete  ,L'appello lanciato dalle figlie di Paolo Borsellino  ( sempre  dal corriere  delal sera  )  ad abbandonare la retorica delle celebrazioni è lo stesso che ripete l'associazione nata per ricordare Rita Atria: «L'antimafia - spiegano gli organizzatori degli eventi celebrativi - non si esercita con la retorica istituzionale, con le commemorazioni una volta all’anno, con facili slogan, ma praticando la memoria attiva, denunciando, documentando, dando voce, sostegno e solidarietà concreta alle vittime, lottando ogni giorno per cambiare un sistema di valori che ha preso il sopravvento e che puzza di quel compromesso morale, di quella indifferenza, di quella contiguità e quindi della complicità di cui parlava Borsellino». «Il dubbio di Rita - aggiunge il regista Nevano - se può un mondo onesto possa esistere o sia solo in sogno è la domanda più attuale, mentre celebriamo la morte di Borsellino, e la più urgente. Sinceramente non so rispondere».

LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...