13.7.13

da Ferruccio Gianola http://www.ferrucciogianola.com/: Dieci consigli su come usare facebook e vivere felici ..

da  http://www.ferrucciogianola.com/2013/02/dieci-consigli-su-come-usare-facebook-e.html

In realtà questo post era nato con il titolo Dieci cose che non sopporto di facebook, ma postando un simile articolo mi sarei esposto a un trollaggio esasperato così ho pensato bene di invertire le voci e presentarle su un piano positivo. 

Dunque partiamo subito dal fatto che usare facebook e altri social network (twitter  e google plus)espone a rischi di privacy e quindi è altamente sciocco lamentarsi di quello che può succedere se siamo i primi a postare stati e a farne uso. 

Tuttavia anche uscire, andare al bar o al cinema ci espone a rischi in fatto di privacy e se nella realtà adottiamo un certo comportamento per non passare per maleducati, non vedo perché lo stesso criterio non possa essere adottato sui social network. 

Naturalmente il ban (o blocco) dell’interlocutore che rompe sarebbe il metodo migliore per salvare la pelle, ma con alcuni accorgimenti si può vivere su facebook senza farsi il sangue amaro. 

Vediamo quelli che suggerisce la mia esperienza. 

1 - Evitiamo di trollare stati con commenti inopportuni: commentare gli stati degli amici in maniera ironica o sarcastica a volte può venire naturale, ma è meglio non esagerare. Se conosciamo molto bene la persona con cui interagiamo lo possiamo anche fare, in alcuni casi, però la conoscenza può essere solo virtuale, nata magari da conoscenze comuni o per motivi professionali e corriamo il rischio di offendere pesantemente l’interlocutore. 

2 - Evitiamo di commentare post con dei tag a persone, specialmente se non siamo tra questi - facciamolo solo se sono presenti in gruppi specifici (in cui siamo inseriti) o su pagine fan (di cui siamo fan). 

3 - Evitiamo di commentare e piacciare sulla bacheca di un amico/a un post creato tra due persone, sempre che non siamo intimi di entrambi. Si fa presto a dire che quello che posti su facebook è come scriverlo sui muri: mica si commenta tutto quello che è scritto sui muri. 

4 - Non lamentiamoci se ci troviamo in gruppi senza saperlo. Il più della volte dà fastidio ma se facebook lo permette, perdiamo dieci secondi, leggiamo di cosa parla e lo abbandoniamo se proprio non è di nostro gusto. 

5 - Non lamentiamoci se ci arrivano inviti a pagine e a eventi, molte volte un click può partire per errore, basta far finta di nulla. Non si fa così anche nel mondo reale? 

6 - Se frequentiamo pagine fan mettete il Mi piace, è da maleducati farsi vivi tutti i giorni e far finta di non conoscere il padrone di casa. 

7 - Mettete sempre un mi piace o date una risposta a un commento che ricevete, fate capire che avete gradito. 

8 - Fate il contrario o cancellate i commenti che non vi garbano, è da maleducati lo capisco, ma può essere utile per far capire l’antifona ed evitare situazioni più pesanti. 

9 - Chiudete la chat se non volete essere disturbati. 

10 - Chiarite in privato i problemi che possono nascere. 

Ah, dimenticavo 

11 - Non usate facebook e altri social network se volete vivere bene.

Noi siamo il miracolo

Grazie! Un immenso grazie viene da rivolgere a Malala dopo il suo discorso all'Onu di ieri sera. Immediatamente dopo sorge spontanea una richiesta di perdono. Io stessa sento di doverglielo chiedere per prima. Io che oso deprimermi, che mi fermo a metà cammino. Che molto spesso mi sento inutile e insensata.
Io, comunque, sono qui. Nessuno ha tentato di spararmi perché non godessi del basilare diritto all'istruzione. Nessuno mi ha impedito di realizzare, sia pur con fatica, il mio sogno d'insegnare. Chiedo perdono a Malala. Per tutte le volte che ho osato arrendermi. Per tutte le volte che ho perso fiducia nell'essere umano e nella sua capacità di risorgere.
Hanno scritto che è cresciuta troppo presto. Falso. Malala è ancora una ragazzina. Lo sguardo bellissimo e pesto, segno indelebile dell'immane violenza subita, non è quello di un'adulta. Troppo diretto e autentico. Uno sguardo che denuda, come certe domande dei bambini, che paiono piovere da chissà quale pianeta - messaggeri celesti, forse - ma in realtà eco profonda e definitiva della nostra coscienza assopita.
Malala rimane una ragazza, una sedicenne, e in ciò sta la sua magnificenza e il suo splendore. Si erge davanti a noi, sicura ma non superba, totalmente aperta e perciò umanissima: immersa così a fondo nella sua umanità da travalicarla. L'eroismo non la pone in un'altra dimensione, è la rappresentazione plastica della nostra forza interiore.
Chiedo perdono a Malala per tutte le volte che non ho saputo valorizzare appieno i miei doni a causa dell'odio e del rancore. E non importa nulla fossero razionalmente motivati: non esiste giustificazione per il sale che diviene scipito. Sì, perdono. Per le volte che, coi fatti se non con le parole, a dispetto delle tante parole, ho umiliato la mia femminilità, considerandola un limite, un inciampo, un handicap e non un dono di Dio.
Solo una ragazzina può arrivare a invocare il diritto alla conoscenza per tutti, compresi i figli e le figlie dei talebani. Io non ne avrei mai avuto il coraggio. Avrei invece voluto vederli morti, quei maschi spaventosi e belluini, che sono solo l'espressione più plateale d'una guerra millenaria e feroce, l'ingiustizia più esecrabile dai primordi dell'umanità: quella dell'uomo contro la donna. A ogni latitudine e cultura.
Li avrei voluti morti come vorrei morto qualsiasi maschio stupri o deformi l'anima di una donna. Gli aguzzini giustificati magari per la giovane età, mentre la vittima rimane sola e irrisa. Come nell'atroce vicenda di Montalto di Castro.
Ma la morte non è mai la soluzione. Dopo la morte c'è solo silenzio. Malala ha avuto parole d'amore. Di un amore però vero, quindi non arrendevole, non giustificatorio, privo di sconti. L'amore è anzi esigente. Ci si riappropria dell'umanità defraudata non diventando a nostra volta belve senza ragione, ma indicando una via altra. Via rischiosa, pericolosa come quello sguardo diretto e snudante, che la durezza di cuore può giungere a cancellare pur di non mettersi in discussione. Ma unica via per progredire. Perdere la vita per ritrovarla. E non cancellare quella altrui, pur se rimasta ancora a livello di semplice e brutale esistenza.
Per questa trasfigurazione restituente ringrazio e chiedo scusa a Malala e a tutte le ragazze e ragazzi a me affidati. Non hanno che noi per crescere. E noi non abbiamo che loro per affidare il nostro breve futuro, e la più ampia storia umana, in un corale cammino verso la terra promessa. Cioè questa, il cuore accogliente e generoso. Il miracolo siamo noi.

12.7.13

LA LINGUA SARDA E L’INTELLETTUALE SCOMODO

se  prima l'unione sarda  era  , pur  nell'autonomia delle cronache interne  , un giornale  cassa  di risonanza  del centro destra  e  Berlusconiano ( si narra  che  fosse  di proprietà tramite  amici  di Berlusconi  )



 , ora  con la  nuova direzione  di

BIOGRAFIA ANTHONY MURONI


Nato a Perth (Australia) nel 1972, sposato, una figlia, è diventato direttore de L'Unione Sarda il 10 giugno 2013. Da due anni conduce la trasmissione "Dentro la Notizia" su Videolina, ha scritto i libri "Peppino Pes, l'inedita confessione del prete-bandito", "Francesco Cossiga dalla A alla Z", "Il sangue della festa. Mortu in Die nodida", "Benedetto XVI dalla A alla Z", "Il volto di Francesco", "Andreotti e la Sardegna"

le cose  sembrano stiano  cambiando  . vedere  il post  tratto dal blog  interno all'unione  d'oggi  12\7\2013

(...)
“… In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino più lingue, se è possibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui, puramente infantile; egli non avrà contatto con l’ambiente generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti raccomando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro. Delio e Giuliano sono stati male in questi ultimi tempi: hanno avuto la febbre spagnola; mi scrivono che ora si sono rimessi e stanno bene. Vedi, per esempio, Delio: ha incominciato col parlare la lingua della madre, come era naturale e necessario, ma rapidamente è andato apprendendo anche l’italiano e cantava ancora delle canzoncine in francese, senza perciò confondersi o confondere le parole dell’una e dell’altra lingua. Io volevo insegnarli anche a cantare: «Lassa sa figu, puzone», ma specialmente le zie si sono opposte energicamente…”.   (...)

Milano, 11 lug. (Adnkronos Salute) - La crisi non risparmia neanche i bebè.

Milano, 11 lug. (Adnkronos Salute) - La crisi non risparmia neanche i bebè. Nell'era dell'austerity papà e mamma alle prese con bilanci familiari sempre più a rischio rosso, tagliano dove possono. E i risparmi investono anche le spese per la salute dei più piccoli. Tanto che oggi l'80% dei genitori di bambini e ragazzi fra zero e 14 anni (8,3 milioni secondo l'Istat) ammette di avere difficoltà economiche a garantire cure sanitarie e assistenziali adeguate ai propri figli, limitandole allo stretto necessario anche per ciò che riguarda quelle primarie. Oltre la metà (54%) limita i controlli diagnostici e specialistici, e il 60% tenta di sforbiciare anche le spese alimentari anticipando lo svezzamento per risparmiare. E' la foto di un'Italia che tira la cinghia, scattata da due indagini parallele, condotte su 600 pediatri di famiglia e 1000 genitori di tutta Italia, diffuse oggi a Milano in occasione della giornata di presentazione di Paidòss, il nuovo Osservatorio nazionale sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza (www.paidoss.it), nato da un'iniziativa di Giuseppe Mele, presidente uscente della Fimp (Federazione italiana medici pediatri). Sul fronte dei pediatri, invece, l'8% dei camici bianchi teme un calo delle vaccinazioni, e un altro 8% un taglio delle forniture di farmaci e alimenti dedicati soprattutto alle malattie rare, e ancora ripercussioni sull'incremento delle malattie infettive (7%) e sullo sviluppo di disturbi comportamentali e psichiatrici sempre più frequenti (4%). Se la crisi morde si guarda anche al prezzo del latte artificiale (il 55% sceglie quello più economico e non segue solo il consiglio del pediatra), e pur di far quadrare i conti il 35% limita il 'baby food'. Cresce l'allarme fra gli addetti ai lavori, che con la crisi temono anche una riduzione dei servizi di assistenza per i bimbi con patologie croniche e una diminuzione degli accessi ambulatoriali e delle visite specialistiche necessarie. L'osservatorio Paidòss nasce anche per monitorare questa situazione. All'iniziativa hanno aderito anche due ex ministri della Salute, Ferruccio Fazio e Livia Turco, e l'ex sottosegretario Francesca Martini, Anna Serafini, responsabile del Forum infanzia e adolescenza. "Siamo di fronte a una situazione che si profila allarmante - spiega il presidente di Paidòss, Giuseppe Mele - denunciata da 600 pediatri di famiglia di lunga esperienza. L'indagine, che ha coinvolto il Paese da Nord a Sud, conferma un disagio economico per le famiglie, avvertito nel 90% dei casi (19% molto, 71% abbastanza) in misura maggiore rispetto al passato e sintomo di prospettive poco tranquillizzanti per il futuro. Anche la prevenzione nel suo complesso registra una battuta d'arresto. L'accesso ai servizi socio-sanitari si sta riducendo anche e soprattutto per i minori affetti da malattie croniche, disabili, adolescenti con dipendenze e per tutti i 720 mila minori che in Italia vivono in povertà assoluta". Fra le iniziative di Paidòss, continua, "cercheremo di fornire alle famiglie un progetto per superare questo periodo con consigli utili in grado di considerare la salute dei figli in un periodo di crisi". Secondo i pediatri intervistati, la crisi comporterà una riduzione nei servizi di assistenza per le malattie croniche (19%) e nella possibilità di accedere a visite specialistiche non erogate dal sistema sanitario nazionale (16%) o ad ambulatori soggetti al pagamento di ticket (15%). Si teme un peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie in età pediatrica nel 10% dei casi, ma anche ripercussioni sull'assunzione crescente di scorrette abitudini alimentari (7%). Dal canto loro i genitori, con pari intensità nelle diverse Regioni, lamentano il 'caro-bebè': costi elevati per tutto ciò che serve ai figli più piccoli. E così i pannolini sono giudicati una spesa alta dal 57% di mamme e papà, che in questo momento considerano pesanti per le proprie tasche anche apparecchi per i denti (37%), occhiali (25%) e correttori ortopedici come scarpe e plantari (21%). Eppure restano per ora poco adottate strategie di risparmio come gli acquisti on-line (25,3%) o di gruppo (5,7%).Milano, 11 lug. (Adnkronos Salute) - La crisi non risparmia neanche i bebè. Nell'era dell'austerity papà e mamma alle prese con bilanci familiari sempre più a rischio rosso, tagliano dove possono. E i risparmi investono anche le spese per la salute dei più piccoli. Tanto che oggi l'80% dei genitori di bambini e ragazzi fra zero e 14 anni (8,3 milioni secondo l'Istat) ammette di avere difficoltà economiche a garantire cure sanitarie e assistenziali adeguate ai propri figli, limitandole allo stretto necessario anche per ciò che riguarda quelle primarie. Oltre la metà (54%) limita i controlli diagnostici e specialistici, e il 60% tenta di sforbiciare anche le spese alimentari anticipando lo svezzamento per risparmiare. E' la foto di un'Italia che tira la cinghia, scattata da due indagini parallele, condotte su 600 pediatri di famiglia e 1000 genitori di tutta Italia, diffuse oggi a Milano in occasione della giornata di presentazione di Paidòss, il nuovo Osservatorio nazionale sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza (www.paidoss.it), nato da un'iniziativa di Giuseppe Mele, presidente uscente della Fimp (Federazione italiana medici pediatri). Sul fronte dei pediatri, invece, l'8% dei camici bianchi teme un calo delle vaccinazioni, e un altro 8% un taglio delle forniture di farmaci e alimenti dedicati soprattutto alle malattie rare, e ancora ripercussioni sull'incremento delle malattie infettive (7%) e sullo sviluppo di disturbi comportamentali e psichiatrici sempre più frequenti (4%). Se la crisi morde si guarda anche al prezzo del latte artificiale (il 55% sceglie quello più economico e non segue solo il consiglio del pediatra), e pur di far quadrare i conti il 35% limita il 'baby food'. Cresce l'allarme fra gli addetti ai lavori, che con la crisi temono anche una riduzione dei servizi di assistenza per i bimbi con patologie croniche e una diminuzione degli accessi ambulatoriali e delle visite specialistiche necessarie. L'osservatorio Paidòss nasce anche per monitorare questa situazione. All'iniziativa hanno aderito anche due ex ministri della Salute, Ferruccio Fazio e Livia Turco, e l'ex sottosegretario Francesca Martini, Anna Serafini, responsabile del Forum infanzia e adolescenza. "Siamo di fronte a una situazione che si profila allarmante - spiega il presidente di Paidòss, Giuseppe Mele - denunciata da 600 pediatri di famiglia di lunga esperienza. L'indagine, che ha coinvolto il Paese da Nord a Sud, conferma un disagio economico per le famiglie, avvertito nel 90% dei casi (19% molto, 71% abbastanza) in misura maggiore rispetto al passato e sintomo di prospettive poco tranquillizzanti per il futuro. Anche la prevenzione nel suo complesso registra una battuta d'arresto. L'accesso ai servizi socio-sanitari si sta riducendo anche e soprattutto per i minori affetti da malattie croniche, disabili, adolescenti con dipendenze e per tutti i 720 mila minori che in Italia vivono in povertà assoluta". Fra le iniziative di Paidòss, continua, "cercheremo di fornire alle famiglie un progetto per superare questo periodo con consigli utili in grado di considerare la salute dei figli in un periodo di crisi". Secondo i pediatri intervistati, la crisi comporterà una riduzione nei servizi di assistenza per le malattie croniche (19%) e nella possibilità di accedere a visite specialistiche non erogate dal sistema sanitario nazionale (16%) o ad ambulatori soggetti al pagamento di ticket (15%). Si teme un peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie in età pediatrica nel 10% dei casi, ma anche ripercussioni sull'assunzione crescente di scorrette abitudini alimentari (7%). Dal canto loro i genitori, con pari intensità nelle diverse Regioni, lamentano il 'caro-bebè': costi elevati per tutto ciò che serve ai figli più piccoli. E così i pannolini sono giudicati una spesa alta dal 57% di mamme e papà, che in questo momento considerano pesanti per le proprie tasche anche apparecchi per i denti (37%), occhiali (25%) e correttori ortopedici come scarpe e plantari (21%). Eppure restano per ora poco adottate strategie di risparmio come gli acquisti on-line (25,3%) o di gruppo (5,7%).

11.7.13

scemenze matrimoniali Massa: lo sposo arriva in ambulanza

se  non  fosse  per le risatine e  i commenti    degli invitati con molta  probabilità  anche  gli autori del video  uno crederebbe   che lo sposo  sia  o un ammalato  o stia  male    o peggio  ancora   moribondo  e  vuole sposarsi prima    di morire 
 come si  può vedere   dal video sopra   tratto  da  repubblica  online   ( consultato il 11\7\2013 )  è  scelta bizzarra quella del volontario della Croce Bianca, Gabriele Lenzotti, che per il suo matrimonio ha deciso di raggiungere la chiesa a bordo di un autoambulanza, con tanto di trasporto in barella. Così le nozze di Valentina e Gabriele entrano a far parte della lista delle nozze più pazze di sempre.
Allora  se  lo sposo  fa il becchino  o  lavora nelle pompe  funebri   che  fa  arriverà  all'altare dentro una bara  ?  o   se  lavora  nella  nettezza  urbana   con il  camion dei rifiuti  ?




10.7.13

Storia d'amore, di isolamento e di una società che (non) cambia


unione  sarda  10\7\2013  

di ANTHONY MURONI
«Anni fa ho battezzato sette figli di una vedova avuti da due uomini diversi. Pensava di essere in peccato mortale. Ci siamo incontrati, e alla fine abbiamo fatto tutto con due padrini soli. Dopo una piccola catechesi li ho battezzati»*.
Si fa presto a dire misericordia. Eppure nell'Anno Domini 2013 per chi esce dal gregge ci sono ancora poche speranze di una vita normale. Quella di Annagiulia (ma il nome è di fantasia), cagliaritana, cristiano cattolica fino al midollo, un figlio adolescente, un matrimonio in fase di annullamento presso la Sacra Rota, un posto di rilievo all'interno dell'amministrazione pubblica, è cambiata radicalmente qualche anno fa. A rivoluzionarle l'esistenza è stata una freccia scagliata con chirurgica precisione da un Cupido particolarmente in vena di scherzi. «Era il primo giorno del mio pellegrinaggio annuale in una terra che è crocevia del cattolicesimo. Appena il mio sguardo ha incrociato quello di un uomo fin lì sconosciuto, mi sono innamorata». Il fato ha voluto che il sentimento venisse ricambiato all'istante.
Una storia di felicità, letizia e fecondità, a prima vista. Con una piccola complicazione: il bel signore che incontra lo sguardo della sua nuova amata è un sacerdote, anche se veste gli abiti borghesi.
Esercita in una parrocchia molto lontana da Cagliari, in una piccola Diocesi dell'Isola. La sua vita cambia quel giorno, 35 anni dopo essere entrato in Seminario e aver scelto di indossare la tonaca. La storia va avanti in maniera clandestina, parallela rispetto alla vita da parroco, per almeno un biennio. Finché non si rende conto di non poter più convivere con quel segreto e con quell'ipocrisia, al cospetto di Dio e degli uomini. Risolve di andare a parlare col suo vescovo, per annunciargli di aver intenzione di lasciare il suo ministero sacerdotale per intraprendere una nuova vita.
«In quel momento cambia davvero tutto», racconta Annagiulia, «attorno a lui prima, e a me poi, si è aperto una sorta di solco. Siamo stati scomunicati da gran parte dei nostri parenti, alcuni dei quali molto vicini. E il mio nuovo compagno, che desidero diventi presto mio marito, è stato condannato a uno scientifico ostracismo, anzitutto dall'ambiente nel quale ha vissuto per decenni».
Il racconto di Annagiulia, a tratti, ha dell'incredibile: «Pensi che qualcuno, molto in alto, arrivò a suggerirgli di non andare via dalla parrocchia, di evitare lo scandalo. Al massimo avrebbe potuto gestire il rapporto con me in maniera segreta, parallela. Insomma, una cosa ipocrita».
Da poco meno di due anni vivono assieme, incontrando poca solidarietà e trovando più porte sbarrate che socchiuse: «Da un giorno all'altro si è trovato senza sostentamento e gli è stato precluso anche di poter puntare a ottenere un posto di insegnante. Molte delle limitazioni che ci sono piovute addosso risultano incomprensibili. A causa degli iniziali ritardi, anzi dell'inadempienza di chi era preposto ad avviare le pratiche, è stato finora persino privato della dispensa che ha chiesto da molti mesi. Quell'atto, necessario per fargli ritrovare lo stato laicale, gli avrebbe consentito di accedere a un matrimonio religioso e a una nuova vita all'interno della società. Nel frattempo va avanti anche la mia pratica di annullamento, presso il Supremo Tribunale ecclesiastico romano, visto che a Cagliari le cose sono state concluse a tempo di record».
«Lo dico con dolore, se suona come una denuncia o un'offesa perdonatemi: ci sono presbiteri che non battezzano i bambini delle madri non sposate perché non sono stati concepiti nella santità del matrimonio. A me non piace questa visione burocratica della religione, non mi piacciono i sacerdoti farisei. Questi sono gli ipocriti di oggi, quelli che clericalizzano la Chiesa, quelli che allontanano il popolo di Dio dalla salvezza».
Fin qui un racconto che è certamente di parte, figlio di un disagio indotto dalla reazione di una società - anche di quella laica e laicista - che, nonostante i proclami, tarda a uscire da vecchi stereotipi. Nel senso che la non condivisione di una scelta - che è legittimo osteggiare o persino condannare - continua a far rima con emarginazione e indifferenza.
«Eppure sa quanti sono i sacerdoti ancora in servizio che sono nella stessa situazione del mio attuale compagno? Tantissimi, mi creda. Solo che hanno paura di rivelare la loro scelta. Perché sanno che verrebbero condannati all'isolamento. Ne ho conosciuto uno, giusto qualche mese fa, che ha avuto il coraggio di abbandonare la tonaca solo dopo che il figlio nato dal suo rapporto segreto con una donna aveva ormai compiuto un anno».
Ho detto allora ai sacerdoti: «Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po' con quella gente, faccia un po' di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono».
Un parroco mi ha detto: «Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa». «Ma perché?», gli ho chiesto, «adesso vengono a Messa?». «No», ha risposto. «E allora! Uscire da se stessi è uscire anche dal recinto dell'orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l'orizzonte che è di Dio».
Tutto è cambiato, non solo la vita sociale, le amicizie, l'accesso a un posto di lavoro. «Beh, ad esempio, l'associazione con la quale facevamo i pellegrinaggi religiosi ci ha chiesto, con discrezione e grande educazione, di evitare di iscriverci. Da allora andiamo per conto nostro, mischiati agli altri semplici pellegrini». Non saltano mai la Messa né la domenica né nelle altre feste comandante: «Ma, com'è previsto dagli attuali canoni, non possiamo accostarci all'Eucarestia. Non è sufficiente vivere secondo i dettami della religione, aiutando gli ultimi, perdonando le offese, cercando di non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Il nostro Peccato, per i sommi sacerdoti del Purismo, non è perdonabile. È un qualcosa che ci ha corrotto definitivamente, senza possibilità di poter più accedere né a una vita normale né a un'esistenza a contatto con la religione». Eppure l'ostracismo non arriva solo dai fedelissimi a Santa Romana Chiesa. «Le cose sono cambiate anche per me, persino sul lavoro. Se fino a due anni fa ero al centro di tutte le questioni del mio ufficio, pian piano sono stata messa in un angolo, trattata come una persona da non stimare». Prodotto di una società che si commuove per lo stupendo gesto di un Papa che si scomoda per andare ad accarezzare i migranti che sbarcano avventurosamente a Lampedusa o che condanna l'ipocrisia di una Chiesa opulenta e spesso lontana dai problemi quotidiani della gente. Si commuove, si costerna, s'indigna, s'impegna, ma poi getta la spugna senza nessuna dignità, voltando le spalle a chi ha scelto di uscire dal gregge per assecondare la sua natura o il suo istinto d'amore.
«Ma non tutti ci hanno abbandonato al nostro destino. Ci sono alcuni sacerdoti, anche cagliaritani, che ci trattano come persone, come gente che può essere ammessa alla conversazione e alla condivisione di alcuni importanti momenti. Sono loro a darci la forza di continuare. Di sperare che questo mondo, questa società, questa Chiesa, possano davvero cambiare».
* le frasi in corsivo sono state pronunciate
negli anni scorsi da Jorge Mario Bergoglio,
dal 13 marzo 2013 Papa Francesco

La vera enciclica di papa Francesco


Strana fisicita', quella di Bergoglio. Assai diversa da quella poderosa di Wojtyla e da quella rarefatta, marmorea di Ratzinger. Forse sarebbe più corretto parlare di presenza. Bergoglio, insomma, c'è. Non per tutti: per ognuno. Come ha osservato acutamente Enzo Bianchi, Giovanni Paolo II parlava alle folle, Francesco ai singoli. È il parente che ti ritrovi a casa. Non sorprende abbia chiesto di far rimuovere la statua in suo onore inaugurata in Argentina due settimane fa. Non è lui, non vuole essere lui l'oggetto d'un culto. Il Pontefice è un pontiere verso una meta altra.

Rinunciando a essere monumento, Bergoglio accentua quella sua fisicita'. La umanizza maggiormente. Diviene, vuol essere, soggetto.
Due giorni fa, a Lampedusa, la sua fisicita' mi è apparsa così duale. Sembrava più giovane, e nel contempo già in declino. Più che un Papa, ricordava un prete. Lo sguardo affilato e mesto. Quasi buttato là, quel fisico, con una certa malandata trascuratezza, come nella foto in metropolitana divenuta celebre dopo l'elezione al soglio. Ritorna l'immagine del parente casalingo. Fors'anche, appena uscito da una casa di degenza. 
Bergoglio papa, a Lampedusa, l'ho percepito così. L'ho vissuto in quella sua folgorante, dolcissima, semplice e perciò dura, difficile omelia. L'ho avvertito nei sorrisi dispensati ai migranti, per una volta non più clandestini. Sorrisi partecipi ma sempre discreti, quasi timidi, perché di fronte a chi ha tanto sofferto anche l'amore deve declinarsi con sapienza e non limitarsi a un banale moto dell'animo.
Ma l'occasione non era lieta, non voleva esserlo e non lo è stata. Il Papa "parente" si è dimostrato tale soprattutto nel lancio della corona di fiori nel Mediterraneo. Non per la platealita' del gesto. Ma perché, ancora una volta, egli ha saputo spostare, decentrare l'attenzione. Si è messo al centro restando in periferia. Il protagonista non era lui, ma l'acqua e, sotto quell'acqua, altri fisici, altri corpi mai più emersi. Destinati a non aver volto né nome. Bergoglio non ha voluto lasciare nemmeno quei corpi totalmente soli.  
Ed era triste, impotente. Per se', come rappresentante di un mondo che ha permesso quella sconfitta, quell'anonimato di corpi disperati.
Ha letto la scritta a spray colorato sul lenzuolo svettante sul fusto di una raffineria: "Benvenuto tra gli ultimi". Semmai, un bentornato. Perché il posto "naturale" di un Papa dovrebbe essere quello. L'istituzione si siede al tavolo dei potenti, si pasce di diplomazia, politica e affari. Il corpo del Papa, cioè a dire del padre, del parente casalingo, sta in penombra tra le mura domestiche, pronto ad accorrere al più flebile richiamo.
Gli ultimi. Oltre, non si va. Oltre Lampedusa, non è più Europa. O non è forse "soprattutto" Europa?
Lampedusa è chiarore potente. Non esiste aurora, a Lampedusa: solo un abbacinato indaco, perenne come il deserto. Lampedusa è radice. Sì, questa è l'Europa, qui la principessa fenicia del mito torna a svelarsi. Il cuore ascoso del continente più artificiale del mondo non si trova negli uffici della BCE, cattedrali anch'esse, ma d'un dio minore, freddo e impersonale. Pulsa qui, in quest'angolo che invece è un'agora', una piazza immensa, dove la maggior parte degli uomini esige il suo diritto a esistere con dignità. Gli ultimi saranno i primi? Quando si realizzerà questo futuro?
Perciò la porta di Lampedusa ricorda tanto quella degli schiavi imbarcati sulle negriere verso lo sfruttamento e la morte. Perciò Bergoglio ha usato proprio questo termine, schiavitù, e ha chiesto scusa e ha denunciato, perché non basta commiserare, non basta piangere. L'umanitarismo non è più sufficiente, occorre umanità. La preghiera si fa quindi anche politica, vale a dire arte della polis, torna a essere quell'agora' nella quale si discute, ci si confronta e si chiedono cambiamenti. Anche radicali. Quell'espressione papale subito rimbalzata di luogo in luogo, "globalizzazione dell'indifferenza", non poteva essere più indovinata e terribile. Implica necessariamente un mutamento di prospettive, un'azione. Nella visione del Papa, abbandonare Dio significa confondere il bene col male, ritenere normale l'intollerabile. Ed è quanto finora abbiamo fatto, in perfetta coscienza, verso i "migranti" ma, in fondo, verso ognuno di noi. Bergoglio non è un irenista né un demagogo. Non lo è, osserva qualcuno, anche per la sua vicenda personale, a sua volta figlio d'immigrati ecc. Probabile. Ma per giungere alle sue conclusioni basterebbe prendere sul serio il Vangelo. Anteporre il calcolo alla totalità dell'uomo non è realismo, ma solo grettezza e ottusità. Quando Dio abbraccia l'uomo ne conosce i limiti, i tradimenti e le mancanze. E, nonostante questo, lo accoglie. Si fida di lui perché sa che è, può essere, anche altro, perché in fondo ha solo quest'uomo imperfetto da amare.
I "migranti" non sono né tutti buoni, né tutti santi. Non lo è nessuno di noi, però. Non siamo numeri da statistica. Diveniamo migranti perché noi stessi abbiamo creato un sistema economico, sociale, storico che ci reifica. È giunto il momento, ed è questo, di gridare una simile verità.
E la verità colpisce inesorabile. Non meraviglia la stizza di esponenti della destra italiana, convinti papisti fino all'altro ieri e pronti a stipulare patti d'acciaio col Vaticano in nome dei "valori non negoziabili" (aborto, famiglia tradizionale, bioetica, crocifissi da brandire negli uffici pubblici...). Oggi improvvisamente si riscoprono paladini della laicità, arrivando a rimproverare il Papa di ingerenza. Un conto sono le prediche, un conto la politica, si lascia sfuggire, nel suo italiano da Bar Sport, un rabbioso Cicchitto, senza conoscere il significato né dell'uno né dell'altro vocabolo (per sorvolare sul concetto di laicità, evidentemente troppo complesso per i governanti nostrani). Quanto alla Lega, l'esponente di punta del razzismo e della xenofobia più marcati, la stizza si è già tramutata in odio nello sgangherato lessico di Boso, ormai apertamente fascista: "Me ne frego delle parole del Papa, io quando un barcone affonda sono contento". Costoro erano i chiassosi fautori dell'"Europa bianca e cristiana". Dai loro frutti si sono riconosciuti, non occorreva aspettarne la prova. Non sono i soli, però.
Il Vangelo di Bergoglio - il Vangelo - suscita repulsione nei benpensanti d'ogni specie. Di qualsiasi credo politico. Tra gli amanti delle soluzioni semplici e facili. I manichei. Quelli pronti ad additare il nemico, che naturalmente è sempre l'altro, fuori e lontano da noi, ben visibile, diverso anche somaticamente, perché i luoghi comuni sono pure razzisti. Così, non pochi cosiddetti laici-razionalisti-progressisti si trovano oggi affiancati alle destre nel sentimento di stizza e odio verso il Papa. Qualcosa non ha funzionato. E sotto sotto rimpiangono i "bei tempi" in cui si poteva attribuire al Vaticano qualsiasi nefandezza, tuonare inorriditi e compiaciuti contro la pedofilia di certi preti nascondendo così dietro l'alibi delle sacre sottane la propria totale mancanza di senso morale, la connivenza o almeno l'accettazione di una società fondata su consumismo ed edonismo e, dunque, intrinsecamente monadica, strutturata su rapporti di forza e squilibrio dove i soggetti indifesi (bambini, donne, immigrati...) diventano cose da godere, o sfruttare, a proprio esclusivo piacimento. L'eliminazione del sacro non ha reso l'uomo più libero ma piuttosto meno umano, in balia di pulsioni solitarie e totalizzanti cui obbedire come a un imperioso padrone. Ecco, a costoro una Chiesa che li mette di fronte alle proprie responsabilità non può che disturbare. E reagiscono. "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi tu vinci" diceva Gandhi. Siamo tra la seconda e la terza fase. Circolano ancora i filosofi disincantati, i sapientoni, gli scettici professionisti, che con una smorfia sprezzante, pur se sempre meno tranquilla, cercano di liquidare i gesti di Bergoglio come marketing, strategia, piacioneria. Ma, accortisi di perdere terreno e consensi, alcuni di loro hanno già cominciato ad alzare la voce, se non a sbraitare, e allora i toni, persino le argomentazioni, collimano pericolosamente con quelli di Cicchitto e Borghezio: "Paga l'Imu! Prenditeli tu in Vaticano! C'è lavoro solo per noi! E poi, insomma, se dobbiamo dirla tutta questi 'estracomunitari' a me sono sempre stati !...". L'ipocrisia disvelata provoca un cortocircuito delle coscienze. Squarcia il velo delle false certezze. Don Milani direbbe: "Li fa stare col culo stretto".
Per questo la vera enciclica, il vero documento programmatico del pontificato di Bergoglio non è l'algida "Lumen fidei" redatta quasi totalmente da Ratzinger. Lo è, se s'intende il motivo profondo delle scelte di Francesco, né progressiste né conservatrici, non di destra né di sinistra, ma interamente immerse nel Vangelo. Perché - è sempre Bergoglio a ricordarcelo - "la Chiesa non è un'Ong". E, d'altro lato, è lo stesso Vangelo a imporre delle scelte, a prendere "una parte" - don Tonino Bello chiamava Maria "donna di parte": la parte degli emarginati, dei tribolati e dimenticati, cfr. Magnificat -: e non tutte le parti sono neutre e indifferenti - non "globalizzate". Preghiera chiede azione: forse per questo Gesù non ha lasciato scritto niente. Si è trasmesso a noi tramite testi altrui, ma per incontrarlo veramente dobbiamo arrivare alla sua persona. Ognuno di noi. Come ha tentato di fare, per un lunghissimo e storico giorno, il papa Francesco, ma soprattutto l'uomo Bergoglio, in quell'ultimo straccio di mare, di fronte a bare liquide e mute.

fino a quando il Pd cederà ai ricatti della Pdl e si faranno invece gli interessi dell'Italia e non di una persona ?

 forse  quando  saremo come  la  grecia o come l'argentina    di tre  anni fa  . Non si lamentino  facendo gli  gnorri  se  alle prossime elezioni  Grillo prenderà più voti


Parlamento Bloccato: Rissa in Aula videoDopo la decisione della Cassazione sul processo di Berlusconi sono iniziati i problemi

Il Pdl ha deciso di bloccare i lavori a Camera e Senato, all'inizio il PD era contrario, ma poi..
Poi si é votato e il PD ha votato a favore.
Di fatto il parlamento è stato bloccato a causa dei guai del Presidente del Pdl, in quandto il PDL aveva ricattato il Governo così: " O si ferma il parlamento per un giorno o cade il Governo".


le immagini del video sotto 




 parlano da sole non vale la pena di sprecare parole e dire le solite ovvietà su un pd allo sbando i dissidenti senza ..... che s'illudono di poter cambiare rotta dall'interno


9.7.13

Genoveffa, storia a lieto fine di una tartaruga marina sfortunata. da prigioniera all'acquario d'alghero a libera in mare

  Unione sarda  
Martedì 09 luglio 2013 17:53

Prioginiera" per 35 anni in una piccola vasca dell'acquario di Alghero. Adesso per Genoveffa, così era stata ribattezzata la tartaruga marina, inizia una nuova vita con la speranza che presto possa tornare tra le onde del mare.
Genoveffa, storia a lieto fine di una tartaruga marina sfortunata





Ha un lieto fine la travagliata storia di un esempplare di Caretta caretta che nei giorni scorsi è stata sequestrata dal Corpo forestale dello Stato all'acquario di Alghero.
Dopo le visite e i controlli alla clinica veterinaria Duemari di Oristano, adesso Genoveffa si trova al Cres di Torregrande (il Centro di recupero delle tartarughe del Sinis), dove sarà rimessa in sesto con l'obiettivo di liberarla in mare, non appena le sue condizioni lo consentiranno.
LA STORIA - L'esemplare femmina di Caretta caretta era stata catturata nelle acque del Mediterraneo nel 1977, prima che entrasse in vigore in Italia la Convenzione di Washington (Cites) per la tutela di specie animali e vegetali in via di estinzione.
Da allora Genoveffa è stata relegata in una vasca per l'esposizione al pubblico. Un ambiente che, secondo gli uomini della Forestale, "è privo dei requisiti minimi necessari per garantire le idonee condizioni bio-etologiche e di conservazione della specie oltre che quelle basilari di benessere come la temperatura controllata e il ricambio adeguato dell'acqua".
LA BATTAGLIA - Già due anni fa, la Caretta caretta era stata sequestrata dal Corpo Forestale della Regione. Un quadro clinico preoccupante, uno stato nutrizionale inadeguato avevano reso necessario il trasferimento urgente dell'animale nel Centro di recupero specializzato di Torregrande.
Otto mesi più tardi, però, il Tribunale di Sassari aveva disposto il dissequestro e l'esemplare era stato restituito al proprietario dell'acquario. C'era stata quasi una sollevazione popolare, manifestazioni, mobilitazione sui social network e a livello internazionale. Una battaglia combattuta su più fronti fino ai recenti sviluppi.
IL BLITZ - Un controllo eseguito in collaborazione tra il Servizio Cites Centrale di Roma del Corpo forestale dello Stato, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, l'Unità Operativa per la tutela degli animali del Ministero della Salute, con la collaborazione di un team di veterinari specializzati.
E nei giorni scorsi il Corpo forestale dello Stato ha strappato Genoveffa a quell'ambiente infelice da cui viveva da quando aveva pochi anni di età. Dal sopralluogo effettuato all'acquario di Alghero è emerso uno stato di generale degrado. La vasca che ospitava la tartaruga era ancora priva dell'impianto di termoregolazione, della luce diretta del sole e delle lampade UVB.
L'acqua nella vasca era torbida, tanto che saranno analizzati alcuni campioni. "Il carapace della tartaruga appariva deforme, opaco e rivestito da uno strato di alghe, aspetti tipici di soggetti con gravi carenze nutrizionali provocate dalle pessime condizioni ambientali", aggiungono dal Corpo Forestale.
LA DENUNCIA - Dopo aver acquisito anche il parere dei medici veterinari, il proprietario dell'acquario è stato denunciato per maltrattamento e detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura. L'uomo, inoltre, dovrà rispondere anche per l'offerta in vendita e l'utilizzo per fini di lucro dell'esemplare in assenza della prescritta documentazione Cites.
La sentenza del 2012 del Tribunale di Sassari aveva legittimato la detenzione dell'esemplare, poiché catturato prima della Convenzione di Washington, ma non il suo utilizzo per fini commerciali. Dalle indagini sarebbe emerso che il responsabile, invece, avrebbe anche tentato di vendere la tartaruga.
L'ALLIGATORE - Nell'acquario era tenuto anche un esemplare di tartaruga alligatore, appartenente ad una specie considerata pericolosa per la salute e l'incolumità pubblica. Non c'erano le necessarie autorizzazioni, così anche questo rettile è stato sequestrato. Entrambe le tartarughe sono state trasferite presso un Centro di Recupero specializzato di Torregrande, Oristano.

Valeria Pinna

Molto eloquente  anche il  commento a tale  articolo  :<<  Torna presto alla liberta'.Tante altre tartarughe vivono la stessa condizione,sono quelle acquatiche americane che comprate nei negozi,piccole quanto una moneta da 2 euro ma che nel giro di pochi anni diventeranno grandi 30 cm,che vengono alimentate in modo scorretto a gamberetti secchi(devono mangiare pesce crudo di acqua dolce e altro) e che una volta troppo cresciute se non muoiono prima verranno liberate nei laghetti cagliaritani o ancora peggio in natura,prima di comprarle pensateci molto bene. >>

Bulgaria, la “protesta dimenticata”: un movimento che i media non raccontano


A Sofia i manifestanti scendono in piazza  contro la nomina di un oligarca a capo della sicurezza nazionale. Dai corteo un unico slogan: “Non sono pagato per manifestare, vi odio gratis”. Nel fanalino di coda dell’Europa, da un mese va avanti una mobilitazione quotidiana dei cittadini. Ma i media mainstream non sono interessati.
Bulgaria protesta
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Bulgaria protesta
IL NUOVO VOLTO DELLA PROTESTA – In queste settimane gli occhi del mondo intero sono rimasti fermi, impietriti di fronte alle violente manifestazioni di dissenso che hanno incendiato il mondo arabo. Da Instanbul al Cairo il denominatore comune della protesta  è stata la rabbia della piazza nei confronti dei governi nazionali, incapaci di rispondere al bisogno di democrazia rivendicato più volte dall’intera collettività.  Ma ad oggi l’epicentro delle contestazioni si sposta più ad Est, precisamente nelle piazze di Sofia, antica capitale della Bulgaria. A distanza di 5 mesi dalle contestazioni di febbraio che avevano coinciso con le dimissioni dell’esecutivo Borisov, centinaia di bulgari sono tornati a manifestare. Da circa un mese e precisamente dal 14 giugno, le proteste vanno avanti initerrottamente.
Bulgaria protesta
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Bulgaria protesta
Questa volta, il motore della mobilitazione non risiede soltanto nella comune sfiducia dei cittadini nei confronti della classe politica, ma assume tutte le caratteristiche di unacontestazione a sfondo morale volta a depurare la politica dalla latente piaga della corruzione.  Infatti, soprattutto degli ultimi anni, la storia bulgara è stata marcata da una fitta catena di scandali concernenti la collusione di importanti esponenti politici con potenti e ricche famiglie di oligarchi. Ne è un esempio il caso Bulgartbac, società pubblica che gestisce la produzione di tabacco, risalente al 2007 . Secondo il quotidianoDnevnik, l’intera vicenda fu incentrata su una battaglia segreta volta ad ottenere il controllo di circa 60 milioni di euro, che ogni anno senza essere registrati sparivano dalle casse dell’industria del tabacco per arrivare a quelle dei partiti. In quest’occasione, molti tra le file del partito socialista bulgaro tremarono.
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Delyan-PeevskiL’UOMO NEL MIRINO DELLA PIAZZA -Ma la ragione più profonda del malcontento dei manifestanti è da ricercarsi nella decisione dell’attuale esecutivo di nominare Delyan Peevsky a capo dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, giunta proprio lo scorso 14 giugno, quando i cittadini si sono riuniti di fronte al parlamento. Il buon Peevsky è infatti l’emblema forse più significativo del contaminato sistema politico sopra descritto.
32 Anni, deputato dal 2009 con il DPS, Peevsky è anche il figlio di Irena Krasteva, proprietaria della più grande gruppo mediatico bulgaro. Un personaggio influente in diversi settori della vita del Paese, che non si sa come, o forse si sa, a 21 anni diventò membro del consiglio di amministrazione del porto di Varna, in seguito fu costretto ad abbandonare questa posizione per mancanza di titoli di studio richiesti.
Ma fu nel 2005 che fece il salto di qualità. Dopo essere stato per alcuni anni investigatore venne infatti nominato vice-ministro alle Situazioni di emerenza. Perse la poltrona a causa delle accuse di concussione nel contesto dello scandalo Bulgartabac, ma poi venne assolto per assenza di prove e reintegrato. Insomma tutto normale. Se non fosse che la candidatura a deputato di Peevsky fu preceduta dall’approvazione di una legge d’urgenza che ha riformato radicalmente l’agenzia di sicurezza bulgara DANS, al vertice della quale sarebbe stato destinato Peeevsky. Questa  da semplice struttura di analisi dei rischi sarebbe stata infatti investita di poteri di polizia e di indagine. Tutti requisiti, secondo i detrattori, pensati e disegnati appositamente per giovane e influente deputato.
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PASSO FALSO PER IL GOVERNO TECNICO - Il movimento di protesta si chiama “Dance with me”, da ciò l’hashtag #ДАНСwithme: ДАНС è infatti l’acronimo bulgaro di Dipartimento di sicurezza nazionale. La decisione di porre quest’uomo al vertice di un organismo così importante, definita dal leader socialista Stanishev come “una scelta fuori dagli schemi” ha rappresentato l’ennesimo passo falso per il governo tecnico, guidatoPlamen Oresharsky. Il neo-premier, presentatosi ai bulgari come un tecnico, capace di risolvere con austerità e moderazione i più urgenti problemi del Paese, era riuscito a riaccendere la speranza di cambiamento nella cittadinanza. Ma a seguito del caso Peevsky, ogni aspettativa positiva nei suoi confronti è stata stroncata.
Oltre a mettere in serio pericolo la maggioranza risicata di cui gode in Parlamento, il Presidente, per cercare di limitare il danno ha dovuto fare pubblica ammenda di fronte alle piazze gremite di manifestanti furiosi, scusandosi, per quello che lui stesso ha definito un “grave errore”. Ma l’elemento forse più grave per il primo ministro è quello di aver dato l’impressione di aver perso il controllo della situazione e di essere in balia di quegli stessi interessi economici e oligarchici che si era riproposto di arginare.
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Bulgaria protesta
LA PROTESTA DIMENTICATA - La Bulgaria, forse uno dei Paesi più arretrati del vecchio blocco socialista si aggiunge a una lunga schiera di nazioni che scendono in piazza per manifestare contro il loro governi. Ma ciò che forse colpisce di più della contestazione bulgara, definita da molti “la protesta dimenticata”, per lo scarso riscontro che ha avuto a livello mediatico, è il carattere o meglio la forte personalità della piazza. La“danza” cominciata dai giovani bulgari che non vedono un futuro davanti a sé sta contagiando tutto il popolo bulgaro. E le ragioni non mancano: la Bulgaria è il Paese con il più basso reddito pro capite della Comunità Europea (400 € al mese) e il costo per l’elettricità è raddoppiato, tanto che gran parte dello stipendio di un cittadino medio è utuilizzato per pagare luce e riscaldamento. A far da contraltare alla miseria dei più è l‘ostentata opulenza di oligarchi e mafiosi, che troppo spesso stanno tra le le fila di Stato, servizi segreti o polizia, come Peevski.
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Bulgaria protesta
Malgrado la corruzione rappresenti il tallone d’Achille e si sia dimostrato impermeabile anche all’ingresso del Paese nell’Unione Europea, i bulgari rifiutano questo sistema. Non guardano a questo al clientelismo consolidato come la norma, non guardano passivamente alla corruzione come risultato del “così fan tutti”, non restano imbambolati di fronte agli scandali che umiliano il loro Paese. Ma al contrario reagiscono. Non si fanno fermare dalla frustrazione del fallimento preannunciato di un governo tecnico e scendono per le strade della Capitale rivendicando un ideale di Nazione giusta, capace di costruire la propria democrazia non sullo spettro del compromesso ma sulla forza della buona politica.
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Giulia Molari

Intervista Donne e spot, cambiamo marcia intervista di Francesca Sironi a una delle pioniere dell'advertising italiano, Anna Maria Testa.




Dopo la denuncia di Boldrini sull'abuso del corpo femminile nella pubblicità parla una delle pioniere dell'advertising italiano, Anna Maria Testa. Che dice: usare lo stereotipo 'velina' fa male all'economia (08 luglio 2013)
Auto, yogurt, telefonini. Vacanze, gelati, spedizioni postali. Non importa il prodotto quanto il mezzo. E nelle pubblicità italiane il mezzo è quasi sempre lo stesso: la donna. Non la donna scienziato, esperto, dottore, astronauta. Ma la donna "Fidati, te la do gratis", "Montami a costo zero", "Metti il tuo pacco in buon mani", oppure zitta, un bell' arredo, un porta-qualcosa utile per una radio come per una marca di vestiti.
E se a maggio il tema dell'abuso dell'immagine femminile in tv era stato sollevato dalla presidente della Camera Laura Boldrini ( «Serve porre dei limiti all'uso del corpo della donna nella comunicazione», aveva detto l'ex portavoce dell'Unhcr: «Basta all'oggettivazione, perché passa il messaggio che con un oggetto puoi farci quello che vuoi»), ora a rispondere è una delle più famose pubblicitarie d'Italia, Anna Maria Testa. «La nostra televisione espone molto le belle ragazze, ma rappresenta poco l'universo delle donne», sostiene la titolare di "Progetti nuovi", che ha dedicato a questo tema il suo intervento alla riunione annuale dell'Upa - utenti pubblicitari associati: «E' l'Osservatorio di Pavia a dirci, per esempio, che tra gli esperti intervistati nei TG italiani l'86 per cento è uomo». Solo il 14 invece appartiene al "sesso debole".
Il punto, sostiene Testa, non è quindi inquadrare meno tanga in primo piano o proibire le scollature in tv, quanto «mostrare più scienziate, più imprenditrici, più professioniste, più manager: è importante che le donne entrino a pieno titolo, e non solo da veline, nella rappresentazione che di se stesso dà il nostro Paese. Abbiamo bisogno di meno stereotipi e più modelli di ruolo». Proprio contro gli stereotipi la pubblicità potrebbe avere un ruolo importante, se invece di continuare a usare tette, sguardi e gambe femminili come una macelleria iniziasse a riflettere la realtà italiana in modo diverso: «Chiariamo una cosa: educare non è compito della pubblicità. Devono farlo le famiglie, la scuola, le istituzioni. Ma la pubblicità può e oggi forse dovrebbe dare una mano, perché è una forma efficace, pervasiva, di comunicazione e perché è espressione delle imprese che sono» o dovrebbero essere «la parte attiva del paese, quella proiettata verso la crescita, il futuro».
Anche se qualcosa sta cambiando, negli spot televisivi gli stereotipi sono ancora lì, ben saldi, «E non parlo delle pubblicità offensive: quelle che possono essere condannate dal Giurì, e che giocano sporco sulla provocazione sessuale per conquistare una notorietà da scandalo. Per fortuna, si tratta quasi sempre di fenomeni marginali. Sto parlando della pubblicità mainsteam delle grandi marche. Quella che davvero orienta l'immaginario collettivo del paese» e che ancora rappresenta la donna come la madre che porta in tavola la cena, che è in ansia per il bucato dei bambini, che in fondo appartiene a un modello non così lontano da quello con cui negli anni '50 sono state vendute milioni di lavatrici: «C'è un intero universo femminile e familiare da raccontare», continua Testa: «Nel 2011, in Italia, su 546mila nuovi nati il 25 per cento era da genitori stranieri, il 7,7 da madri over 40 e il 24 da mamme non sposate. Tra i trentenni, circa una ragazza su 4 e meno di un uomo su 6 sono laureati. E più di metà delle donne fra i 25 e i 50 anni che hanno figli lavora».
Tutte figure che nei nostri spot entrano poco. Ma i messaggi non potranno rimanere solo questi, conclude Anna Maria Testa, soprattutto se le imprese vorranno continuare a vendere: «Secondo l'indagine Cermes Bocconi del 2012 le donne attuano o influenzano oltre il 94% degli acquisti di prodotti per la casa, alimentari, cosmetici e oltre il 64% di quelli di banche, assicurazioni, utenze e automobili». E probabilmente sono più contente a farlo se non si vedono spiattellate sul cofano ma al volante.
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Anna Maria Testa

la foca monaca resiste e vuole restare in sardegna


LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...