3.1.16

DA GOLFO ARANCI A FAVIGNANA: IL MESSAGGIO IN BOTTIGLIA DI NICCOLO

Questa estate un bambino di 13 anni ha racchiuso un messaggio dentro una bottiglia che ha affidato al mare, al largo di Tavolara. Poche ore fa la chiamata da Favignana: la bottiglia era stata ritrovata. Il servizio è di Antonella Brianda. Gli intervistati sono: SABINA FELICI MAMMA DI NICCOLO DE BENEDICTIS, NICCOLO DE BENEDICTIS



i più maligni pensano che sia  ostentazione

Vincenzo Bo Bella notizia... e sentire la soddisfazione della madre al tg... davvero una gaggia. Ora ne vedrete di idioti che butteranno bottiglie in mare. A calci nel culo lo avrei preso il figlio
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Maddalena Busia Sentendo il titolo al tg mi sembrava una storia carina, finchè non ho visto la mamma che parla della "SUA barca Desideria" e poi il ragazzino... va beh, come mettersi in mostra e far parlare di sè!
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Giorgio Pintus Già, mammina non ha resistito all'ostentazione, forse lei stessa ad aver chiamato i giornalisti. Pure il bamboccio ostentatamente dandy, così spigliato di fronte alle telecamere... chissà cosa hanno in programma per il futuro))) Spero non lo scellerato suggerimento della giornalista che a fine servizio rinvia tutti alla prossima estate ed alla prossima bottiglia))))
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Giorgio Pintus Comunque Bo esagera... a parte che pensandoci bene potrebbe essere tutta una messa in scena e la bottiglia nella spiaggia di Favignana potrebbe averla depositata mammina in persona, tuttavia i calci non si danno e poi fanno meno male delle prese per il culo che, di fronte a tanta spocchia, sono come un invito a nozze.
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o inquinamento

Gabriele Costa Praticamente un gesto di inciviltà è stato trasformato in spettacolo e motivo di vanto. Veramente una notizia sconfortante. Questa estate si è parlato tanto dei furti di sabbia e della tutela del patrimonio naturale ma se poi i sardi sono i primi ad inquinare, non si può pretendere che gli altri rispettino la nostra terra. Dispiace vedere l'atteggiamento soddisfatto della madre per l'atto riprovevole del figlio. E la chiusura del servizio dove si auspica che l'anno prossimo il ragazzino getti una nuova bottiglia in mare è veramente imbarazzante.
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Lucia Addis Avete ragione nel dire che non se tutti facessero altrettanto ci sarebbero grossi problemi ma esiste anche, in questo gesto, un ricordo lontano legato a letture di libri che ora sono passati di moda....
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Luca Ballore Accidenti a voi che continuate a pubblicizzare questa moda di merda. Come se la gente non fosse di per sé già abbastanza imbecille e come se il mare avesse bisogno di altra spazzatura.
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Walter Sanna che commento delicato.....
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Roberta Francesco Già... era un fatto da non commentare per non far nascere l'idea ad altri...
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Luca Ballore Esattamente come volevo che fosse...
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Giuseppe Scano se ha usato una bottiglia di plastica , se ha usato una di vetro no . perchè il vetro da sabbai che era in origine ritorna sabbia
secondo un modo originale , che ha anche un certo fascino di vintage in tempi dove la tecnologia ( cellulari , internet , ecc ) uccidono le emozioni che si prova un tempo nelel semplici lettere scritte a mano o appunto nei messaggi in bottiglia .

Due secoli di storia della stampa sarda nella collezione rimasta senza museo

Due secoli di storia della stampa sarda nella collezione rimasta senza museo dall'unione sarda  del 2\1\2016


P.s se non riuscite a vederlo lo trovate  qui alla fonte originale




Custodisce la storia della stampa in Sardegna. Oltre 240 anni salvati dalla distruzione e dall'oblio, ma ancora scarsamente noti al pubblico. Mariano Deidda è un tipografo cagliaritano. Il titolo di professore lo meriterebbe ad honorem, perché nessuno - come lui - sa dar voce a oggetti belli, ma altrimenti senz'anima. Nell'arco di trent'anni ha scoperto e acquisito 15 tonnellate di materiale. Si tratta degli attrezzi appartenuti a 60 tipografie attive in Sardegna a partire dalla fine del Settecento e sino alla metà del Novecento, quando secoli di storia e tradizione furono soppiantati dall'avvento delle tecnologie informatiche.
Nessun museo si è offerto di mettere in mostra la raccolta in maniera completa e stabile. Dieci anni fa un progetto venne predisposto dal Comune di Cagliari e pensato per lo spazio Search, ma non è mai stato realizzato. La Soprintendenza ha sottoposto a vincolo solo una piccola parte della collezione. Riposa, in attesa dell'attenzione che merita, in 60 cassette di legno brunito di fattura e profumo antichi. Centinaia di caratteri mobili, fregi incisi da bulini e precisione d'orefice raccontano l'attività della Stamperia reale di Cagliari, lo straordinario dinamismo culturale della Sardegna a cavallo tra età moderna e contemporanea, gusto e cura nel produrre libri, la fame di lettura e ancora la voglia di partecipare al dibattito politico attraverso i quotidiani. «Nel 1860 la Sardegna - precisa il maestro - era la regione d'Italia in cui si stampavano più periodici».
L'articolo completo, con l'intervista al tipografo, sull'Unione Sarda in edicola.

FRANCIA/ La storia di Tippi, la ragazza che parlava agli animali



Tale storia  riportata  dal  solito http://www.curioctopus.it/, se  pur  vecchia   di tre  anni  , ma pur sempre  affascinante  ,potrebbe sembrare la trama del romanzo di Rudyard Kipling o  del controverso E venne chiamata Due Cuori  un romanzo autobiografico o  pseudo tale  di Marlo Morgan in cui l'autrice racconta la sua esperienza di viaggio attraverso il deserto australiano, dopo aver vissuto con gli aborigeni qui alla voce di wikipedia e venne chiamata  due  cuori   ulteriori  news ) . Essa  è quella  di Tippi Degré, figlia di due fotografi naturalisti francesi e nata nel 1990 in Namibia, Africa, che fino all'età di 10 anni ha condiviso la sua vita con gli animali.

per  ulteriori dettagli 

La bambina è cresciuta nella natura africana incontaminata, giocando con gli animali selvaggi. Il suo rapporto con loro è documentato dalle sorprendenti foto scattate dai suoi genitori, che la ritraggono in compagnia di elefanti, struzzi e leoncini.
“Ognuno di noi ha un dono. Io parlo con gli animali. Ma non uso la voce. Capisco cosa i miei amici mi vogliono dire da uno sguardo, dal modo in cui muovono le piume, alzano una zampa, usano gli artigli.”
Oggi Tippi vive a Parigi, è appassionata di cinema e sogna di tornare in Africa a girare un documentario proprio su di loro: i suoi amici animali.

via: trueactivist.com

immagine: BARCROFT MEDIA

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immagine: BARCROFT MEDIA

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immagine: BARCROFT MEDIA

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ma  mi  è piaciuto di più  questo articolo di  http://salute.leonardo.it/  che  riporto sotto




Se vi mettete insieme a me nel gruppo di coloro a cui non importa niente della gravidanza di Belen o di altre star, vi piacerà sicuramente questa storia che, sì… merita davvero un po’ di spazio per essere raccontata. E’ la bellissima storia di Tippi Degré (il nome completo è Tippi Benjamine Okanti Degré), francese nata il 4 giugno del 1990, che ha passato la sua infanzia in Namibia, cresciuta in mezzo agli animali e alle tribù del Kalahari.

CHI E’ TIPPI DEGRE’

La bambina nacque in Namibia da genitori francesi: il papà Alain e la mamma Sylvie Robert lavoravano come fotografi naturalisti indipendenti, ed hanno voluto che la piccola nascesse in Africa e crescesse insieme a loro a contatto con la natura. Una scelta coraggiosa, ma che ha permesso alla piccola Tippi di crescere in totale armonia e simbiosi con la natura e gli animali selvaggi. Se vi emozionate vedendo queste foto, capirete quanto è stata bella e importante per lei la scelta dei genitori…



GLI AMICI DI TIPPI

Durante la sua permanenza in Namibia, Tippi ha avuto per compagni di giochi molti animali selvatici, come l’elefante di 28 anni Abu, un leopardo che ha chiamato J&B, coccodrilli, leoni e giraffe, un Galago del Nord, una mangusta, un emù, alcune faine, un cucciolo di zebra, un giaguaro, un caracal, un serpente, un pappagallo grigio africano, un rospo gigante ed alcuni camaleonti. La bambina è anche diventata amica di un cacciatore delle steppe della tribù degli Himba, una delle etnie del Kalahari, che le ha insegnato come sopravvivere di radici e di bacche, e a parlare la loro lingua.

IN MADAGASCAR E POI IL RITORNO A PARIGI


Tippi si è in seguito trasferita con i genitori in Madagascar e poi ha fatto con loro ritorno in Francia, dove è diventata presto una celebrità. Un libro (in Francia famosissimo) raccoglie le sue avventure (“Tippi of Africa”), a cui è seguito My book of Africa. Tippi ha anche dedicato un sito web alla sua infanzia spesa in Namibia, e appena ha potuto è tornata in Africa per girare una serie di sei documentari per Discovery Channel.

L’IMPATTO CON LA CIVILTA’

A Parigi, Tippi ha frequentato per due anni una scuola statale, ma poi ha dovuto proseguire gli studi a casa con insegnanti privati, perché aveva davvero poco in comune con gli altri bambini parigini. Il perché è facile comprenderlo… cresciuta completamente libera, a contatto con culture ancestrali e il vento caldo sulla pelle, ad affrontare la vita secondo i ritmi della natura e con un bagaglio di conoscenze che i bambini di città non potevano comprendere – per ignoranza e mancata esperienza -, imporre a Tippi di dimenticare ciò che sapeva non era davvero possibile. Il suo, del resto, era un valore aggiunto e non una mancanza.
Ora Tippi sta studiando cinema all’Università della Sorbona… che dire… tanti auguri a questa ragazza che ha avuto una fortuna immensa, quella di vivere libera, come ogni bambino meriterebbe di essere, e di sviluppare un’empatia nei confronti degli animali che noi cosiddetti “civilizzati” abbiamo perso da tempo immemore.
Qualcosa mi dice che sentiremo ancora parlare di lei… 
Questa ragazza che ha vissuto a cavallo di due mondi ha molto da insegnare a tutti noi

 Infatti  da  quello che  ho letto in giro per  il web    Ora che “la piccola Mowgli” ha diciott'anni, ha terminato il baccalaureato (   corrisponde  ala nostra  maturità liceale  )   a Parigi e si è iscritta alla Sorbona. Indovinate il suo sogno nel cassetto? È appassionata di cinema e vorrebbe tornare in Africa a girare dei documentari. Tra i suoi animali.

LETTERA DI UN ( ANZIANO) PADRE AL FIGLIO... :



in sottofondo il vecchio e il bambino - Francesco Guccini







da  , come  l'articolo  , da  LINK PER TUTTI  DEL 10 aprile 2014 ·




Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc; quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio

Rocco Scali, il barbiere di New York innamorato di Bolzano


da http://altoadige.gelocal.it/bolzano/cronaca/  del 2\1\2016
Nel 1957 lui partì dalla Sicilia per la Grande mela, il cugino per l'Alto Adige. Da allora, ogni anno, gli manda una cartolina per Natale. E i suoi clienti discutono per ore dei vini dell'Alto Adige. Rocco Scali è stato il barbiere di Truman Capote e ha tagliato i capelli a Luca Brasi (l'attore Lenny Montana) prima di girare la celebre scena del Padrino







Rocco Scali con un cliente nel suo negozio di Brooklyn

BOLZANO. Ogni Natale che dio manda in terra Rocco “Rocky” Scali, spedisce una cartolina a Bolzano. Che sia l’Empire State Building che sbuca dalle nuvole, il ponte di Brooklyn, le due torri prima dell’11 Settembre, la Freedom tower oggi, lui esce sulla Henry Street, sceglie la foto giusta, scrive gli auguri, affranca e spedisce. Dal 1957. L’anno in cui arrivò a New York dalla Sicilia. Aveva 17 anni. Lui partì per la Grande mela in cerca di fortuna, suo cugino Rocco (stesso nome) per l’Alto Adige. Due storie d’immigrazione parallele. I due, oltre che cugini, erano grandi amici. Da allora si scrivono sempre gli auguri per le feste, e ogni due anni Rocco Scali lascia il suo barber shop di Brooklyn e vola a Bolzano. «La adoro. Una città bellissima, con quelle montagne e quel cielo limpido», dice mentre affila la lama nel suo salone al piano terra dell’Hotel St. George a Brooklyn Heights, accanto alla fermata della metro, a due passi dal ponte.




Lavora qui dentro dal 1958. «Quando sono arrivato a Nyc - racconta - ero un ragazzino. Al paese avevo iniziato presto. A 12 anni ero già garzone del barbiere sulla piazza principale». Grazie all’Agenzia per l’emigrazione dal Sud Italia, il giovane Scali viene assunto da Joseph La Marca, un italoamericano che nel 1926 ha aperto il salone “The Cutting Den”. Rocco diventa “Rocky” e parte il sogno americano. «All’inizio lavoravo il venerdì e il sabato. Poi il signor La Marca mi ha preso fisso. Da allora non mi sono più mosso». Sono passati quasi 60 anni: oggi il barber shop è metà suo e metà del figlio di La Marca. Lui, che ormai di anni ne ha 75, non ha nessuna intenzione di mollare. «A casa che faccio? No, la mia vita è qui, in questo quartiere». Lavora anche 12 ore al giorno e tiene aperto dalle 9 del mattino alle 10 di sera. Rocco Scali taglia la zazzera ai giovani hipster di Willamsbourg e ai clienti che vanno da lui da 50 anni anche tre, quattro volte alla settimana. Lo scrittore Truman Capote, quando abitava a Brooklyn, passava da Scali tutti i giorni a farsi massaggiare il visto e tagliare la barba. «Era un ragazzo piccolo con la voce squillante. Mi resi conto che aveva scritto “Colazione da Tiffany” soloquando vidi il film al Radio City Music Hall», sorride Rocky.
Lo scrittore Truman Capote era un...
Lo scrittore Truman Capote era un cliente di Rocco Scali
Ogni giorno Capote andava a farsi una nuotata nella piscina olimpionica del St. Georg e poi si fermava in bottega. «Venne da me anche il giorno prima di partire per il Kansas, per intervistare quei due ragazzi che avevano massacrato una famiglia intera - racconta Rocco -. Quelli del libro “A sangue freddo”». Uno dei capolavori assoluti del Novecento. Ma non è l’unico capolavoro in cui Rocco/Rocky è incappato nel corso della sua lunga carriera. Nel 1971, Coppola gira una famosissima scena del Padrino al bar del St. George. «Luca Brasi prima di finire “a dormire coi pesci”, è venuto a tagliarsi i capelli da me», ridacchia. Nel film, Luca Brasi, interpretato da Lenny Montana, fedelissimo killer di don Vito Corleone, viene pugnalato, strangolato e buttato nell’East River, “alla maniera dei calabresi”.
L'attore Lenny Montana (alias Luca...
L'attore Lenny Montana (alias Luca Brasi) nella celebre scena del Padrino. Rocco Scali gli ha tagliato i capelli prima del ciak
Ma i clienti più fedeli di Rocky sono i vecchi abitanti di Brooklyn. Da Rocco si commentano le notizie del giorno, ma si parla anche di vini. al “Cutting Den” tutti conoscono Bolzano. Ne parlano come se fosse dietro l’angolo. Il suo salone è un piccolo club di appassionati delle cantine dell’Alto Adige, che - qua dentro - si pronuncia rigorosamente in Italiano: ALTO ADIGE, do you understand? Niente Südtirol, o, peggio ancora: South Tyrol.«Pinot niiiiro, Chardonnay, Gewürztraminer...», mister Frankie snocciola etichette e produttori sprofondato nella poltrona anni Settanta, mentre Rocky lavora di forbice e pettine sulla sfumatura alta. «Terlano, Caldaro, Termeno... I love them. Buoooonissimi», dice in italiano. Spiega Rocco Scali, con quell’accento che sembra Joe Pesci in Goodfellas: «Noi italiani sappiamo cos’è il vino buono. In America bevevano solo whisky. Adesso hanno capito. Io glielo dicevo sempre, guardate che dove abita mio cugino stappano bottiglie che voi nemmeno vi sognate...». Sul New York Times c’è una rubrica seguitissima di critica enologica. Il suo autore Eric Asimov è una specie di guru del bere bene. «Asimov - racconta un altro cliente - qualche anno fa ha dato un punteggio altissimo ad un Lagrein di una cantina di Bolzano (la Turnhof di Aslago, ndr). Da allora non posso smettere di berlo. Ehi, Rocky, la prossima volta che vai, portamene altre due casse...». E intanto: «Merry Christmas, Bolzano!»

Un leggero tedio... di Daniela Tuscano ©


Impiccare un povero cristo, anzi un bambolotto, un cicciobello sgarruppato dal presepe modestissimo d'una piazzetta di Pitelli (La Spezia) non è solo sacrilego, ma infame. Era stato allestito per raccogliere fondi a favore dei malati di mieloma e leucemia. L'hanno trafugato e appeso, proprio di fronte alla mangiatoia.


"Diamo un senso al Natale", recitava la scritta a fianco del pupo avvolto in un lenzuolino, da cui usciva una piccola mano; benedicente o timida, non si sa. Forse entrambe le cose. Chi l'ha profanato ha voluto negare proprio questo: il senso. Banalizzare il Natale, poi occultarlo, censurarlo - magari col pretesto d'un malinteso rispetto verso altre culture, mentre in Asia e Africa i cristiani vengono martoriati nell'indifferenza totale dei laici perbenisti - e, alla fine, distruggerlo, è frutto d'una medesima empietà, nemmeno voluta del tutto. Non immorale, ché l'odio sarebbe meno grave, bensì, semmai, amorale: oltre. S'impicca un simbolo, come lo si è visto fare, magari, in dubbi spettacoli rock, per noia, per un'alzata di spalle, per vuota autoreferenzialità. 

Gli hanno detto che è divertente, che fa moda, che non è grave, che non conta; al limite, una ragazzata, quando

del ragazzo, in tal gesto, non v'è alcuna freschezza. Solo, piuttosto, il rancidume d'un antico male. 
Gli emblemi non li comprendono più, ma il piccolo nella mangiatoia li sturba, perché è l'Altro per eccellenza. Perché rappresenta il bisogno, l'inizio, la vita, la nudità e la fame, il povero e il profugo, le vittime innocenti delle guerre, i carcerati, i perseguitati, l'infanzia nella sua verità di famiglia. Un'infanzia irripetibile, di cui aver cura; completezza di persona, non ricatto per liti d'adulti, non oggetto di diritti. Verità di dono, dialogo insopportabile per chi si trincera nel solipsismo. Negando il senso della nascita, hanno voluto negare anche quello della croce: e, con lei, della resurrezione. Che non si proietta nell'empireo e non è solo di Cristo ma attraverso Cristo - passaggio obbligato, unico - comincia ora, per tutti noi, nel momento in cui, offrendoci, travalichiamo la materialità, la legge di natura. Il chiuso morbo dell'egoismo. 
Si appende un bambolotto, e ciò che rappresenta, ormai troppo ingombrante e potente, di fronte al luogo del cibo: cioè della condivisione, laddove l'individuo (letteralmente: inscindibile) si fraziona e decuplica nei propri fratelli e sorelle. Non solo di sangue.
Svilisce anche la morte, riducendola a videogame, svuotandone la drammaticità e la solennità: e non conta più nulla, infatti, si tratti dell'immagine d'un bambino. Senza croce, senza morte, non ha più valore nemmeno la vita.
Ci si avvia così alla decostruzione della propria carnalità. E senza nemmeno illogica allegria. Solo con un leggero tedio.

2 gennaio 1960, muore Fausto Coppi per una diagnosi sbagliata. di Fiorenzo Caterini di sardegnablogger

Di solito non credo alle coincidenze , ma a volte esse ci sono . Qualche giorno fa su queste pagine ( http://bit.ly/1SqvUl0 ) avevo riportato la notizia che la a Castellania, trovata la bici dell’ultima corsa di Coppi Scoperta da un appassionato a Milano, esposta durante le celebrazioni di sabato. Realizzata da Fiorello Masi nel 1959, usata dal Campionissimo al Trofeo Baracchi ebbene leggo su http://www.sardegnablogger.it/  oppure anche https://www.facebook.com/Sardegnablogger un bellissimo network sardo che


GEN 2, 2016  Fiorenzo Caterini





L’Italia, era con il fiato sospeso. Le notizie del malore di Fausto Coppi rimbalzavano tra la radio e i giornali. Da qualche giorno la febbre del “Campionissimo” non accennava a diminuire.
Papà, chi era più forte, Coppi o Bartali? Coppi, Coppi ci aveva una roba in più di tutti, che neppure Merckx. E si che Merckx, il Cannibale, ha vinto tanto, era un mostro. Ma Coppi ci aveva una grandezza dentro, una poesia che quando correva faceva piangere.
40 anni, Coppi che respira piano, nel letto d’ospedale. Correva ancora e, con il vecchio rivale, ora direttore sportivo, Ginettaccio Bartali, ci aveva in mente di correre ancora per un po’. L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.
Perché il Fausto respirava sempre più piano, in quel letto di ospedale.
Qualche anno prima, è il 1953. Coppi ha già vinto tutto: 5 Giri, 2 Tour, 2 mondiali su pista, e decine di prestigiose classiche. Gli manca solo il Campionato mondiale su strada. In quell’epoca, i campionati del mondo erano disegnati per i velocisti puri. Quell’anno, a Lugano, solo uno strappo breve, nel circuito, poteva fare la differenza, il resto era tutta pianura. Per Coppi, a 33 anni, sul finire della carriera, era l’ultima occasione di vincere il mondiale. Quella salita, fu sufficiente a Fausto Coppi per sgretolare ad uno ad uno tutti gli avversari.
Qualche anno prima, era il 1951, il fratello di Coppi, anche lui ciclista, cadde durante la Milano – Torino. Tornò in albergo, tranquillo, ma durante la notte si sentì male. Emorragia celebrale. Tragico destino, quello di Serse, gregario del fratello Fausto, “il Campionissimo”.
Serse, fratello caro, non mi lasciare. Non mi va di gareggiare senza di te.
Ma Coppi aveva le corse nel suo destino.
Fausto Coppi era fuori dalla Grazia di Dio. Sposato, si innamorò di una donna, la moglie di un medico, soprannominata poi, con un certo mistero giornalistico, la Dama Bianca. Presero a frequentarsi prima clandestinamente, poi sfidarono il mondo, apertamente.
Scandalo. Altri tempi, erano gli anni ’50. Oggi fa ridere, con il puttanaio che ci gira intorno. Ma all’epoca si finiva in galera. La Dama Bianca fu arrestata, e passò 4 giorni in carcere per adulterio. Coppi fu condannato ad un mese con la condizionale. Altri tempi, altri costumi.
Che Coppi abbia fatto la storia del costume del nostro paese, non c’è dubbio. La sua rivalità con Bartali è certamente la più proverbiale e popolare, in assoluto, nella storia della Repubblica, e indica quella particolare caratteristica degli italici a dividersi in fazioni, alla faziosità precostituita, a fondare rivalità e inimicizie categoriche.
Quando Coppi tornò dalla guerra, nel 1943, neppure la bicicletta per correre aveva. Era stato prigioniero in Africa, ed aveva attraversato l’Italia in sella ad una bici con le ruote piene per tornare a casa, e si era spaccato la schiena. L’Italia era distrutta, e il ritorno alle corse di campioni che avevano acceso di emozioni il paese prima degli orrori bellici, era un auspicio per tornare alla normalità. Un onesto falegname gli regalò la sua bicicletta, e Coppi riprese a correre.
Qualche anno prima, durante una licenza premio, Coppi aveva tentato di fare il record mondiale dell’ora, nella pista del Vigorelli di Milano. Nel velodromo quasi deserto, in una scenografia spettrale, con l’aria tagliata dalle sirene dell’allarme aereo, Coppi volò verso il primato mondiale. Era il 1942. Due anni prima, aveva strappato al suo capitano di allora e futuro rivale, Gino Bartali, il suo primo dei cinque Giri d’Italia vinti.
Se non ci fosse stata la guerra di mezzo, Coppi avrebbe quasi raddoppiato il suo palmares.
Coppi, nel letto di ospedale, ha la febbre altissima, delira. La notte di Capodanno, riprende per un attimo conoscenza. Fa ben sperare. Poi invece sprofonda nell’abisso.
Serse dove sei? Come stai Serse, stai bene? Che hai? Andiamo in ospedale, fratello caro.
I medici a consulto. Una telefonata. É la moglie di Geminiani, il ciclista francese che aveva corso in Africa, qualche giorno prima, con Coppi. E’ malaria, implora. Ma il consulto dei medici, attorno al letto di Coppi, non gli da retta.
Geminiani si salva grazie al chinino, Coppi invece no. Muore per una diagnosi sbagliata.
Ma erano altri tempi. Tempi in cui si finiva in prigione per un adulterio. Tempi in cui non esisteva ancora la TV nelle case, e Mario Ferretti, leggendario radiocronista, apriva le sue trasmissioni con “Un uomo solo al comando. La sua maglia è biancoceleste. Il suo nome è Fausto Coppi”.

LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...