13.4.21

donne in fuga dalla violenza e donne che resistono

  Un altro  aspetto  , soprattutto  quello    della seconda  storia  , quello del femminicidio  e delle  violenze  in famiglia   che costringe    molte  donne  o   evadere  \ fuggire     ( prima storia  ) o a sopportare  per  anni ed  il bene dei figli  e magari a denunciare  ( sempre  che  rimangano vive  )  il  loro carnefice  \ aguzzino  . 

  •  La  prima   è presa da GENTE

  •                                         di MONICA MOSCA La pagina del direttore


  • La “moglie in fuga” che in Cina è diventata un faro per tutte quelle che invece restano

    È nata nel 1964 in Tibet, in una famiglia modesta. La chiamarono Su, un nome piccolo per una bambina piccola: nessuno poteva immaginare quale sarebbe stato il suo destino. Non certo il padre, che la considerava meno di niente e che non voleva farla studiare; nemmeno la madre, troppo acciaccata e spaventata dalle botte che ogni giorno prendeva dal marito. Su riuscì comunque a diplomarsi alle scuole superiori, caparbiamente, e lasciò il suo Paese: se ne andò in Cina, e poco dopo si sposò. Non che fosse innamorata, l’amore era qualcosa di ignoto e diverso. Aveva incontrato il futuro marito solo un paio di volte, quasi non lo conosceva, ma era normale per quei tempi e per quella cultura, e poi a lei quell’uomo pareva l’unica via per lasciarsi alle spalle la tristezza e la violenza. Ha lavorato come operaia, ha messo al mondo una figlia: per il resto, fino ad oggi, per quasi 38 anni è stata uno straccio sotto i piedi del marito: quando era fortunata, lui la umiliava e se ne andava di casa per settimane intere; quando era meno fortunata, lui la insultava furiosamente e i litigi finivano a schiaffi. Una sera la picchiò con una scopa. Su non aveva voce per gridare, non aveva forza per difendersi, non aveva nemmeno pensieri di ribellione: lavorava, accudiva la casa, e quando la figlia mise al mondo due gemelli lei andò in pensione e se ne prese carico, come era scontato che fosse. Soltanto la notte, quando i nipoti erano stati riconsegnati e il marito dormiva, si ritagliava un piccolo spazio per sé davanti alla Tv, per seguire le soap opera sudcoreane che un po’ la facevano sognare. Ed ecco, una sera, accadde l’impensabile. L’impossibile.Su vide distrattamente la pubblicità di un camper e qualcosa le scoppiò nel cervello. Ritornarono d’incanto i sogni da bambina, quando sui libri di scuola scopriva mondi lontanissimi e immaginava di viaggiare, libera, sola. Era il 2019. Per due anni, Su ha letto tutto ciò che ha trovato sui viaggi in solitaria, on the road, ha scaricato tutte le app per imparare a spostarsi senza cartine, ha scoperto molti trucchi per risparmiare ed essere autonoma durante gli spostamenti (come fare la doccia nei bagni pubblici, lavarci gli indumenti e cucinare su un fornelletto da campo). E finalmente, nel settembre 2020, quando i nipotini hanno iniziato l’asilo, nonna Su ha spiccato il volo: su una vecchia Volkswagen acquistata con i risparmi della vita e la sua piccola pensione, con una tenda che si monta sul tetto dell’auto e la notte la trasforma in un mini camper. La figlia era sconvolta, il marito le ha riso in faccia: da allora ad oggi non l’ha più visto né sentito.

    Su Min, questo il cognome, viaggia ormai da sei mesi. Sola. Ed è diventata senza volerlo una delle prime icone femministe della Repubblica popolare cinese: la sua storia è stata raccontata dal New York Times. Ora ha un milione e mezzo di followers, le donne le scrivono messaggi e la accolgono a ogni sosta portandole cibo e vestiti, per incontrarla, per conoscerla. “Ero infelice e disperata, ma non immaginavo ci potesse essere un’altra vita”, ha dichiarato. “Ora lo so, e sono felice”. Un giorno, in viaggio tra le montagne, Su ha acceso il cellulare e girato un video senza pretese: guidava e raccontava la sua storia, filmava e intanto montava la tenda, e intanto stendeva i vestiti su un filo teso fra i sedili posteriori dell’auto. Poi ha caricato il video su Douyin, il TikTok cinese. Tutto è cominciato così. In marzo, per la Giornata internazionale delle donne, il colosso della moda online Net-a-Porter l’ha voluta come testimonial del riscatto femminile in un Paese dove la strada per la parità di diritti è ancora troppa, perché il viaggio di Su è una metafora di libertà e indipendenza. Milioni di persone hanno condiviso il suo appello contro la violenza domestica e la sottomissione con l’hashtag #runawaywife (la moglie che scappa). Ai giornalisti che l’hanno intervistata, nonna Su ha detto di non volere il divorzio altrimenti il marito, secondo la legge cinese, resterebbe sulle spalle della figlia. “Mi va bene così”, ha risposto. “Quando ero a casa, desideravo tanto mangiare i peperoncini piccanti, ma non mi era permesso. Oggi li posso mangiare tutti i giorni”. Parte da qui, semplicemente, un viaggio che arriverà lontanissimo.




    la seconda è quella di Patrizia Cadau che ha lottato contro alienazione parentale ovvero un costrutto ascientifico e criminale per indurre le donne a cedere alla violenza.  Infatti  ha  dovuto affrontare   
    I ricorsi civili, due, in cui era stata accusata dal padre, e poi dai genitori di lui , di alienazione parentale e di essere responsabile del fatto che i bambini non volessero più vedere né l'uno né gli altri. Ecco cosa racconta sul suo facebook

      

    Il 27 settembre 2018, arrivavo a casa dopo avere passato due giorni infernali all'interno del Tribunale di Oristano.
    Il giorno prima, per la richiesta di rinvio a giudizio del violento, che il PM aveva definito "l'inferno in casa".
    Poi per la testimonianza al tribunale civile dove mi avevano trascinato i genitori del violento. I cosiddetti nonni.
    Perché non c'è limite all'infamia, alla bassezza morale, alla criminalità di chi arriva ad abusare di innocenti, fiancheggiando un violento, per quanto sia figlio. Tanto più che quella protezione si abbatte come una mannaia sui nipoti. Era un contesto surreale. Ed ero così stanca e sfinita che la sera prima, crollai a terra di punto in bianco, senza metafora. Semplicemente andai in tilt e svenni. Davanti ai miei figli, che porelli, ancora ricordano lo spavento.Ma mi rialzai.E il giorno dopo ero di nuovo in tribunale. È agli atti che dovetti deporre davanti al piccolo branco, il già rinviato a giudizio e i suoi famigli, e dovetti deporre per difendermi dalle accuse e anche dalle intimidazioni di questi soggetti che manco di fronte all'autorità riuscirono a dissimulare. Tanto da fare dire ad una giudice stupefatta "e meno male che siamo in un luogo protetto" e a chiedere immediatamente il rispetto dell'aula ma anche della mia persona. Ecco, la violenza per una vittima di violenza non finisce mai, e si arricchisce nel tempo di protagonisti, comparse, gattemorte, infami. Tutto viene usato a pretesto per colpire. Per fortuna in quei processi, sei giudici, sei, hanno detto che i miei figli sono credibili, che hanno un forte senso morale e dell'etica e che non hanno mai mentito, ne davanti a loro, ne davanti alle consulenze neuropsichiatriche. Sei giudici e un pubblico ministero hanno detto che nemmeno io mento, e che la mia condotta è sempre stata orientata a proteggere l'interesse supremo dei minori, minori attorno ai quali si configurava un quadro di abusi, di cui quei tre erano responsabili e complici. Padre e nonni. Come nelle migliori tradizioni di "famigghie" omertose. Il 27 settembre del 2018, però, ancora non lo sapevo, io ero solo sfatta e le prime sentenze sarebbero arrivate due anni dopo. E ancora non avevo visto niente, eh. E quindi sono tornata a casa con l'angoscia nel petto. Ma i miei figli, mi hanno accolta così, con una torta e un mare di abbracci. E da allora ogni volta che sono triste, preoccupata, disperata, annientata, avvilita, stanca, io tiro fuori questa foto e piango anche l'anima, pensando che sì, va tutto bene. Perché io dico la verità e continuerò a dirla finché mi lasceranno in vita.


    Ma le sua battaglia non è ancora finita ., Infatti recentemente ( ne ho parlato anch'io qui in queste pagine ) era in aula per il processo penale. Così come ci sarò nei prossimi giorni Per il reato di maltrattamenti in famiglia. Ed è , SIC , solo al primo grado

    l'edicola può essere mobile

     riporto lo screen perchè non ho  voglia  di  fare  copia  ed  incolla  

       

    Se pensate che non esistano più gesti d'amore puro, prendetevi qualche minuto ed emozionatevi così

    Il video pubblicato sui social da Eva Barilaro
       
    ha fatto il giro del mondo. Questa ragazza di 23 anni originaria di Monaco ha condiviso il momento in cui, dopo 10 anni che non lo faceva, ha deciso di radersi di nuovo la testa a zero. Eva è affetta da Alopecia universale, una malattia autoimmune che causa la perdita di capelli e peli corporei
    dal suo twitter 
    https://twitter.com/eva_barilaro
     l'ultima volta a portare a termine questa delicata operazione l'aveva aiutata suo nonno, ora invece il compito è stato affidato al suo fidanzato Damien, che ha voluto spiazzarla con un gesto profondo e pieno d'amore: si è rasato la testa a sua volta. Le lacrime della giovane hanno emozionato a loro volta migliaia di persone, e questa fama inaspettata ha dato la possibilità ad Eva di raccontare la sua storia: "Il video era solo per la mia famiglia, mio nonno mi rasato la testa per primo quando avevo 13 anni e i miei capelli stavano iniziando a cadere e cadere e sapevamo che presto sarei rimasta senza. Visto che i miei capelli stavano cadendo di nuovo volevo mostrargli che ora ho trovato qualcuno che mi supporta così come ha fatto la mia famiglia per 10 anni. Quello che Damien ha fatto è stato eccezionale, avrebbe potuto farmi la proposta di matrimonio, avremmo potuto avere dei figli, ma ora che ha fatto questo, so che posso condividere tutta la mia vita con lui".

    12.4.21

    va bene che siamo in emergenza ma un minimo di rispetto . il caso Shock a Verona dove una studentessa si è bendata durante una lezione in Dad.

    Posso capire , provando a fare l'avvocato del diavolo ed ad immedesimarmi nel prof ( anzi nei prof visto che non è vedere quest' articolo https://www.fanpage.it/napoli/dad-scuola-campania-interrogazione-bendati/ che avviene un fatto del genere ) di Verona  dove   Studentessa bendata durante l'interrogazione, shock a Verona. La professoressa di tedesco le ha fatto coprire gli occhi

     

    da  https://www.occhionotizie.it/verona-studentessa-bendata-interrogazione-dad/

    Cronaca
    Scuola a distanza, la prof e la benda per interrogare. Gli studenti: ora basta Studentessa bendata durante l'interrogazione, shock a Verona. La professoressa di tedesco le ha fatto coprire gli occhi


    Shock a Verona dove una studentessa si è bendata durante una lezione in Dad. La giovane si è coperta gli occhi con una sciarpa su richiesta della professoressa di tedesco che quasi non credeva alla bravura della 15enne, studentessa di un liceo veronese.
    [ .... ] 

    Capisco   che   in DAD  o DDE  si  possano  avere dubbi     se uno  studente  sia   stia   copiando o  leggendo  . Ma non che si arrivasse a questo punto . Bastava dire : d'alunna in questione di allargare il raggio della telecamera e levare gli appunti . ma comportarsi in quel modo è bullismo Dad o non  in  certi casi  è un obbrobrio  .Ora La didattica a distanza  come la chiamano  in molti   ha molti limiti educativi. Comprensibile la frustrazione dei ragazzi ma anche quella dei docenti, che nell'ultimo hanno hanno dovuto interamente rivedere i loro metodi di insegnamento per gli studenti di ogni ordine e grado . Ma Questa volta lo stratagemma creato dalla prof per sventare il “rischio imbroglio” ha forse oltrepassato più di un limite. <<Ma -- come dice https://www.ilgiornale.it/news/ e qui mi rova d'accordo -- la spasmodica ricerca di una nuova strada, spesso per arginare l'elevata arguzia dei più giovani, ha portato talvolta a soluzioni poco ortodosse che diventano boomerang per il sistema scolastico, già al tracollo. Lo dimostra l'esperienza personale di una 15enne di Verona, che durante un'interrogazione da remoto si è sentita chiedere dalla sua docente di bendare gli occhi. Questa è la dad? >> Lo chiedo all'amico compagno di strada il prof Cristian Porcino chiedendogli di raccontarci come si trova ed un suo parere 



    «Più che Dad (didattica a distanza) mi piace definirla DDE (didattica di emergenza). Da più di un anno noi insegnanti ci siamo dovuti confrontare con un nuovo modo di fare lezioni.
    Sull’esperienza dell’ultimo anno scolastico ho scritto un libro dal titolo “Ciao, Prof!”. In Sicilia da diversi mesi la didattica in presenza è ormai al 75% e di conseguenza passo più tempo a scuola e molto meno in Dad. Per me è di vitale importanza la presenza fisica in classe. Il nostro lavoro si nutre dello scambio diretto tra docenti e discenti. La Dad non scomparirà dal nostro orizzonte ma impareremo a conviverci anche nei prossimi anni. Anche a distanza possiamo coinvolgere i nostri allievi e tentare di costruire un percorso formativo accattivante. Non bisogna mai mortificare gli allievi e in special modo durante un’interrogazione. Per il resto preferisco attendere anche la versione della professoressa prima di esprimermi in merito


      

    Scuola a distanza, il prof di Verona e la benda per interrogare. Gli studenti: ora basta


    da  repubblica  del 12\4\2021

                                            di Enrico Ferro

    Polemica a Verona. Quindicenne costretta a coprirsi gli occhi. Il preside valuta provvedimenti. “Mi sono sentita a disagio, come se mi stessero accusando di imbrogliare”


    La studentessa bendata durante l'interrogazione a Padova

     
    VERONA 
     Troppo brava per essere vero, troppo preparata per essere creduta. "Prenda una sciarpa e si bendi, voglio vedere se ha studiato davvero". Una studentessa quindicenne di un liceo di Verona si è sentita fare questa richiesta dalla professoressa di Tedesco durante l'interrogazione. Mestamente ha accettato, nonostante la vergogna e l'umiliazione per il fatto di essere vista da tutti i compagni di classe collegati in quel momento. Storie di Dad, l'ormai famigerata Didattica a distanza.
    Lo scorso mese di ottobre un caso analogo era stato segnalato in un liceo di Scafati, vicino a Salerno. Sette mesi dopo e 720 chilometri più a nord, ecco una nuova interrogazione orale bendata. Stavolta però gli studenti sono decisi ad andare fino in fondo: hanno già parlato con il dirigente scolastico e chiedono provvedimenti definendo la richiesta "repressiva e violenta".
    Giovedì mattina, dunque: giro di interrogazioni orali in Lingua e Letteratura tedesca nella seconda classe di questo liceo. Una studentessa inizia in modo brillante e questo, dopo poche battute, fa insospettire la prof. Dopo un anno di Didattica a distanza i docenti hanno aumentato in modo considerevole i sospetti sui trucchi usati da qualche studente: dal libro posizionato sulla scrivania fuori dal campo visivo della telecamera, ai bigliettini appesi intorno al monitor, ai post-it appiccicati alle pareti di casa, per finire con le diavolerie più tecnologiche. È probabilmente a causa di questi dubbi che la professoressa, a un certo punto, ha chiesto alla ragazza di coprirsi gli occhi. Gelo nell'aula virtuale. Rifiutare avrebbe significato far terminare anzitempo l'interrogazione e, probabilmente, anche con un voto insufficiente. "Mi sono sentita a disagio, come se mi stessero accusando di imbrogliare", ha detto la giovane parlando con i rappresentanti d'istituto e con gli esponenti della Rete degli studenti medi veronesi.
    "Già è un momento difficile, non capiamo come si possa pensare di umiliare in questo modo i ragazzi", dice Camilla Velotta, responsabile locale della Rete. I compagni di classe, collegati con la piattaforma Teams, hanno fotografato la schermata. E quell'immagine è finita anche nelle chat dei genitori, suscitando uno sdegno unanime. "Il nostro appello è di denunciare tutti i professori che fanno simili richieste: noi ci siamo, ci occuperemo delle vertenze", avvisa Lorenzo Baronti, rappresentante d'istituto.
    La registrazione della lezione potrebbe arrivare fino all'Ufficio scolastico regionale, cui competono i provvedimenti disciplinari nei confronti degli insegnanti delle scuole del territorio. "È inaccettabile che sulla scorta dell'emergenza vengano calpestati i diritti", protesta la Rete degli studenti medi, che il 7 aprile scorso ha organizzato uno sciopero per denunciare tutti i limiti della Didattica a distanza. L'interrogazione con gli occhi bendati è sicuramente uno di questi.


    11.4.21

    "La mia vita a 20 anni senza smartphone. Rubrica di carta, telefono fisso e cartina per orientarsi


    "La mia vita a 20 anni senza smartphone. Rubrica di carta, telefono fisso e cartina per orientarsi"
    Laura Vallaro abita in provincia di Torino, è iscritta a Scienze forestali ed è portavoce dei Fridays For Future Italia: "Mi piace essere concentrata su quello che vivo, senza distrazioni"
    Di   Adalgisa Marrocco
                                  da  https://www.huffingtonpost.it/  02/04/2021 10:03am CEST

    l telefono squilla. Due, tre volte. “Pronto”. E pronta, dall’altro capo del filo, c’è Laura Vallaro, vent’anni, studentessa di Scienze Forestali a Torino. Sta per raccontarmi la sua storia. Come stabilito la chiamo all’ora di cena sul telefono di casa perché, mi confessa, “lo smartphone non ce l’ho per scelta etica”. Ha le idee chiare e la voce squillante questa ragazza di Chieri, neo-eletta tra i portavoce nazionali dei Fridays For Future, movimento ambientalista internazionale di protesta nato grazie a Greta Thunberg.

    Laura, com’è nato il tuo impegno a difesa dell’ambiente?
    Fin da bambina ho sempre amato la natura, in particolare la montagna. Già nel 2015, in occasione della Conferenza internazionale sul clima di Parigi, mi era capitato di partecipare a manifestazioni ambientaliste. L’amore per la natura mi ha poi portata ad iscrivermi a Scienze Forestali e, quando ho conosciuto Fridays For Future, si è aperto un mondo. Ho condiviso fin da subito le motivazioni e l’impegno del movimento. Penso che le scelte che facciamo, le politiche che adottiamo siano determinanti per il futuro della nostra e delle prossime generazioni. Purtroppo la politica internazionale fatica ancora a rendersi conto della situazione e non affronta la crisi climatica come una situazione di emergenza.

    Greta Thunberg è un modello.
    Assolutamente sì. Greta Thunberg è partita giovanissima dalla Svezia, non si è mai fermata, ha fatto sentire la sua voce al mondo intero. È arrivata a parlare ai grandi della Terra per spiegare che dalla salute dell’ambiente dipende l’intera umanità. Ci ha dimostrato che ognuno di noi, nel suo piccolo, può arrivare a fare tanto per il mondo. Ci ha insegnato che bisogna agire e non più rimandare.

    Come vedi il tuo futuro?
    Non mi pongo obiettivi a lunghissimo termine. Non so dove sarò tra dieci anni. Per il momento ho intenzione di continuare a battermi per un futuro migliore e di terminare gli studi: voglio laurearmi in Scienze Forestali, una facoltà che potrebbe aiutarmi nella mia missione.

    Cosa dicono a casa del tuo impegno?
    A casa amiamo tutti la natura. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta in queste battaglie. Mio fratello è attivista di Fridays For Future, proprio come me. E anche papà appoggia quello che facciamo, spesso ci dà una mano. Siamo tutti sulla stessa linea.

    Laura, tu non hai il cellulare. Com’è nata questa scelta?
    All’inizio, quando ero più piccola, è stato per volere dei miei genitori. Crescendo, mi hanno lasciata libera di scegliere se averne uno, ma io non ne ho sentito il bisogno. Ho fatto una scelta etica, pensando a tutte le risorse che servono per fabbricare i dispositivi elettronici, allo sfruttamento dei lavoratori che spesso sono minorenni. E poi ci sono altre ragioni.

    Racconta.

    Mi piace essere concentrata su quello che vivo, ogni attimo, senza distrazioni. Se faccio una passeggiata voglio poter osservare quello che mi circonda senza dover rispondere a messaggi e chiamate.

    Davvero non ti è mai mancato il cellulare?
    Forse ai tempi delle superiori, quando tutti i compagni di classe ce l’avevano. Poi ho capito che saper mantenere un contatto con i propri amici non dipende dallo smartphone. Tuttavia se un giorno dovessi averne assoluto bisogno, lo comprerei: preferibilmente usato per evitare ulteriori danni alle risorse e all’ambiente.

    A proposito: durante la pandemia, col distanziamento sociale, i tuoi coetanei e i ragazzi anche più giovani hanno sfruttato il cellulare e la tecnologia per sentirsi più vicini. Tu come ti sei comportata?
    Per fortuna non mi è toccato ricorrere al piccione viaggiatore (ride, ndr). Oltre al telefono fisso, possiedo un computer tutto mio. Quindi ho una mail e sono sui social network. Accedo per il tempo necessario, leggo e rispondo ai messaggi, seguo le lezioni online. Non sono iperconnessa, ma ho tutto ciò che serve per comunicare. In fondo, fino a qualche anno fa la mia situazione avrebbe rispecchiato la normalità. Penso che durante l’ultimo anno le vere difficoltà abbiano riguardato chi deve condividere il pc con altri membri della famiglia, e soprattutto chi non può permettersene uno o non ha accesso a una connessione che gli consenta di studiare.

    Tra i tuoi amici e conoscenti, c’è qualcuno che ha fatto la stessa scelta?
    Anche mio fratello ha scelto di non avere un cellulare. E devo dire che tra i miei amici, moltissimi ce l’hanno ma ne fanno un uso parsimonioso e consapevole, senza farsi assorbire.

    Con l’organizer come fai? E se in giro ti perdi o hai un imprevisto?
    Uso una normalissima sveglia da comodino e per i numeri di telefono che non ricordo a memoria ho una rubrica vera, di carta: è molto comoda e più sicura di quella digitale, che può andare perduta se il cellulare si rompe. Per quanto riguarda gli spostamenti, quando so di dover andare in un posto che non conosco guardo Google Maps già sul computer a casa o mi premunisco di cartina. In caso di imprevisti o emergenze chiedo aiuto alle persone, amici o passanti: c’è sempre qualcuno disposto ad aiutare.

    come riprendersi da un urto della vita il caso di Michela Medda .

     Conoscevo , per le  sue  foto   e  la   sua   vicenda    di cronaca  ritornatami in mente     con  questo articolo    della nuova  Sardegna    del  6\4\2021 , la protagonista   della storia   che  mi  accingo  a  raccontare    tramite intervista  \ chiacchierata     .


     
     Ricordo d'aver letto   a suo tempo   dell'incidente   accadutogli   ma   non immaginavo  , che     le  conseguenze  dell'incidente    fossero state  cosi   gravi  . Ed  ecco  che  essendo  appassionato  di fotografia  e  di   fotografia e  avendo visto   le  sue    foto    ,  ed  il  suo  stile 


    Mi chiamo Michela e sono una fotografa professionista specializzata in fotografia di matrimonio e in ritrattistica. Vivo e lavoro in Sardegna, ma sono disponibile anche per servizi in tutta Italia e all’estero. Nel mio periodo di formazione è stato fondamentale il
    contatto con la natura, di cui ogni suo elemento diventava un soggetto da intrappolare nei miei primi scatti. Nel corso degli anni ho maturato una particolare passione per la tecnica
    dell’autoritratto, sviluppandola in tutte le sue particolari forme e peculiarità. Da anni porto avanti vari progetti che mi hanno condotta nel 2014 a partecipare alla Rassegna fotografica “Camponogara fotografia” nel Veneto, esponendo una tesi sul Self-Portrait analizzandolo sotto l’aspetto tecnico, emotivo e psicologico .

     

                                         dal suo facebook  https://www.facebook.com/michelapurple


    ma  soprattutto colpito   oltre    che dalle sue foto non solo  quelle professionali    ( trovate in questi  collegamenti ipertestuali   dii suoi album istangram :  1) michelapurple ., 2)  michelamedda_studio  .,  3)  michelamedda_weddings  da  cui  ho preso insieme   a quelle    del suo  sito   le  foto     per l'articolo   in particolare  questa sezione del  sito https://www.michelamedda.it/blog/  )  e      dalla  sua   grandissima  forza  di volontà  e  il  suo  spirito    tenace  ed  ostinato  come  dimostra   questa  intervista  da lei  rilasciata , che mi  da  la  forza  di  andare  avanti   per lottare  contro i miei problemi di salute invalidanti  ,  ho deciso di farne   un articolo intervista  che  spazierà   su  di lei   a  360   gradi    cioè non soltanto     sulle  sue ultime  vicende   . 
     Ma  prima    qualche   altro   cenno   su di lei   ,  perchè    sarebbe  troppo banale  e frustante per me  e  per  lei   fare  un articolo solo sulla  sua vicenda  . Infatti  hi diviso  l'intervista  in due  parti 


    si  vede     che    con i suoi scatti   tende  ad  esaltare la spontaneità delle emozioni ponendo particolare attenzione alla composizione e alla ricerca dell'attimo giusto, lavorando con discrezione senza forzare nelle pose e sfruttando la luce ambiente
     Infatti     gli  << piace raccontare il matrimonio  >>    e  non solo    << attraverso immagini spontanee dove gli sposi non vengono messi in posa ma fotografati in modo non invasivo con uno stile più vicino al reportage foto-giornalistico che permette di cogliere attimi, momenti ed espressioni in modo molto naturale. >>  Un metodo non   invasivo e  stressante     far  si che  i  soggetti    e le persone  che  fotografa  si sentano    a loro  agio senza essere  obbligati  a mettersi in posa     cioè   << senza sentire la presenza di un “intruso”. >> . Mi piace  lo stile    da   "semi-reportage" nel   realizzare qualche scatto di coppia   e non  più creativo e scenico  al fine di ottenere fotografie d'impatto, fotografie che in un servizio di "reportage puro" non sarebbe possibile ottenere. Infatti come   si descrive    sempre  sul  nel suo  sito  <<  [...] La mia missione è quella di realizzare immagini con il giusto mix di autenticità e creatività, in cui gli sposi possano riconoscere loro stessi e rivivere la gioia della giornata. >>   dichiarazione    che  trova     conferma      sia  dalle sue foto sia dalle risposte alle mei domande all'intervista   fattagli    .
     Ma ora lasciamo che sia l'intervista a parlare


    1) autodidatta o hai fatto qualche scuola ?

     Completamente autodidatta.
     2) come mai visto il tuo potenziale artistico hai scelto di specializzarti , ovviamente senza fossilizzarti in esso, nel settore matrimoni ?
     Quando ho iniziato a fotografare, nel 2009, mi occupavo principalmente di fotografia naturalistica, in particolare macrofotografia. Purtroppo per mantenere una Partita IVA e pagare le tasse non è stato possibile continuare con quel genere fotografico. Ho iniziato quindi a specializzarmi nel reportage di matrimoni e nei servizi fotografici di maternità e famiglia. Il reportage è senza dubbio il mio genere fotografico preferito ma la situazione covid mi ha permesso di riavvicinarmi alla fotografia naturalistica e sono felice per questo. Il primo amore non si scorda mai!
    3) una domanda che faccio sempre ad amici fotografi professionisti , vedendo gli altri account instagram oltre quello ufficiale \ professionale , ti vedi di più fotografa o antropologica ?
    Sicuramente antropologica.
     4) scatti d'stinto o in modo razionale , oppure come mi sembra dalle tue foto in entrami i modi ?
    Esatto, in entrambi i modi. Dipende dalla situazione e dal tipo di lavoro commissionato. 5) automatico o manuale ? Sempre e sono in manuale. Sono io a decidere come deve uscire una foto, non la macchina fotografica. 6) analogico digitale ? Sono nata con il digitale. Colleziono macchine fotografiche analogiche ma ho sempre scattato in digitale. 7 ) . quando fai una foto ad una persona gli dici pronto oppure scatti all'improvviso ? Anche qui dipende, se sto lavorando ad un servizio di moda ovviamente dovrò gestire le pose. Ciò che però più mi piace e mi riesce meglio è senza dubbio la fotografia spontanea.

    ora veniamo alla   seconda  parte  ovvero   alla sua vicenda di rinascita dopo l'incidente ( vedere  screen short dell'articolo della nuova   riportato   all'inizio del post ) 


    1) oltre in te stessa dove hai trovato la forza per non finire in sedia a rotelle ? Ho trovato la forza in me stessa e sicuramente nella voglia di riprendere a fare il mio lavoro. 2) come hai influito sulla tua attività avere un invalidità ? Non è facile, ma il corpo si adatta. Sicuramente ho dovuto ridurre drasticamente la mole di lavoro e soprattutto i carichi. Ho dovuto alleggerire gli zaini di lavoro e per fare questo ho dovuto cambiare tutta l’attrezzatura optando per macchine fotografiche, obiettivi e cavalletti più leggeri. Inoltre non posso più correre e non sono più agile e forte come prima. Durante i matrimoni si corre parecchio, letteralmente. 3) sei credente o spirituale ( come penso vedendo le tue foto non professionali ) Né l’uno né l’altro. 4) hai fatto tutto da sola o hai avuto aiuti ed incoraggiamenti ? L’aiuto più grande l’ho avuto dalla fisioterapista e dall’educatore postulare che hanno seguito per undici mesi la mia riabilitazione e riatletizzazione. Gli incoraggiamenti li ho aviti senza dubbio dalla mia Community su Instagram. In famiglia invece tendevano a demotivarmi costantemente o farmi notare e pesare la mia zoppia o il fatto che io non volessi più riprendere a guidare. 5) di solito quando si sceglie un cammino per sciogliere un voto si sceglie quello di Santiago di compostela , tu invece hai scelto quello meno noto , ma non per questo intriso di storia , identità ed cultura come di santa barbara ? Ho scelto il cammino di Santa Barbara perché è l’unico che in questo momento posso fare in pandemia. Appena si potrà farò sicuramente quello di Santiago e altri Cammini italiani. Non cammino però per motivi religiosi ma solo perché mi piace stare da sola in mezzo al nulla e perché voglio dimostrare alla mia gamba che, anche se con qualche difficoltà e dolore in più, può fare le stesse cose che fanno le altre gambe (e anche di più).

    L'economia circolare della natura, così in Sardegna i pastori salvano i grifoni e risparmiano



    da repubblica 10 APRILE 2021


    Un tempo gli allevatori erano i peggiori nemici di questi avvoltoi in via di estinzione. Ora un progetto dell'ateneo di Sassari ha istituito i carnai aziendali. I grandi rapaci sono sfamati. E non si deve più pagare per lo smaltimento delle carcasse





    DALLA NOSTRA INVIATA CRISTINA NADOTTI

    Badde Orca (Bosa) - Le grandi ali spiegate e immobili, portato dal vento, il primo grifone plana sull’altura che sovrasta il mare non appena l’auto del pastore si avvicina al carnaio. Ben presto sono in cinque a volare in cerchio sopra il quadrato di terreno delimitato dal recinto elettrificato, in attesa che una carcassa sia lasciata a loro disposizione. Oggi però, Salvatore Porcu non ha niente per i grifoni, è venuto soltanto a mostrarci con orgoglio l’area che, per primo in Sardegna e in Italia, ha messo a disposizione per il progetto Life di salvaguardia dei grifoni avviato dall’Università di Sassari.
    Il suo terreno a Badde Orca, tra Montresta e Bosa, sulla costa occidentale della Sardegna, è in un punto perfetto: i grifoni trovano poco lontano da qui, nelle gole e nelle falesie a picco sul mare, le rocce ideali per fare il nido e le correnti ascensionali che vi si formano li aiutano come un ascensore a librarsi fin qui, sprecando meno energia possibile.
    “Quando mi muore una pecora o una vacca – spiega Porcu –, una volta che il veterinario dà l’autorizzazione invece di portarla all’inceneritore la metto qui. Per me è un risparmio, perché lo smaltimento costa. Adesso poi si sta pensando di farne un’attività per i turisti, potremmo portarli ai carnai a vedere il pasto dei grifoni”. Anche senza osservarli all’opera come macchine perfette di smaltimento, capaci in dieci di spolpare perfettamente una carcassa in un’ora, i grifoni in volo su questo altopiano da cui la vista spazia sul mare e sulla foce del fiume Temo sono uno spettacolo.


    La Sardegna, come gran parte dell’Italia, ha rischiato di perderlo: un tempo i grifoni si trovavano in tutta l’isola, ma negli anni ’80 ne rimanevano soltanto circa 60, concentrati vicino ad Alghero e Bosa. La loro sopravvivenza è stata minacciata dai pastori, che spargevano bocconi per eliminare i possibili predatori delle greggi come volpi, cani inselvatichiti e corvi reali, dai cacciatori che li uccidevano per imbalsamarli e dalle regole per lo smaltimento degli animali morti imposte dalla diffusione di malattie come la mucca pazza.
    "Sul loro conto c’era anche una percezione sbagliata - spiega Alfonso Campus, dell'associazione L'altra Bosa, che collabora con l'università per il monitoraggio dei nidi - i grifoni (Gyps fulvus) non sono animali pericolosi per gli allevamenti, perché a differenza di altri rapaci, come l’aquila e il falco, non possiedono artigli affilati per afferrare e uccidere le prede. Questi avvoltoi non cacciano, possono nutrirsi soltanto di animali morti e costituiscono in natura uno straordinario strumento di smaltimento, visto che nel loro stomaco anche agenti infettivi come quelli del morbo della mucca pazza vengono neutralizzati".
    Il veterinario e i carnai Sopra il dottor Marco Muzzeddu  
    che a Monte Minerva segue il reinserimento in natura
    di due grifoni giunti dallo zoo di Dresda
    Per salvarli era indispensabile contrastare l’uso dei bocconi avvelenati e fornire loro cibo. Su queste due azioni si è concentrato all’inizio il progetto Life under griffon Wings, che ha avuto una prima fase di successo dal 2015 al 2020 ed è stato adesso rifinanziato. La collaborazione con i pastori è stato il primo passo. “Allestire il carnaio è semplice – spiega Fiammetta Berlinguer, professoressa associata del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Sassari – basta un recinto elettrificato, per non fare avvicinare altri animali, e un palo sul quale piazziamo una fototrappola per monitorare i grifoni”.
    Serviva poi rendere consapevoli i pastori dei danni provocati dai bocconi avvelenati e, grazie alla collaborazione con il Corpo forestale e l’addestramento di cani capaci di fiutare il veleno, si è fatta azione di dissuasione e di informazione. Una volta messi al sicuro i grifoni rimasti, il progetto ha poi previsto il ripopolamento, prima con animali arrivati dalla Spagna e adesso con alcuni esemplari da zoo olandesi e tedeschi. La popolazione di grifoni in Sardegna è passata così dai 95-100 individui del 2015 ai 272 registrati nel corso dell’ultimo censimento nel 2020, con un basso tasso di mortalità e l’aumento degli indici riproduttivi.
    A Monte Minerva, poco lontano dalla zona del carnaio, la voliera allestita dal centro di Recupero fauna dell’Agenzia Forestas ospita gli ultimi due grifoni arrivati dallo zoo di Dresda. Il veterinario del Centro, Marco Muzzeddu, si sta occupando del loro reinserimento: “Sono animali cresciuti in gabbia – spiega - perciò abbiamo dovuto abituarli alla competizione e alle regole del gruppo quando si ciba della carcassa. Per questo gli abbiamo affiancato adulti irrecuperabili perché potessero osservarne i comportamenti”. La voliera si affaccia sull’altipiano, i due giovani grifoni tedeschi scrutano lo spazio aperto di fronte a loro come scolari impazienti di uscire dall’aula: presto potranno spiegare le enormi ali e unirsi al pasto offerto dai pastori insieme alla colonia.


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