Riccollegandomi a quanto dicevo nei due post precedenti in particolare l'ultimo , celebro il 10 febbraio , nonostante come dice mio padre ( ex Pcml-servire il popolo ) e gli amici di http://www.facebook.com/notes/armata-rossa/
( di cui non sempre condivido tutto perchè troppo settari e nostalgici , ma stavolta gli do ragione ) : << I fatti ci hanno dato ragione. I timori che avevamo espresso fin da quando fu istituito il giorno del ricordo si sono puntualmente avverati. Anche dalle più alte cariche dello Stato si è sentito il dovere di enfatizzare una retorica che non contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, l'unica che possa servire ad elevare il nostro senso civile, ma che alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale. Per questo vogliamo ribadire quanto scrivevamo già anni fa con la prima Giornata del Ricordo per onorare le vittime delle foibe. >> ( qui il resto della nota ) .
Infatti Non era difficile prevedere che collocare la celebrazione a due settimane dal Giorno della Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare e far passare in secondo piano la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili, che hanno l'unico denominatore comune di appartenere tutte all'esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che hanno fatto del secondo conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio della storia.
Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili la cosa più sorprendente è l'incapacità dei politici della sinistra di fare autocritica sui loro silenzi e sull'aver emarginato i chi a sinistra denunciava le foibe , dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe , non strumentalizzate questi fatti !!! Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l'incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo pentitismo, non contribuisce - come fa il discorso del presidente Napolitano - a fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini.
La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma per poter essere capite bisogna ritornare dove tutto inizio'
Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli Stati nazionali in territori etnicamente misti. Le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale, sud-orientale e nel vicino oriente ne uscirono in grande parte distrutte[7]. Furono decine di milioni le persone coinvolte nei conseguenti processi di assimilazione od emigrazione forzata, che provocarono numerose vittime. Fra gli episodi più noti si ricordano il Genocidio Armeno, il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale.
Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nella fine dell'ancien régime, un sistema dove gli Stati erano il risultato delle lotte di potere delle classi dominanti (monarchie o, in qualche caso, oligarchie). Con la rivoluzione francese e la conseguente deligittimazione del potere monarchico, gli Stati trovarono la loro legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio Stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio Stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molte nazioni, di assimilare od espellere le minoranze etniche dal proprio Stato, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.
Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi. Si originò di conseguenza quella contrapposizione etnica che fu la causa remota dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono sfociare in episodi violenti (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell'ex-Iugoslavia). Il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[9] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani.[9] Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza[10]. Nella Venezia Giulia il decremento della componente italiana fu molto più contenuto.
Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, già presenti sotto la dominazione austriaca, non trassero la propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione[9][11].
Nell'ambito dei succitati conflitti nazionali nacque fra i croati l'idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante del loro territorio nazionale fin dall'alto medioevo. Non si riconosceva la presenza di comunità italiane autoctone né in Dalmazia, né a Fiume (e solo parzialmente in Istria). Tali comunità venivano considerate una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria e i russi nelle Repubbliche Baltiche e in Moldavia), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria. Gli italiani "veri" dovevano quindi essere espulsi, mentre i "croati italianizzati" dovevano essere riportati alla loro condizione originaria, anche prescindendo dalla loro volontà. Questa retorica nazionalista fornì una giustificazione morale agli avvenimenti.
Rimase aperta la questione di Fiume, che fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno iugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. Al termine di una lunga contesa, Fiume fu annessa all'Italia nel 1924.
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") noto anche come hotel balcan ( foto a destra )
di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].
La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate, il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico, ecc. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia[16] e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia[17][18][19]. Tuttavia la politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo è stata considerata particolarmente pesante, anche perché l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, si accompagnava alle misure totalitarie del regime[20].
L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.
Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.
Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Iugoslavia. La Iugoslavia fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi dagli stati invasori. Col trattato di Roma l'Italia annesse una gran parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro. Inoltre occupò tutta la fascia costiera della ex-Iugoslavia, con un ampio entroterra.
In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[21]. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata.
La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.
[....] da http://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe >>
il resto lo trovate ne video del mie post precedenti citati all'inizio del post e nei post degli nanni scorsi presenti sul blog gemello ( che ancora ricordo ai nuovi http://cdv.splinder.com )
Ecco quindi che sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, solo ed esclusivamente di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l'Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.
Inquadramento storico [modifica]
Gli eccidi delle Foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe) e italiane.Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli Stati nazionali in territori etnicamente misti. Le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale, sud-orientale e nel vicino oriente ne uscirono in grande parte distrutte[7]. Furono decine di milioni le persone coinvolte nei conseguenti processi di assimilazione od emigrazione forzata, che provocarono numerose vittime. Fra gli episodi più noti si ricordano il Genocidio Armeno, il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale.
Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nella fine dell'ancien régime, un sistema dove gli Stati erano il risultato delle lotte di potere delle classi dominanti (monarchie o, in qualche caso, oligarchie). Con la rivoluzione francese e la conseguente deligittimazione del potere monarchico, gli Stati trovarono la loro legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio Stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio Stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molte nazioni, di assimilare od espellere le minoranze etniche dal proprio Stato, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.
Gli opposti nazionalismi [modifica]
Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana. Il processo di identificazione in specifiche nazioni in queste terre, non fu lineare e l'esito non fu affatto scontato. In Istria in un primo tempo non si faceva distinzione fra sloveni e croati, visti come un singolo popolo. In Dalmazia inizialmente si inseguì l'ideale di una nazione dalmata, che racchiudeva in se radici slave e romanze: fu solo a seguito dell'insorgere del nazionalismo croato che i propugnatori di tale ideale adottarono col tempo una politica filo italiana.Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi. Si originò di conseguenza quella contrapposizione etnica che fu la causa remota dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono sfociare in episodi violenti (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell'ex-Iugoslavia). Il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[9] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani.[9] Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza[10]. Nella Venezia Giulia il decremento della componente italiana fu molto più contenuto.
Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, già presenti sotto la dominazione austriaca, non trassero la propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione[9][11].
Le tesi del nazionalismo croato
« La nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata dall'interesse, dall'impostura. Alcuni superstiti dei vecchi despoti sognano una nazionalità italiana in Dalmazia, e per il colmo dell'assurdo parlano anche di civiltà italiana. Tutto ciò mira all'interesse di pochi individui e all'oppressione di tutti i Dalmati. (...) Il giornalismo italiano badi prima di dichiararsi protettore dei pseudoitaliani della Dalmazia (...). Un italiano non può, non deve alzar la voce per difendere i despoti, poiché prima deve rinunziare alla vera gloria italiana, ch'è la lotta per la libertà; dovrebbe cancellare tutta la sublime epopea dell'italiano risorgimento, per dichiararsi amico degli italiani dalmati. » | ||
« Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire. » | |
(Antonio Bajamonti, Discorso inaugurale della Società Politica Dalmata, Spalato 1886)
|
Grande Guerra e annessione all'Italia [modifica]
Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o dell'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[13].
Al termine delle guerra, coi trattati di Saint Germain e di Rapallo l'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso: le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). vedere cartina sotto
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") noto anche come hotel balcan ( foto a destra )
di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].
L'italianizzazione fascista [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Italianizzazione (fascismo). |
« Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani » | |
L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.
Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.
L'invasione della Iugoslavia [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Operazione 25. |
La spartizione della Iugoslavia.
In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[21]. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata.
La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.
[....] da http://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe >>
il resto lo trovate ne video del mie post precedenti citati all'inizio del post e nei post degli nanni scorsi presenti sul blog gemello ( che ancora ricordo ai nuovi http://cdv.splinder.com )
Ecco quindi che sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, solo ed esclusivamente di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l'Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.
Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo contro le minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o dei francofoni della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale snazionalizzazione (proibizione della propria lingua, chiusura di scuole e amministrazioni locali, boicottaggio del culto, imposizione di cognomi italianizzati, toponimi cambiati) come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica?
I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all'Italia il monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria.
Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale. Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l'unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda.
I profughi dall'Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell'Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci ha esortato Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa, Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell'Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall'Istria, ma l'Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento - di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari - centinaia di migliaia - che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione?
da http://karlmarxplatz.blogspot.com/ |
Nei giorni in cui è prevista la commemorazione delle stragi e degli stermini fascista e nazista degli anni ’30 e ’40 abbiamo assistito, come d’improvviso, ad assemblee e incontri che ricordavano i morti nelle foibe giuliane. Quasi una sovrapposizione di due culture differenti dove l’una, quella di destra che ricorda le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, si scontrava con l’altra, quella di sinistra che ricorda l’olocausto e il terrore nazifascista. Una sovrapposizione inquietante che ha il preciso obbiettivo di mischiare tutto in un unico calderone, per la realizzazione di quella che viene più comunemente e ambiguamente definita “memoria condivisa”. Per giungere a questo punto, però, e è passata di acqua sotto i ponti.
Dopo la disgregazione dell’Austria-Ungheria, avvenuta nel 1918, all’Italia si presentò la possibilità di espansione nei Balcani e nell’area danubiana; un’influenza politica su quest’area avrebbe rappresentato da una parte, come è logico, una forte influenza economica e ciò avrebbe comportato l’imposizione di una propria (seppur folle) egemonia nei rapporti “concorrenziali” del capitalismo europeo. Dall’altra parte durante il dominio fascista sarebbe stata utile «sul piano del consenso di fasce più o meno larghe della società italiana», sia come consenso popolare (la propaganda della potenza dello Stato italiano), sia come appoggio politico dei settori economici interni. E’ per questo che il blocco borghese, che dagli anni ‘20 appoggiava il fascismo, operava non solo all’interno dello stato italiano, ma influenzava direttamente anche le scelte in politica estera
Già prima dell’avvento del fascismo, lo stato liberale aveva conosciuto una forte dipendenza dalle banche e dalle industrie, che riuscivano a miscelare con cura i loro interessi all’ideologia politica nazionalista, garantendosi validi esponenti politici nel parlamento. Se le banche e gli industriali vedevano di buon occhio l’occupazione di terre come l’Idria (ricche di mercurio) o l’Istria (per i carboni e le bauxiti), i nazionalisti speravano in un intervento in quell’area essenzialmente per la loro “slavofobia” e per una mobilitazione contro i quel che chiamavano generalizzando slavi comunisti .
Nella Venezia Giulia venne progressivamente depennato ogni diritto delle istituzioni nazionali slovene e croate: le scuole furono italianizzate e i professori costretti a trasferirsi o ad emigrare; gli slavi non potevano lavorare nel pubblico impiego, vennero soppresse centinaia di associazioni culturali e sociali; i partiti politici delle minoranze slave (come l’organizzazione “Edinost”) vennero esclusi dalla corsa elettorale. La legge Gentile del 1923 impose la chiusura di tutte le scuole di lingua non italiana, nelle nuove province italiane. Le leggi vennero accompagnate dalle violenze dei fascisti, che si “dilettavano” a compiere crimini razzisti di ogni tipo, come la tragica vicenda di Struggano del 1921 dove i fascisti spararono ad un gruppo di bambini uccidendone due e ferendone cinque.
Nella Venezia Giulia venne progressivamente depennato ogni diritto delle istituzioni nazionali slovene e croate: le scuole furono italianizzate e i professori costretti a trasferirsi o ad emigrare; gli slavi non potevano lavorare nel pubblico impiego, vennero soppresse centinaia di associazioni culturali e sociali; i partiti politici delle minoranze slave (come l’organizzazione “Edinost”) vennero esclusi dalla corsa elettorale. La legge Gentile del 1923 impose la chiusura di tutte le scuole di lingua non italiana, nelle nuove province italiane. Le leggi vennero accompagnate dalle violenze dei fascisti, che si “dilettavano” a compiere crimini razzisti di ogni tipo, come la tragica vicenda di Struggano del 1921 dove i fascisti spararono ad un gruppo di bambini uccidendone due e ferendone cinque.
Ciò che il fascismo cercò di attuare un minuzioso programma di annientamento totale dell’identità nazionale slovena e croata. Dalla distruzione del Narodni dom, la “grande casa” che ospitava la cultura slovena col Teatro di Trieste, il fascismo impose una “culturalizzazione” forzata, sottraendo ogni tradizione non-italiana. Fu proprio a Trieste che venne fissata la sede del Commissariato civile, rappresentato da Mosconi, «nemico dichiarato del socialismo», e sempre a Trieste operava il Tribunale militare.
Non è facile ricostruire l’occupazione italiana nell’area balcanica, in quanto le documentazioni in possesso degli storici non sono così numerose da poter dipingere un quadro completo delle azioni militari che le camicie nere intrapresero nella zona. Già nel 1927 il Tribunale speciale iniziò la sua funzione di controllo e repressione delle attività antifasciste, soprattutto nel nord-est italiano.
Dalle pubblicazioni vengono alla luce le spietate azioni portate a compimento dai reparti italiani nell’Est europeo, come persecuzioni, fucilazioni e precisi ordini di impareggiabile severità. Un caso è la famosa “circolare 3c” divulgata dal generale Mario Roatta, comandante in Slovenia e Dalmazia, nella quale si legge:
Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula “dente per dente”, ma bensì da quella “testa per dente”... si procederà inoltre a designare, fra la parte sospetta della popolazione, degli ostaggi, che verranno tratti e mantenuti in arresto... i ribelli colti con le armi nella mano saranno fucilati sul posto. Saranno trattati come ribelli i maschi validi... pur non essendo stati colti con le armi in mano.
Esso non è l’unico esempio, la storiografia ce ne ha consegnati abbastanza per delineare una nuova figura di soldato italiano, che elimina completamente dall’immaginario comune quella del «buon soldato» e la sostituisce con quella del “soldato spietato”.
È in questo quadro che rientrano le foibe, come mezzo per “punire” le malefatte fasciste. Il termine foiba deriva dal latino (fovea) e significa spaccatura nel terreno, crepaccio e, ancora più similmente alla lingua italiana, fòibe significa “fossa” nel dialetto friulano. Infatti una foiba è una particolare dolina, come una fossa molto profonda nella terra, che si genera frequentemente nei suoli calcarei a causa dell’erosione esercitata dal passaggio dell’acqua. Basovizza, Prosecco, Volci, Cruscevizza, Ternovizza ecc. sono tutte località carsiche dove si aprono tali voragini, che vengono ricordate essenzialmente per l’uso che se ne fece nel settembre del ’43 e nel Maggio del ’45, quando vi si gettarono i corpi di chi collaborò col fascismo. È bene precisare che il fenomeno delle foibe non fu unico nel tempo, ma possiamo dividerlo in due periodi ben distinti: il primo è quello immediatamente successivo all’8 settembre 1943, quando le truppe partigiane del maresciallo Tito occuparono varie zone dell’Istria e quando quelle naziste instaurarono il cosiddetto «Litorale Adriatico»; il secondo periodo è quello successivo all’aprile 1945, ovvero subito dopo la fine della guerra quando, sconfitto l’esercito tedesco, vi furono i cosiddetti quaranta giorni di occupazione jugoslava a Trieste.
Molti studi dimostrano che parlare di migliaia di infoibati, per ciò che concerne le truppe partigiane di Tito, è assolutamente oltre il limite reale. Si stimano alcune centinaia di persone gettate nelle foibe del territorio istriano e quasi tutte legate (o sospettate di esserlo) al nazifascismo. Sarebbe insensato parlare di “milioni”, come ha recentemente fatto Maurizio Gasparri, specificando che gli infoibati furono accusati e uccisi «solo perché italiani». Niente di più falso: gli infoibati, nei due periodi sopra citati, non furono più di poche centinaia, forse qualche migliaio, e non vennero uccisi perché italiani, ma perché ritenuti colpevoli di collaborazione col nazifascismo. Il sostengo che alcuni gerarchi fascisti offrirono volontariamente all’invasore nazista, si commutò in una vera e propria arma in più nelle mani dei tedeschi, che sfruttarono il collaborazionismo fascista per segnare la fine dell’opposizione italiana al Reich. Un esempio sono i famosi Cesare Pagnini e Bruno Coceani, nominati a Trieste dal gauleiter nazista rispettivamente podestà e prefetto.
La “ciliegia sulla torta” è rappresentata dalla Legge del 30 marzo 2004 (la numero 92, voluta da Alleanza Nazionale e appoggiata dall’allora capogruppo dei Ds alla Camera Luciano Violante e dall’allora capogruppo della Margherita al Senato Willer Bordon) che non stabilisce nessuna Commissione d’inchiesta sui fatti che seguirono l’8 settembre 1943, ma solo una campagna di puro revisionismo storico. Un revisionismo architettato dalla destra e appoggiato da gran parte della sinistra italiana, come mezzo di auto-purificazione dagli avvenimenti e dalle ideologie del ‘900.
Nessuno però ammette che i primi ad utilizzare le foibe furono i fascisti: la foiba di Basovizza ne è un esempio. Non si dice neppure che nessun partigiano titino fece “apologia di foiba”, al contrario di come fecero in vari ambiti i fascisti, i quali si dilettarono ad esaltare la pratica del “gettare” ancora vivi i corpi di partigiani nelle foibe, «“colpevoli”, magari, solo di essersi fatte scoprire a dire qualche parola in sloveno o croato; così come risultano, dall’archivio dello Stato civile triestino» e come ha confermato ad una recente intervista che mi ha concesso Giorgio Marzi, dell’ANPI di Trieste.
Insomma, la tanto sbandierata “memoria condivisa” non è altro che la totale cancellazione della memoria stessa, insabbiata e occultata per decenni, perché a nessuno faceva comodo. E non fa comodo a chi oggi detiene il potere e fa gli interessi di quella stessa “borghesia” che, nel ventennio fascista, impugnò le armi di Mussolini per accaparrarsi nuove ricchezze a Nord-Est. Ricordando gli infoibati e dimenticando l’uso della violenza operato dal fascismo contro i popoli slavi, senza parlare del silenzio del Governo italiano dell’epoca, vale a dire cancellare a colpi ideologici un pezzo di storia tanto cruento quanto importante per capire il nostro presente.