10.2.11

foibe e revisionismo ma io ricordo lo stesso

 Riccollegandomi a  quanto dicevo   nei due post  precedenti   in particolare  l'ultimo  ,  celebro  il 10 febbraio  , nonostante  come dice mio padre  ( ex Pcml-servire il popolo )  e   gli amici   di  http://www.facebook.com/notes/armata-rossa/ 
(  di cui non sempre  condivido tutto perchè troppo   settari e nostalgici  , ma stavolta  gli do ragione   ) : <<  I fatti ci hanno dato ragione. I timori che avevamo espresso fin da quando fu istituito il giorno del ricordo si sono puntualmente avverati. Anche dalle più alte cariche dello Stato si è sentito il dovere di enfatizzare una retorica che non contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, l'unica che possa servire ad elevare il nostro senso civile, ma che alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale. Per questo vogliamo ribadire quanto scrivevamo già anni fa con la prima Giornata del Ricordo per onorare le vittime delle foibe. >>  (  qui  il resto della  nota  ) .
Infatti Non era difficile prevedere che collocare la celebrazione a due settimane dal Giorno della Memoria in ricordo della Shoah, avrebbe significato dare ai fascisti e ai postfascisti la possibilità di urlare la loro menzogna-verità per oscurare e  far passare in secondo piano la risonanza dei crimini nazisti e fascisti e omologare in una indecente e impudica par condicio della storia tragedie incomparabili, che hanno l'unico denominatore comune di appartenere tutte all'esplosione sino allora inedita di violenze e sopraffazioni che hanno fatto del secondo conflitto mondiale un vero e proprio mattatoio della storia.
Nella canea, soprattutto mediatica, suscitata intorno alla tragedia delle foibe dagli eredi di coloro che ne sono i massimi responsabili la cosa più sorprendente è l'incapacità dei politici della sinistra di fare autocritica  sui loro silenzi e  sull'aver  emarginato i chi a sinistra  denunciava le  foibe  , dire con autorevolezza ed energia: giù le mani dalle foibe , non strumentalizzate  questi fatti  !!! Come purtroppo è già avvenuto in altre circostanze, l'incapacità di rileggere la propria storia, ammettendo responsabilità ed errori compiuti senza per questo confondersi di fatto con le ragioni degli avversari e degli accusatori di comodo, cadendo in un facile e ambiguo pentitismo, non contribuisce - come fa il discorso del presidente Napolitano - a fare chiarezza intorno a un nodo reale della nostra storia che viene brandito come manganello per relativizzare altri e più radicali crimini.
La vicenda delle foibe ha molte ascendenze, ma  per  poter  essere capite  bisogna    ritornare   dove  tutto  inizio' 

Inquadramento storico [modifica]

Gli eccidi delle Foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe) e italiane.
Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli Stati nazionali in territori etnicamente misti. Le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale, sud-orientale e nel vicino oriente ne uscirono in grande parte distrutte[7]. Furono decine di milioni le persone coinvolte nei conseguenti processi di assimilazione od emigrazione forzata, che provocarono numerose vittime. Fra gli episodi più noti si ricordano il Genocidio Armeno, il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale.
Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nella fine dell'ancien régime, un sistema dove gli Stati erano il risultato delle lotte di potere delle classi dominanti (monarchie o, in qualche caso, oligarchie). Con la rivoluzione francese e la conseguente deligittimazione del potere monarchico, gli Stati trovarono la loro legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio Stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio Stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molte nazioni, di assimilare od espellere le minoranze etniche dal proprio Stato, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.


Gli opposti nazionalismi [modifica]

Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana. Il processo di identificazione in specifiche nazioni in queste terre, non fu lineare e l'esito non fu affatto scontato. In Istria in un primo tempo non si faceva distinzione fra sloveni e croati, visti come un singolo popolo. In Dalmazia inizialmente si inseguì l'ideale di una nazione dalmata, che racchiudeva in se radici slave e romanze: fu solo a seguito dell'insorgere del nazionalismo croato che i propugnatori di tale ideale adottarono col tempo una politica filo italiana.
Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi. Si originò di conseguenza quella contrapposizione etnica che fu la causa remota dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono sfociare in episodi violenti (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell'ex-Iugoslavia). Il sorgere dell'irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni[9] e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani.[9] Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza[10]. Nella Venezia Giulia il decremento della componente italiana fu molto più contenuto.
Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, già presenti sotto la dominazione austriaca, non trassero la propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione[9][11].

Le tesi del nazionalismo croato 

 


« La nazionalità italiana in Dalmazia è una parola vuota di senso, trovata dall'interesse, dall'impostura. Alcuni superstiti dei vecchi despoti sognano una nazionalità italiana in Dalmazia, e per il colmo dell'assurdo parlano anche di civiltà italiana. Tutto ciò mira all'interesse di pochi individui e all'oppressione di tutti i Dalmati. (...) Il giornalismo italiano badi prima di dichiararsi protettore dei pseudoitaliani della Dalmazia (...). Un italiano non può, non deve alzar la voce per difendere i despoti, poiché prima deve rinunziare alla vera gloria italiana, ch'è la lotta per la libertà; dovrebbe cancellare tutta la sublime epopea dell'italiano risorgimento, per dichiararsi amico degli italiani dalmati. »



« Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire. »

(Antonio Bajamonti, Discorso inaugurale della Società Politica Dalmata, Spalato 1886)
Nell'ambito dei succitati conflitti nazionali nacque fra i croati l'idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante del loro territorio nazionale fin dall'alto medioevo. Non si riconosceva la presenza di comunità italiane autoctone né in Dalmazia, né a Fiume (e solo parzialmente in Istria). Tali comunità venivano considerate una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria e i russi nelle Repubbliche Baltiche e in Moldavia), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria. Gli italiani "veri" dovevano quindi essere espulsi, mentre i "croati italianizzati" dovevano essere riportati alla loro condizione originaria, anche prescindendo dalla loro volontà. Questa retorica nazionalista fornì una giustificazione morale agli avvenimenti.

Grande Guerra e annessione all'Italia [modifica]

Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o dell'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia[13].
Al termine delle guerra, coi trattati di Saint Germain e di Rapallo l'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso: le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole). vedere cartina sotto 


 
Rimase aperta la questione di Fiume, che fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno iugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. Al termine di una lunga contesa, Fiume fu annessa all'Italia nel 1924.
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena")  noto anche  come  hotel balcan  (  foto a  destra  )
 di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].
I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").
L'episodio più noto fu l'incendio del Narodni dom ("Casa nazionale slovena") di Trieste ad opera di squadristi fascisti. Tale incidente assunse a posteriori un forte significato simbolico, venendo ricordato come l'inizio dell'oppressione italiana contro gli slavi.
Violenze analoghe avvennero contro le minoranze (anche italiane) rimaste sotto l'amministrazione iugoslava[14].


L'italianizzazione fascista [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Italianizzazione (fascismo).

« Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani »

(Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920[15])
La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate, il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico, ecc. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia[16] e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia[17][18][19]. Tuttavia la politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo è stata considerata particolarmente pesante, anche perché l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, si accompagnava alle misure totalitarie del regime[20].
L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.
Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.


L'invasione della Iugoslavia [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Operazione 25.
La spartizione della Iugoslavia.
Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Iugoslavia. La Iugoslavia fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi dagli stati invasori. Col trattato di Roma l'Italia annesse una gran parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro. Inoltre occupò tutta la fascia costiera della ex-Iugoslavia, con un ampio entroterra.
In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali[21]. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata.
La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.

 [....]  da http://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe  >>

il resto lo trovate ne video  del mie post   precedenti  citati all'inizio del post  e  nei post  degli nanni  scorsi  presenti sul  blog  gemello (   che  ancora  ricordo  ai nuovi  http://cdv.splinder.com )
Ecco  quindi   che  sin quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, solo ed  esclusivamente  di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice. Non si tratta di evitare di parlare delle foibe, come ci sentiamo ripetere quando parliamo nelle scuole del giorno della memoria e della Shoah, ma di riportare il discorso alla radice della storia, alla cornice dei drammi che hanno lacerato l'Europa e il mondo e nei quali il fascismo ha trascinato, da protagonista non da vittima, il nostro paese.
Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo contro le minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o dei francofoni della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale snazionalizzazione (proibizione della propria lingua, chiusura di scuole e amministrazioni locali, boicottaggio del culto, imposizione di cognomi italianizzati, toponimi cambiati) come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica?
I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all'Italia il monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria.
Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale. Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell'esodo per rinfocolare l'odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l'unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda.
I profughi dall'Istria hanno pagato per tutti la sconfitta dell'Italia (da qui bisogna partire ma anche da chi ne è stato responsabile), ma come ci ha esortato Guido Crainz (in un prezioso libretto: Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa, Donzelli, 2005) bisogna sapere guardare alle tragedie di casa nostra nel vissuto delle tragedie dell'Europa. Non esiste alcuna legge di compensazione di crimini e di ingiustizie, ma non possiamo indulgere neppure al privilegiamento di determinate categorie di vittime. Fu dura la sorte dei profughi dall'Istria, ma l'Italia del dopoguerra non fu sorda soltanto al loro dolore. Che cosa dovrebbero dire coloro che tornavano (i più fortunati) dai campi di concentramento - di sterminio, che rimasero per anni muti o i cui racconti non venivano ascoltati? E gli ex internati militari - centinaia di migliaia - che tornavano da una prigionia in Germania al limite della deportazione?
da http://karlmarxplatz.blogspot.com/
La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo  da  entrambe le parti , mentre tutti si riempiono la bocca d'Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.
Nei giorni in cui è prevista la commemorazione delle stragi e degli stermini fascista e nazista degli anni ’30 e ’40 abbiamo assistito, come d’improvviso, ad assemblee e incontri che ricordavano i morti nelle foibe giuliane. Quasi una sovrapposizione di due culture differenti dove l’una, quella di destra che ricorda le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, si scontrava con l’altra, quella di sinistra che ricorda l’olocausto e il terrore nazifascista. Una sovrapposizione inquietante che ha il preciso obbiettivo di mischiare tutto in un unico calderone, per la realizzazione di quella che viene più comunemente e ambiguamente definita “memoria condivisa”. Per giungere a questo punto, però, e è passata di acqua sotto i ponti.
Dopo la disgregazione dell’Austria-Ungheria, avvenuta nel 1918, all’Italia si presentò la possibilità di espansione nei Balcani e nell’area danubiana; un’influenza politica su quest’area avrebbe rappresentato da una parte, come è logico, una forte influenza economica e ciò avrebbe comportato l’imposizione di una propria (seppur folle) egemonia nei rapporti “concorrenziali” del capitalismo europeo. Dall’altra parte durante il dominio fascista sarebbe stata utile «sul piano del consenso di fasce più o meno larghe della società italiana», sia come consenso popolare (la propaganda della potenza dello Stato italiano), sia come appoggio politico dei settori economici interni. E’ per questo che il blocco borghese, che dagli anni ‘20 appoggiava il fascismo, operava non solo all’interno dello stato italiano, ma influenzava direttamente anche le scelte in politica estera
Già prima dell’avvento del fascismo, lo stato liberale aveva conosciuto una forte dipendenza dalle banche e dalle industrie, che riuscivano a miscelare con cura i loro interessi all’ideologia politica nazionalista, garantendosi validi esponenti politici nel parlamento. Se le banche e gli industriali vedevano di buon occhio l’occupazione di terre come l’Idria (ricche di mercurio) o l’Istria (per i carboni e le bauxiti), i nazionalisti speravano in un intervento in quell’area essenzialmente per la loro “slavofobia” e per una mobilitazione contro i quel  che  chiamavano generalizzando  slavi comunisti .
     Nella Venezia Giulia venne progressivamente depennato ogni diritto delle istituzioni nazionali slovene e croate: le scuole furono italianizzate e i professori costretti a trasferirsi o ad emigrare; gli slavi non potevano lavorare nel pubblico impiego, vennero soppresse centinaia di associazioni culturali e sociali; i partiti politici delle minoranze slave (come l’organizzazione “Edinost”) vennero esclusi dalla corsa elettorale. La legge Gentile del 1923 impose la chiusura di tutte le scuole di lingua non italiana, nelle nuove province italiane. Le leggi vennero accompagnate dalle violenze dei fascisti, che si “dilettavano” a compiere crimini razzisti di ogni tipo, come la tragica vicenda di Struggano del 1921 dove i fascisti spararono ad un gruppo di bambini uccidendone due e ferendone cinque.
    Ciò che il fascismo cercò di attuare un minuzioso programma di annientamento totale dell’identità nazionale slovena e croata. Dalla distruzione del Narodni dom, la “grande casa” che ospitava la cultura slovena col Teatro di Trieste, il fascismo impose una “culturalizzazione” forzata, sottraendo ogni tradizione non-italiana. Fu proprio a Trieste che venne fissata la sede del Commissariato civile, rappresentato da Mosconi, «nemico dichiarato del socialismo», e sempre a Trieste operava il Tribunale militare.
    Non è facile ricostruire l’occupazione italiana nell’area balcanica, in quanto le documentazioni in possesso degli storici non sono così numerose da poter dipingere un quadro completo delle azioni militari che le camicie nere intrapresero nella zona. Già nel 1927 il Tribunale speciale iniziò la sua funzione di controllo e repressione delle attività antifasciste, soprattutto nel nord-est italiano.
    Dalle pubblicazioni vengono alla luce le spietate azioni portate a compimento dai reparti italiani nell’Est europeo, come persecuzioni, fucilazioni e precisi ordini di impareggiabile severità. Un caso è la famosa “circolare 3c” divulgata dal generale Mario Roatta, comandante in Slovenia e Dalmazia, nella quale si legge:
    Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula “dente per dente”, ma bensì da quella “testa per dente”... si procederà inoltre a designare, fra la parte sospetta della popolazione, degli ostaggi, che verranno tratti e mantenuti in arresto... i ribelli colti con le armi nella mano saranno fucilati sul posto. Saranno trattati come ribelli i maschi validi... pur non essendo stati colti con le armi in mano.
    Esso non è l’unico esempio, la storiografia ce ne ha consegnati abbastanza per delineare una nuova figura di soldato italiano, che elimina completamente dall’immaginario comune quella del «buon soldato» e la sostituisce con quella del “soldato spietato”.
    È in questo quadro che rientrano le foibe, come mezzo per “punire” le malefatte fasciste. Il termine foiba deriva dal latino (fovea) e significa spaccatura nel terreno, crepaccio e, ancora più similmente alla lingua italiana, fòibe significa “fossa” nel dialetto friulano. Infatti una foiba è una particolare dolina, come una fossa molto profonda nella terra, che si genera frequentemente nei suoli calcarei a causa dell’erosione esercitata dal passaggio dell’acqua. Basovizza, Prosecco, Volci, Cruscevizza, Ternovizza ecc. sono tutte località carsiche dove si aprono tali voragini, che vengono ricordate essenzialmente per l’uso che se ne fece nel settembre del ’43 e nel Maggio del ’45, quando vi si gettarono i corpi di chi collaborò col fascismo. È bene precisare che il fenomeno delle foibe non fu unico nel tempo, ma possiamo dividerlo in due periodi ben distinti: il primo è quello immediatamente successivo all’8 settembre 1943, quando le truppe partigiane del maresciallo Tito occuparono varie zone dell’Istria e quando quelle naziste instaurarono il cosiddetto «Litorale Adriatico»; il secondo periodo è quello successivo all’aprile 1945, ovvero subito dopo la fine della guerra quando, sconfitto l’esercito tedesco, vi furono i cosiddetti quaranta giorni di occupazione jugoslava a Trieste.
    Molti studi dimostrano che parlare di migliaia di infoibati, per ciò che concerne le truppe partigiane di Tito, è assolutamente oltre il limite reale. Si stimano alcune centinaia di persone gettate nelle foibe del territorio istriano e quasi tutte legate (o sospettate di esserlo) al nazifascismo. Sarebbe insensato parlare di “milioni”, come ha recentemente fatto Maurizio Gasparri, specificando che gli infoibati furono accusati e uccisi «solo perché italiani». Niente di più falso: gli infoibati, nei due periodi sopra citati, non furono più di poche centinaia, forse qualche migliaio, e non vennero uccisi perché italiani, ma perché ritenuti colpevoli di collaborazione col nazifascismo. Il sostengo che alcuni gerarchi fascisti offrirono volontariamente all’invasore nazista, si commutò in una vera e propria arma in più nelle mani dei tedeschi, che sfruttarono il collaborazionismo fascista per segnare la fine dell’opposizione italiana al Reich. Un esempio sono i famosi Cesare Pagnini e Bruno Coceani, nominati a Trieste dal gauleiter nazista rispettivamente podestà e prefetto.
    La “ciliegia sulla torta” è rappresentata dalla Legge del 30 marzo 2004 (la numero 92, voluta da Alleanza Nazionale e appoggiata dall’allora capogruppo dei Ds alla Camera Luciano Violante e dall’allora capogruppo della Margherita al Senato Willer Bordon) che non stabilisce nessuna Commissione d’inchiesta sui fatti che seguirono l’8 settembre 1943, ma solo una campagna di puro revisionismo storico. Un revisionismo architettato dalla destra e appoggiato da gran parte della sinistra italiana, come mezzo di auto-purificazione dagli avvenimenti e dalle ideologie del ‘900.
    Nessuno però ammette che i primi ad utilizzare le foibe furono i fascisti: la foiba di Basovizza ne è un esempio. Non si dice neppure che nessun partigiano titino fece “apologia di foiba”, al contrario di come fecero in vari ambiti i fascisti, i quali si dilettarono ad esaltare la pratica del “gettare” ancora vivi i corpi di partigiani nelle foibe, «“colpevoli”, magari, solo di essersi fatte scoprire a dire qualche parola in sloveno o croato; così come risultano, dall’archivio dello Stato civile triestino» e come ha confermato ad una recente intervista che mi ha concesso Giorgio Marzi, dell’ANPI di Trieste.
    Insomma, la tanto sbandierata “memoria condivisa” non è altro che la totale cancellazione della memoria stessa, insabbiata e occultata per decenni, perché a nessuno faceva comodo. E non fa comodo a chi oggi detiene il potere e fa gli interessi di quella stessa “borghesia” che, nel ventennio fascista, impugnò le armi di Mussolini per accaparrarsi nuove ricchezze a Nord-Est. Ricordando gli infoibati e dimenticando l’uso della violenza operato dal fascismo contro i popoli slavi, senza parlare del silenzio del Governo italiano dell’epoca, vale a dire cancellare a colpi ideologici un pezzo di storia tanto cruento quanto importante per capire il nostro presente.




    9.2.11

    i vecchi sono preziosi . il caso di Zia Mariella che scrive al premier: mi dimetto da cittadina

    manginobrioche scrivania
    Chi lo  h detto che i vecchi  sono noiosi e  barbosi  ? .  Forse moti \e ignorano  che nei momenti di crisi  ( politico e  culturale ) essi sono come dimostra  questa lettera  presa  da  ©http://unita.it online del 9\2\2011 dei punti di riferimento   Ne  è un esempio questa  a lettera  di un  ex partigiana  che sotto riporto  , senza  ulteriori  commenti , perché è talmente  bella e profonda  che parla da  sola 
     
    Egregio Presidente del Consiglio
    è la prima volta che Le scrivo, ma non si preoccupi: non voglio chiederLe nulla. Lei in realtà mi dovrebbe tutto, visto che il Suo mestiere di premier sarebbe provvedere a noi italiani, specie a quelli che sono ultimi o penultimi. Io sono anziana, pensionata minima, calabrese; dopo di me ci sono forse solo gli invalidi, gli anziani non autosufficienti, le mamme single extracomunitarie. O forse no: la linea degli ultimi non si vede mai con chiarezza, ma in compenso si vede molto bene la linea dei primi.
    Per carità, non pensi che sono invidiosa: ho capito che non abbiamo le stesse idee su cosa significa essere felici e fortunati, io e Lei (lo sa che siamo coetanei? Anch'io ho 74 anni. Però, a differenza di Lei, io sono giovane sul serio: è una questione di cuore, di anima e quindi di pelle, e non posso spiegarglieLa a parole Sue).
    Le scrivo per dirLe che ho sbagliato. Credevo, in questi 74 anni, d'aver costruito un altro Paese. Un Paese che non ha paura della realtà, tanto da nascondersi nelle bugie e nella tivù. Un Paese che non ruba ai vecchi per non dare ai giovani. Un Paese dove le donne vengono riconosciute per quello che sono: i pilastri e il sale della Terra.
    Ho sbagliato e, a differenza di Lei, mi prendo le mie responsabilità: mi dimetto da cittadina di questo Suo Paese.
    Probabilmente non ho lottato abbastanza, visto che le regole in cui credevo non valgono più nulla, e Lei offende ogni giorno la mia intelligenza pretendendo che creda a ogni menzogna perché Lei “è stato scelto dal popolo”: io sono il popolo, e non L'ho mai scelta. Ma con la legge truffa Lei s'è preso i voti di tutti, e s'è eletto il Suo, di popolo. Ecco, io non voglio starci. Accetti le mie dimissioni».
    Firmato: zia Mariella, Calabria, Italia. Un'altra Italia.

    8.2.11

    Chiara Ragnini - All my pleasure [ Palco sul Mare Festival 2010 opening ...

    Coraggio padano ? esiste ancora ?

    rivedendo  questo  video ormai  passato ala storia   mi chiedo che fine abbia fatto   Il coraggio della Lega  ? 


    Calderoli invita il governo a ripensarci sulla festa del 17 marzo. “Si può festeggiare lavorando”, dice, “perché siamo in un momento di crisi e ci potrebbero essere pesanti ricadute”.
    Il suo collega di partito, il consigliere regionale lombardo Bossetti, non si alza durante il minuto di silenzio per i bimbi rom morti a Roma. E quando il democratico Civati lo rende noto dice di non essersene accorto, perché era “intento a leggere un articolo di giornale”.
    C’è un filo rosso, anzi verde, che unisce le parole dei due lumbard. Il filo della dissimulazione  come sistema, altrimenti detto del ciurlare nel manico. 
    Se Calderoli vuole depotenziare la festa dell’Unità dell’Italia, lo dica e non tiri in ballo argomenti – magari legittimi – ma che in bocca a lui fanno un po’ ridere. E se il consigliere Bossetti (il nome dice tutto) non vuole alzarsi per gli “zingari” morti, abbia almeno il coraggio di difendere la sua scelta. Anche perché qualsiasi essere umano, in un’aula consiliare, se gli si fanno attorno  dieci secondi di silenzio assoluto alza la testa e si chiede che cosa succede. Altro che “non me ne ero accorto…”.   
    Viene da pensare  a quando minacciava   : <<  che i milioni di baionette pronti a calare su Roma >> quando erano    tanto duri e tanto puri da combattere a viso aperto per le loro idee prima  d'impantanarsi nella poltrona Romana  e  farsi fregare  da  un federalismo che  non arriverà mai e di votare  in cambio tutte le porcate ad   personam di questo mondo ,  mandando a  ramengo  quando diceva  



    Ora  non sembrano poi tanto coraggiosi. Al contrario, non fanno che gettare sassi, e nascondere le mani.

    quando la musica commuove anche i dittatori più spietati . il caso di MARIJA JUDINA/e il suo concerto k488 di mozart La pianista che commosse Stalin

    L'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insulsi  )                                                          
     
    o  da  questo modello di radio  http://www.tivoliaudio.it/ta_networks.htm  che  ti permette  d'ascoltatre  tutte le stazioni del mondo   tramite Internet senza fili o una connessione Ethernet.  e quindi  senza  la  classica   visto il farrwest  italiano che una  frequenza  disturbi un 'altra  , ho  ascoltato il bellissimo  e  toccante   concerto  MARIJA JUDINA/e  il suo  concerto  k488  di mozart   .
    Come da  titolo mi  ha  fatto venire  in mente  questa storia   letta qualche tempo fa .

    MARIJA JUDINA/ La pianista che commosse Stalin

    Il toccante libro di Giovanna Parravicini, Liberi, recentemente edito da Rizzoli – inconsueta galleria di ritratti di nove protagonisti della Russia novecentesca, storie di grandi uomini, di luminosi testimoni della Fede, di martiri catacombali – fa riemergere da lontane nebbie la leggendaria figura della pianista Marija Judina.
    Notizie biografiche ridotte al minimo. Scarse le registrazioni sopravvissute. Alcuni conoscitori ne tramandano giudizi entusiasti. Una certezza: fu la più grande pianista russa di tutti i tempi.
    Virtuosismo, scatto, elettricità, bellezza del suono, un’eccezionalità umana più grandi del suo mito. Prodigio di perfezione e di poesia.
    Classe 1899, a dodici anni è già artista completa. Legge avidamente Platone, Agostino, Tommaso d’Aquino, si appassiona ai poeti simbolisti, studia arti figurative, architettura, teatro, filologia, storia. Al suo cospetto i colleghi Richter, Gilels, Sofronitskij tremano come ragazzini. «Le sue dita sono artigli d’aquila», esclama un ammirato Shostakovich. Anche Prokofiev ne è sbalordito.
    «Suonare per me è un avvenimento interiore», testimonia la giovane Judina, donna inquieta, inappagata, sempre in ricerca. «Non m’interessano la fama o la tranquillità. Al centro della mia vita c’è la ricerca della verità. Devo inoltrarmi nella mia vocazione, alla ricerca di un’illuminazione che mi sorprenderà», riassume. Questa sua tormentosa indagine approderà finalmente alla Fede. A vent’anni si fa battezzare nella Chiesa ortodossa: «Conosco solo una strada che porta a Dio, l’arte». Autorevoli membri di partito rimpiangono questa sua sciagurata decisione: «Noi la porteremmo in trionfo, se solo Lei non credesse in Dio!». «Non rinnegherò la mia fede. Sarete voi, invece, a venire tutti dalla nostra. Voglio mostrare alla gente che si può vivere senza odiare, pur essendo liberi e indipendenti», replica. Non nasconde amicizie pericolose (Pasternak, padre Pavel Florenskij, la poetessa Marina Cvetaeva, il monaco Feodor Andreev), ma fortunosamente evita sempre la reclusione.
    Neri capelli lisci, occhi che mandano bagliori, lunghi abiti scuri su scarpe scalcagnate. Ai suoi concerti il pubblico non vuole andarsene, nemmeno dopo l’ennesimo bis. Lei entra in scena e recita poesie di autori proibiti, scatenando uragani di applausi. Subito le sue tournée sono cancellate. La sua notorietà è ormai mondiale, numerosi inviti le giungono dall’estero, ma ogni volta è costretta a rifiutare. «Ostenta la sua religione», è l’accusa. «Una sua lezione su Bach è catechismo, sembra di leggere un pezzo di Vangelo», confermano i suoi allievi.
    La licenziano dal Conservatorio di Leningrado. Si trasferisce allora a Mosca, dove fL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuatica perfino a pagarsi l’affitto e riesce a malapena a noleggiare un pianoforte. Aiuta tutti, paga visite mediche agli amici indigenti, difende i perseguitati dal regime. Quando tiene concerti, affigge avvisi di questo tipo: «Suonerò nella tale città. Posso portare pacchi di un chilo massimo l’uno». Poi recapita i vari pacchi agli sconosciuti destinatari, fino all’ultimo. Non teme nulla, nella certezza indistruttibile di un rapporto con un Tu vivo, presente, che la sostiene: «Ho due stelle che mi guidano: la musica e Dio».
    Nel 1943 Stalin ascolta alla radio il Concerto K 488 di Mozart eseguito dal vivo dalla Judina. Ne resta così colpito da chiederne immediatamente il disco. Ma il disco non esiste perché si tratta di una diretta, effettuata negli studi della radio di Mosca. Non è il caso di perdere tempo in spiegazioni: la Judina è convocata d’urgenza, l’orchestra è pronta, due direttori declinano l’invito, solo un terzo accetta, in una notte la registrazione è fatta, il disco confezionato in pochi esemplari e recapitato all’illustre ammiratore.
    Stalin è generoso, fa avere alla Judina ventimila rubli, una cifra strepitosa per l’epoca. Con un gesto folle, li rifiuta: «La ringrazio. Pregherò giorno e notte per Lei e chiedeL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insurò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, La perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della chiesa in cui vado».
    Ancora una volta, non le viene torto un capello. Sale spontaneamente alla bocca la parola “miracolo”. Alla morte di Stalin, sul grammofono del dittatore, c’è quel disco della Judina.
    «Due stelle mi guidano, come una volta», continuerà a ripetere Marija, «ma ora mi sono accorta che l’ordine è diverso: Dio e la musica». «L’esperienza della musica è uno squarcio che si apre su un altro mondo, su una realtà più grande, sulla rL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuL'altro  giorno  non  ricordo  se : dal PC  di mio padre  che ascolta  le stazioni  radiofoniche  internazionali  (  visto  che  secondo  lui ,  come no  biasimarlo , in italia  a parte la filodiffusione  e  qual cosa  su radio tre    di musica  classica      non c'è  un granché o è  snaturata da  presentazioni \ commenti   barbosi ed  insuealtà: la Grazia di Dio».
    Sono le ultime parole della Judina. Le legge il suo parroco, padre Vsevold Spiller, durante l’omelia funebre, il 24 novembre 1970.

    Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - I. Allegro


    Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - II. Adagio


    Mozart - Concerto per Pianoforte e Orchestra n. 23 in La Maggiore K. 488 - III. Allegro assai



    © http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=15235









    6.2.11

    viaggio nella frontiera v° ulteriore svezzamento di jack e inizio a parlare del mio passato

    Gli ultimi due mesi  di convalescenza passarono rapidamente (  quasi volarono ) fra :  letture , rapide  e fugaci visite   di Jack  fra una pausa  e l'altra del lavoro  , passeggiae in paese  e solitari  al saloon ovviamente  nel tavolo   con di fronte  allo specchio  , precauzione che  ho sempre  preso  nei miei viaggi  per  evitare  di finire  sparato alle  spalle mentre  si gioca    proprio come  successe  a  a Will Bil   . 
    Qui ,  ovviamente mi tenni alla  larga  dai tavoli  da  gioco  , non perchè mi dispiacesse giocare  anzi , ma  visto il mio carattere irascibile contro i prepotenti, gli imbroglioni  e gli  eventuali bari  volevo evitare problemi e volevo finirla  con i duelli e le  sparatorie  . Ma  visto  la noia  della degenza e la monotonia  di un piccolo  buco di paese  , non mi proibì'  qualche partitina  sempre  con  il medesimo accorgimento   con lo sceriffo ed  il vice  o con il proprietario dell'emporio e il garzone  dell'emporio .
    La mia  guarigione  corrispose  alla fine del  contratto  d'assunzione  di Jack  . Entrambi eravamo liberi . Ecco che chiesi a jack <<  cosa  vuoi fare  , vuoi  fermarti qui  a fare il mandriano     vuoi venire con me ? >> .Lui senza  esitare  << il mestiere di mandriano non fa per me anche se mi è servito ed  è  stata  un esperienza  . Io ho scelto la frontiera  non  per  fossilizzarmi , ma  per  muovermi  e conoscere  gli Indiani , in modo da verificare  le dicerie che si dice  su du loro . Ma  soprattutto perchè la frontiera non rappresenta soltanto la dura lotta per la sopravvivenza, ma anche l’appassionante ricerca spirituale, tra riti, visioni, sogni di riscatto e incubi terribilmente reali.  . E poi da  studente   d'arte  e d'antropologia  mi  attrae la loro cultura  . >> .Mi venne  un lucicchio agli occhi e  un po' di nostalgia , subito  rimossa  . << Allora  dopo domani   si parte  verso le  terre  selvagge  e  forse troveremo anche gli Indiani .>>.
    Facemmo  stavolta senza  problemi di sorta  rifornimento  e partimmo .Durante  il cammino c'inoltrammo in una  radura  , quando un serpente  a sonagli  fece  imbizzarrire il mio furia , estrassi velocemente  la pistola  e  lo fulminai .  . Jack, impressionato , si ricordo degli ultimi episodi e mi chiese  : <<  Ma  allora  è vero quello che dicono  d te  e dei nomignoli che ti danno  . Ma  dove  hai imparato a sparare  cosi velocemente non  è  che  sei stato per  caso un sceriffo o un ranger  o un bandito >> ? . Io feci una risata  ironica sarcastica   e  risposi  in maniera  vaga  : <<   di qua' e  di la' nel corso del mio vagabondare   nel west  .....  ho dovuto imparare  a difendermi da prepotenti  . >> . E  cambiai discorso in modo che si ritornasse anche indirettamente  al  mio passato  . Non mi sentivo ancora pronto a parlare completamente  del mio passato ( e  a riaprire  un periodo  in gran parte doloroso )  con jack , non perché  non mi fidassi di lui  , ma ancora  non mi sembrava il caso  .  Dovevo trovare  solo l'occasione giusta  .Il viaggio continuò in  parte    a piedi  ed in parte a cavallo . 
    Il sole  stava per tramontare  e i cavalli erano stanchi  e  un po' anche noi . Ecco che decidemmo di fermarci e mangiare  lungo strada  .



     Poco prima  di cena  , decisi di emttere aa prova  Jack e li chiesi di dimostrarmi   cosa  aveva imparato con la  pistola  e  sfidandolo a colpire  un puma sul pendio  vicino   . Jack tiro fuori  la sua  (  mi pare  fosse una coolt o una La Smith & Wesson Schofield  ) e i due  rapidi  colpi lo fece fuori . Rimasi un po'  sorpreso ed  imbambolato  per i suoi progressi  e  dissi << grande figliuolo  cena  assicurata  >> , ma  un po' per  canzonarlo , un po' per provacarlo e cercare la  famosa  occasione   sorrisi  e dissi <<  tutto qui quello che  sa fare  >> . Lui , visto la confidenza   che  s'era  formata   tra noi  non  si  scompose e si mise  a ridere  , estrasse da  tasca  una moneta   e la ncio in aria  , si giro  seguendone  la direzione  e  rapido quasi quanto il maestro   la  colpi in pieno .E li feci i miei complimenti 
    Prendemmo il puma  e lo cucinammo , ovviamente  togliendo il manzo  e riservandocelo a domani  o ai prossimi giorni  nello stufato .
    Dopo cena  gli imparai  altri trucchetti e  giochetti con  la  pistola  , come  muoversi e schivare  i colpi nel caso si fosse trovato in una sparatoia o in un duello   , ma  soprattutto come  sparare   in rapida  successione  con il palmo dela  mano . Fu  questa  sua rapidità nell'apprendere  e nel vedere  che  era  ormai  completamente  svezzato  ( gli mancavano ancora  " i sistemi indiani  " , ma  quelli  sarebbero venuti più in la' ) e la sua  battuta  dopo aver visto i mie insegnamenti <<  ero  in viaggio con un famoso pistolero   du cui parlavo   i fogli  volanti  e le croanche  , e  non lo sapevo  >> che mi indusse   alla prima ocasione a parlarli del mio  passato  a 360 ° gradi  .
    Mentre pulivamo le stoviglie , mi venne  una  delle mie classiche  battute   <<   non sapevo che  fra  i mandriani  , insegnassero a sparare  bene >> . Lui  scosse  la testa   e disse  <<  beh il padrone  , mi ha  regalato  un arma    e  visto il  pericoli che corrono  i mandriani  e  quello che ci successe all'emporio  ,  ho  imparato   esercitandomi  da  solo tirando  a barattoli   >>  ,il trucchetto   del tiro al  volo  me  l'ha insegnato  un collega  >> . 
    Ecco che stavo iniziando  a  parlargli  del mio passato  quando  mi chiese  visto che  eravamo in tema  un po' a  bruciapelo  e  contemporaneamente  scusandosi per  l'eventuale  indiscrezione, visto il mio modo evasivo di rispondere sul mio passato tenuto questa mattina  <<  E' vero quello che mi ha detto  un parente  del proprietario  del rach  che   tu  sei un ex bandito   pi pentito passato  ai rangers ? >> .
    Io  rimasi  un po'  spaesato , stava  per  dirmi << se non vuoi rispondere  nonn importa  >> , ma presi coraggio  e mi decisi a vincere  quella  mia titubanza  e ad aprirmi  completamente  sul mio passato  e dissi <<  in parte  è vero e  in parte  no  è un po ' ingigantito  da racconti scritti ed  orali  . Ok ti racconterò questa parte  del mio  passato , e  se  ti và nei prossimi giorni risponderò alle  tue  domande   senza  esitare   e in maniera  non invasiva : Ma però   tu  promettimi di  non giudicarmi e  se   ti è  possibile non   commentare . Dopo  il suo asssenso iniziai    raccontare . 
    Si  sono stato bandto \  fuorilegge  ma  fu  per   .... Andiamo con ordine
    Mio padre  era  un uomo giapponese  che lavorava   come operaio nella costruzione della ferrovia e   scomparve Il padre scompare quando ero ancora  in fasce  .Mia  madre  una donna pellerossa.  Fui  quindi dato ad  un orfanotrofio   dovce  fui  oggetto di scherno e discriminazione  . verso i 6\7 anni  scappai e  venni trovato e preso "  in affido  da   una comunità di di crudeli banditi che rapinava  banca  e  diligenze

       che  si chiamava   se non ricordo male, La banda di Kid Billy. li mi  resero  esperto nell'uso delle armi da fuoco.
    Arrivato all'adolescenza, i miei  crudeli compagni  mi  sottoposer   ad una terribile prova: rapinare la banca di El Paso, ma Sam, già stanco della vita da criminale e di tutta quella inutile crudeltà rifiuta di eseguire l'ordine.Tentarono d'uccdermi ma  non ci riuscirono ne uccisi  4\5 e  disarmai il resto  e trassi  in salvo  il suo amico mio amico  Big Stone , con il quale  divisi parte  del mio percorso , poi lui scelse  di fare il ladro di cavalli e  fini in prigione   e ora  mi pare  faccia  agricoltore  ed  io  decisi  d'intraprendere una vita retta alla ricerca del proprio  dei  miei  genitori nel  selvaggio West, senza sapere  che fu  quell'uomo che la  banda  mi  ordino d'uccidere  e  che  io   rifiutai  d'uccidere risparmiandoli  cosi' la  vita  . Girovagai per  un  bel po' con carovane e mandrie, e  rodei   , ma niente   , tanto che rinunci . Decisi cosi stanco  di viaggiare  e  vagabondare   di cercarmi un lavoro  come mandriano allevatore  di cavalli. Lo trovai    , andai cosi d'accordo con l proprietario , rimasto vedevo e la sua  famiglia ( figli  maschi ) a  che capirono il mio  passato  e  mi addottarono nuovamente  . Dopo 5  anni di calma apparente Tommy   mio padre  addottivo  e Miki  il primo dei mie nuovi fratelli, l'altro Micheal era  fuori a   vendere  i bestiame   furono uccisi da dei banditi . Insegui i banditi  , sconfinando nonostante  il parere dello sceriffo  sconfinai con doppio ruhm , il notro assistente in Messico  e  sterminammo la banda , ma nel viaggio di ritorno incontrammo il fuoco dei rulares , e il mio amico ci rimase  . 
    Tornai al ranch , e dissi a Micheal  ,che avevo chiuso  con all'allevamento  , vendetti le mie  quote  e  ripresi a vagabondare  . 
    E  decisi  d'usare le  pistole  solo per aiutare i deboli dalla parte del bene contro il male. Però, spesso ( in passato  un po' meno ultimamente  ) e volentieri, oltrepassa il limite imposto dalle leggi, se queste diventano un ostacolo ai miei  scopi. Non ho mai disdegnato (in passato) di accendere, per esempio, un fiammifero tra le dita del piede di un sospetto. E quando è  sono stato  toccato nel personale, come nel caso dell'uccisione  di Micheal da  parte un ricco proprietario terriero senza scrupoli, il "Cattivissimo", che si serve di due violenti scagnozzi, Ursus e lo Smilzo (Slim), per mantenere il potere con la paura, vuole impadronirsi con le buone o le cattive dell'ultimo terreno fertile, o dell'uccisione  d'amici  o l'ingiustizia e la quasi morte causata  da gente senza  scrupoli e la morte  di quella  che avrebbe dovuto  essere lamia futura moglie  ( ma  questa è  un'altra storia  che  ti raccontero' prima o poi e  se me ne dimentico non esitare a  ricordarmelo   )  la mia  vendetta è stata terribile. Ecco che durante il mio rapporto quasi  ventennale     (  sono andato in pensione una settimana  prima d'incontrarti  ) con il corpo dei rangers    fatto  di  uscite   e rientri fino all'ultimo  che mi ha  visto  come  uno  spirito libero,  ma senza obblighi nel confronto del corpo . Il mio rapporto  con le rigide strutture militari è sempre stato difficile. Più volte dal giorno in cui a Jill Point ha giurato fedeltà alla presenza di Marshall, il capo del servizio segreto dei Rangers, ha lasciato il corpo per poi rientrarvi in tempi successivi. Il motivo di fondo è sempre stato, oltre all'insofferenza verso strutture rigide, la necessità  di riuscire a muoversi fuori dai vincoli operativi che hanno coloro che appartengono ad un corpo militare. Alla fine, la situazione di fatto che si è venuta ad instaurare tra me  e il corpo dei Rangers è la seguente:  non  sono  è un ranger a tutti gli effetti, ma, come un "consulente" di oggi, si assume l'incarico di svolgere alcune missioni difficili per conto del corpo. A tale scopo conserva il distintivo del corpo e tira in ballo la sua autorità ogni volta che gli viene utile.Ho quindi  anteposto la  Giustizia ,  evitando il più possibile  quella sommaria , alle  leggi dello  stato  
    Dopo  quasi un  ora  Jack   parlo'  <>
     vedo che hai capito  benissimo  ora  a nanna  che  è tardi 

    4.2.11

    150° storie d'italia volume II " L'vventura comune " dala seconda guerra mondiale ai giorni nostri

    Dopo aver letto anche il  secondo volume posso  dare un giudizio  globale  su tale opera  de  il  giornalino   ( strano  che  repubblica     a differenza del giornale  non ci  si  sia   gettata  su tale  iniziativa  , magari riproponendo  i volumi   fatti l'anno scorso  su  il risorgimento  ) sui  150 anni del'unità d'italia  .
    Leggendo questi due volumi   ho ottenuto la  conferma delle mie  risposte    alle   domande  che  si fa  anche Sefan Gorla  direttore de  il giornalino e   e dell'area  ragazzi  periodici san paolo    : <<   chi fa la storia  ?  I grandi  ? i condottieri  ?  I  fini strateghi e  i profond conoscitori de proprio tempo  e  dell'uomo gl?  Glin eroi  ?  >> .  Domande  che mi facevo da bambino :  quando studiavo e  leggevo la storia  sui libri  che mia madre usava per insegnarla  agli alunni e  di mio nonno  paterno e mio padre  appassionati  anche  se avevano un modo  diverso  d'intenderla  con i vincitori anche se critico il primo con gli sconfitti il secondo , e poi  sule riviste  che  compravo in edicola  . Ma  soprattutto  ascoltando   la canzone  di De Gregori  la storia  siamo noi qui  il testo )  .
    La  risposta  è che  la storia  è la  gente   sia  che sia stata  (  o è )  dalla parte  dei vinti   per  oopportunismo\  voltagabbana , avventura , coerenza  critica  .,   sia altrettanto  dalla  parte  di vinti   per coerenza  estrema , incapacità di o paura  di cambiare  .
    Ad una rapida  lettura  sembrerebbe  che  sia  sorvolato  , volutamente o per  non creare polemiche , visto che  non si racconta direttamente   sulle  pagine  più vergognose sulle repressioni  (  noi sardi ne  sappiamo qualcosa  )  dei savoia , sul fascismo  ,   sui misteri ( la strategia della tensione  , gli anni di  piombo , la mafia ) . Invece se ne parla   anche se indirettamente   pr  non appesantire   , la lettura  e  qui che sta  il buon gioco  editoriale 
    Ottimo l'autore dei testi   e  ottimi disegnatori . Le  ottime ed intense storire ivi  narrate che fanno , pur  nella   sua limitatezza  , ( sis arebbero dovute  fare  più storie   )  , è un opera  importante da far leggere  insieme  alla più vote ristampata  storia  d'italia a  volumi d'Enzo Biagi  .
    Esso conserva le caratteristiche del precedente volume, ovvero albo brossurato con alette, formato 21x28 cm, foliazione di 132 pagine e fumetti proposti a colori. IL  II volume    si intitola 150° - Storie d'Italia vol. 2 - L'avventura comune  ,  vede alternarsi ai disegni delle storie Pasquale Frisenda, Ivo Milazzo, Marco Nizzoli, Giorgio Cavazzano e Corrado Mastantuono.
    I fumetti ospitati sono tre come nel volume precedente ed anche in questo caso sono lunghi 30 tavole ciascuno. Però questa volta per ogni storia si alternano 2 disegnatori, mentre i testi sono tutti di Francesco Artibani. L'ambientazione di questo secondo volume spazia fra la Seconda Guerra Mondiale e i giorni nostri.
    L'elenco delle storie è il seguente:

    - Il postino (disegni di Frisenda e Milazzo)
    - Arrivi e partenze (disegni di Nizzoli e Cavazzano)
    - Una gita scolastica (disegni di Mastantuono e Cavazzano)

    Decisamente appassionante la selezione di autori coinvolti nella realizzazione di questo volume, Mastantuono e Cavazzano si esprimono come sempre ad altissimi livelli mentre Nizzoli sembrasecondo alcuni  penalizzato dall'utilizzo del colore ma  secondo me   ciò non toglie  che la storia suia  splendida  e toccante 
    In apertura di volume anche in ques'albo troviamo una carrellata di illustrazioni a tema firmate da Renzo Calegari e Sergio Tisselli.
    Andiamo a commentare le storie


    Il postino (Francesco Artibani ., disegni di Frisenda e Milazzo)

    1944  . Firenze devastata dalla  guerra   un umo senza memoria deve consegnare  una lettera msteriosa   accompagnato da due partigiani  .Per portare  a termine la sua missione affronterà  u n percorso insidioso scoprend slo a termine del cammino ciò  che  ha  dimenticato .
    << la menoria di quello ch'è stato è importante ..... non per  dare forza  ad una vendetta o alimentare un tormento  , ma  per non compiere gli stessi errori  >>  solo  questa  frase  vale tutta la storia  . Bellissimi i disegni  . Peccato che non riesca  causa   problemi di vista  e non conoscienza  di Frisenda , a  capire   , visto il tratto simile dove  finiscano quelli di Miklazzo ed iniziano i suoi  .
    Testimonianza che la resistenza  fu anche non violenta ,e fu fatta  anche da staffette  e postini  , non solo di bombe  mitraglia  .

     
    Arrivi e partenze ( testi di francesco Artibani  ., disegni di Nizzoli e Cavazzano)



    2011. Due viaggi , quello di chi affronta il mare ( e non )   per  raggiungere l'Italia e quello di Salvatore Pagano   un funzionario di polizia  che  aspettando l'arrivi dei clandestini , s ricorderà  de viaggio  che fece molto tempo prima : <<   [..]  a  differenza  tua  io  ho  rispetto per la  gente  disperata  . rispetto il coraggio di  abbandona tutto  per  per avere  un altra  opccasione . [...] >>   un percorso nella memoria  capace d'unire il passato al futuro  . Il futuro si "legge" nel passato, e si costruisce giorno per giorno.
    Nord  è Sud figli di uno stesso paese  , ma non per  tutti .Quello che noi eravamo ( cioè emigrati )  loro sono ( immigrati ) . Infatti  molti Italiani dimenticano  o non sanno chje  abe abbiamo alle spalle una storia  d'emigrazione . E  che  << certi viaggi   te limriordi per  tutta la vita   e per  quanto potrai viaggiare   dopo , ne  avrai   sempre  uno che non dimenticherai più >> . Una  lezione  anche a  quei poliziotti \ carabinieri che maltrattano  psicologicamente e fisicamente  ( Wikileaks/ Accuse all'Italia: Eritrei respinti e picchiati qui maggiori news   http://www.tendenzeonline.info/apcom/view.php?s=20110203_000025.xml ) che fugge e viene in Italia ed in uropa  per  scappare dalle brutture  che noi occidentali abbamo  creato nelle  loro terre .Bellissimi i disegni . Bravo Nizzoli , niente male  per  la  prima volta  che lo vedo
    Stupedo  come sempre  Cavezzano

    Una gita scolastica (testi Francesco Artibani ., disegni di Mastantuono e Cavazzano)

    Demenziale  . ma  intensa . Riassume  tutta  l'opera e  tale iniziativa  . <<[..]  l'unità' non è un'idea  che appartiene al passato ..... . è quacosa che va costruita  e difesa  ogni singolo giorno  perchè ogni giorno  ci mette  ala prova  con una sfida  . Quelo che   che abbiamo non va dato per  scontato  perchè basta poco   per  perderlo  . >> .
    Nel  bene e nel male , nelle vittorie  e nelle sconfitte , nllle perfezion ed imperfezioni  . Siamo uniti nelle diversità  . Quest'utima  mi ha  fatto venire  in mene  e  mi ha  fatto cantare  questa canzone   : << [..,]  Viva l'Italia\ l'Italia che lavora\ l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora\ l'Italia metà dovere e metà fortuna\ viva l'Italia, l'Italia sulla luna [....] >> ..





    per  chi volesse approfondire  con interviste a gli autori ed altro  vada  su questo sito http://www.ubcfumetti.com/preview/?22651 da cui ho tratto alcune  tavole delle singole storie

    LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

      da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...