15.8.15

Due poeti libertari CANTICO DEI FOLLETTI DI VETROFabrizio De André e l'amico e poeta Riccardo Mannerini

le  recenti vicende  dei morti per  droga  e per  lo sballo  (  senza  droghe  )   mi hanno fatto ricpordare  questo  post  dell'amico  matteo tassinari  

http://alice331.blogspot.it/2015/08/due-poeti-libertari.html
Fabrizio De André e l'amico e poeta Riccardo Mannerini


Tutti      moriremo


soli    e a stento

Era il  1968, un anno come tanti, quando uscì Tutti morimmo a stento mente, un Lp che spinse De André a mettere benzina nelle sue virtù artistiche. In un'intervista, Fabrizio disse a proposito di TUTTI MORIMMO A STENTO: "In effetti, a ripensare le canzoni sono tutte belle. Forse è solo il predicozzo finale, il recitativo, che oggi mi dà fastidio". E' inutile. De André non riusciva a combinare qualcosa di perfetto anche quando lo era.
E' però entusiasta

dell'album invece, il discografico di De André, Antonio Casetta, che probabilmente ebbe l'idea di realizzarne una versione in inglese. Non si sa chi effettuò le traduzioni, ma tant'è. De André "riincise" tutto l'album in inglese (si presume riutilizzando le basi musicali). Il disco però non uscì mai sul mercato, e se ne perse traccia. Un piccolo estratto, circa 30 secondi, venne trasmesso in una trasmissione di Rai2 che parlava di rarità.
Nel settembre del 2007
un collezionista mostrò un album, trovato negli USA, con la copertina completamente diversa da quella italiana a dimostrazione che Casetta era arrivato a produrre almeno un vinile. I titoli delle canzoni erano stati tradotti. Per quanto si può valutare ad un ascolto parziale, l'inglese sfoggiato da De André non è gran ché fluido e la resa è lontana, per esempio, dal saggio di bravura della versione spagnola di Smisurata preghiera. Ma il disco si fa ascoltare e la voce calda di Fabrizio mantiene intatta la sua bellezza.
L'apice amicale
Perché l'avventura americana non sia andata a buon fine, questo ancora oggi non s’è capito bene. Un mistero. Più chiaro, invece, è l'episodio dell'uscita o pubblicazione di "Senza orario senza bandiera" fu un successo straordinario, un successo per tutti, anche per Riccardo Mannerini che poté così vivere il periodo più felice della sua tormentata vita artistica e privata. La celeberrima “Cantico dei drogati”, da considerarsi l’apice del sodalizio amicale e artistico di Frabrizio e Riccardo e che sarebbe stata inserita in Tutti morimmo a stento, concept album registrato nell’agosto del 1968 e pubblicato l’anno successivo. Lp che provocò a De André un risentimento forte e pentimenti per alcune parole che non avrebbe scritto..
Il Frigorista

Mentre faceva il frigorista su una nave da carico, un incidente lo rese praticamente cieco. Ciò nonostante continuò a scrivere poesie, come aveva sempre fatto. Ebbe una moglie, Rita Serrando, che gli restò accanto per tutta la vita e un figlio, Ugo. Morì nella primavera del 1980. Mannerini era anche un grande giocatore di scacchi, e s'iscriveva ai concorsi per parteciparvi, diceva Mannerini: "Gli scacchi sono come le donne, non sai mai che mossa faranno". Fra i due nacque una sincera un'amicizia che durò più di 20 anni, sapendo come sia stato lasciato solo alla fine della sua vita. 
Mannerini e De André erano uniti da profonda amicizia, tanto da condividere un monolocale soppalcato in salita Sant'Agostino dove passare i pomeriggi e le notti dell'angiporto genovese, a fianco di via Prè. Si erano conosciuti in casa di amici comuni e il loro sodalizio portò alla musica capolavori indimenticabili come il Cantico dei drogati, appunto, e Senza orario senza bandiera, primo album dei New Trolls. Fu lui - attivista della Federazione anarchica genovese, come tale noto anche alla polizia ad approfondire in De André il sentimento anarchico. Fu seguito dai Servizi per 20 anni senza tirar fuori nulla. Avranno la soddisfazione di aver visto molti concerti del Faber.
L'osceno gioco
Cantico dei drogati, derivata da versi di Mannerini in virtù di una rivisitazione poetica quale solo il miglior Faber più puro e idealista sapeva produrre. Un autentico capolavoro che dopo oltre quarant'anni conserva ancora intatta tutta la sua valenza, originalità e potenza espressiva. Ecco alcuni passaggi della poesia Eroina dai quali Fabrizio ha chiaramente tratto spunto dalle poesie di Mannerini. "Grazie all'alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima", dice De Andre' e, assieme al suo amico anarchico, poeta, marinaio, viene nelle nostre menti a parlarci dei Folletti di Vetro, di un "Osceno Gioco" e, già, di una madre al quale non si sa come confessare la propria paura.
Riccardo
Mannerini
quante volte devono essersi detti che quest'uomo portava il mio stesso nome. Marinai per destino o per forza. Riccardo che ormai non vedeva più che folletti, dato che la luce nei suoi occhi s'andava spegnendo sempre di più. Gli occhi regalati ai padroni, i suoi occhi per loro. Nessuno glieli ridiede, neanche come i fiori restituiti in novembre. Mannerini, era decisamente una delle figure più importanti e formative, della sua vita. In questo senso si nota la ricerca di una figura paterna a cui era molto, forse troppo, attaccato a suo padre, prima Bindi, poi Brassens, poi ancora Mannerini.
Il "Perfettore"

Si, De André era il “perfettore” ossia colui che rende speciale e magnifica una cosa già bella di sua. Il manifesto pubblicitario del libro di poesie di Riccardo Mannerini pubblicato nel 2009 recitava: "Come potrò dire / a mia madre / che ho paura? ... Ho licenziato / Iddio / e buttato via una donna/ Sono sospeso a un filo / che non esiste / e vivo la mia morte / come un anticipo tremendo. Solo quando / scadrà l'affitto / di questo corpo idiota / avrò un premio. / Sarò citato / di monito a coloro / che credono sia divertente / giocare a palla / col proprio cervello". Mannerini, era uno che ci teneva alle sue idee, e non voleva sporcarle con la realtà,
La droga
di cui vivevano
Riccardo e Fabrizio era l'alcol. Nelle parole di De André: "La mia droga è stata l'alcol, io ero proprio marcio fino al 1985. Bevevo due bottiglie di whisky al giorno, e questo praticamente da quando avevo diciotto anni, da quando ero andato via di casa. Ne sono uscito perché mio padre, con il quale avevo ricostruito un ottimo rapporto, sul letto di morte mi chiamò e mi disse: “Promettimi una cosa e io: Quello che vuoi papà.Smetti di bere. E Faber esplose in un: ma porca di una vacca maiala, ma proprio questo mi devi chiedere?” Io, praticamente, avevo un bicchiere in mano. Ma ho promesso. E ho smesso. 

Scrivere il Cantico dei drogati,
che aveva una tale dipendenza dall'alcol, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non lo spaventava, anzi ne era compiaciuto. E' una reazione frequente, tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. E’ normale fra drogati o alcolizzati compiacersi di bere o eroina. I personaggi della canzone che inizialmente doveva intitolarsi Cantico dei folletti di vetro (il vetro delle bottiglie dei superalcolici), sono i drogati rappresentati dall'interno.

Un viaggio nella
mente di chi ha "il vuoto nell'anima e nel cuore", non riesce che a blaterare suoni incomprensibili e vive in un mondo popolato di fantasmi ("non vedo più che folletti di vetro").
La speranza in un futuro migliore se n'è andata ("chi mi riparlerà di domani luminosi / dove i muti canteranno e taceranno i noiosi"), "i mediocri continueranno ad avere ragione, i semplici staranno zitti". Si recrimina sul mondo (le "grandi pattumiere") e su chi ci ha messo al mondo, un misto di scabrosi esseri, privi di poesia. 

Bollani solo time jazz 2015 15\.8.2015 II

bollani solo time jazz 2015 15\.8.2015 I

13.8.15

Aritzo, la carapigna in versione cubana: nasce il "mojiteddu" . come rieleaborare in chiave moderna le tradizioni


unione sarfa  dc'Ieri alle 12:49 - ultimo aggiornamento alle 14:37

la carapigna in un murale che raffigura scene del passato
La carapigna in un murale che raffigura scene del passato
Da non crederci. Nell'estate a tutto gusto per vacanzieri e isolani cosa vanno a inventare quelli della premiata ditta Carapigna e C.? Niente meno che il mojiteddu, figlio di madre cubana e padre sardo. Fresco, leggermente alcolico (senza esagerare), dissetante, come il cocktail supergettonato a base di rum, lime e menta. Ottimo refrigerante nelle sere di una stagione afosa come da tempo non si vedeva.
Preparazione della carapigna
Preparazione della carapigna
Francesco Floris, erede di una plurisecolare tradizione aritzese, porta il sorbetto nato sul Gennargentu in giro per l'Isola dei turisti. Ci ha provato e riprovato nel suo laboratorio del paese tra i castagni finché il gusto non lo ha soddisfatto. Ricetta? Semplice. Alla tradizionale carapigna (acqua, zucchero e limone) ha aggiunto mentuccia di fiume e filu 'e ferru. Bingo.
Tre euro di dissetante bontà. Nel suo stand in corso Umberto a Olbia (è lì che si trasferisce in estate, con la moglie Giusi Ambrosio, napoletana con nonna di Gadoni, e Mirko Lai) ogni sera c'è la fila. Per il mojiteddu e per la carapigna tradizionale, magari con qualche variante (per esempio, al limone e menta, al limone e liquirizia). “E ora sto provando quella a base di mirto”, dice Floris, noto Chicco.
Il ghiaccio: elemento base della preparazione
Il ghiaccio: elemento base della preparazione
Nei secoli, il sorbetto dei sardi, quello che deliziava i palati dei nobili cagliaritani, non è cambiato. Ecco una piccola guida per chi vuole assaporare questo dessert etnico fino al midollo (il nome è di origine spagnola), antenato dei moderni gelati, nato tra castagni e noccioli nel paese delle rinomate sorgenti: gli aritzesi avevano il monopolio della raccolta della neve, conservata nelle grandi fosse in pietra sulla montagna di Funtana Cugnada, che serviva da refrigerante per confezionare questa bontà per i palati (oggi si usa il ghiaccio ma è l'unica concessione alla modernità: la preparazione è la stessa da secoli).
Un'antica foto: uomini preparano la carapigna
Un'antica foto: uomini preparano la carapigna
Carapigna simbolo dell'estate? Purtroppo non si trova dappertutto, anche perché le aziende che tengono viva la tradizione e che lavorano con continuità solo soltanto due. Ma se vedete uno stand, non lasciatevi scappare il rinfresco della stagione bollente per la modica cifra di un euro e cinquanta.
Chicco Floris e la sua compagnia sono a Olbia per tutta l'estate con qualche variante. Ovviamente a Ferragosto vanno a Aritzo per la Sagra della carapigna (offerta a tutti), poi dal 29 al 31 agosto a Laconi per Sant'Ignazio, da settembre saranno presenti ad Autunno in Barbagia, primo appuntamento a Bitti (dal 4 al 6). Sono loro ad aver salvato la carapigna, che era ormai dimenticata. “Sono diventato carapigneri dopo aver raccolto i segreti del maestro Peppino Mameli”, ricorda Floris, che lo scorso Natale è riuscito a far assaggiare la carapigna (gelata) ai bolzanini: un successo, una sfida, viva l'intraprendenza.
Sa carapigna, il video di Sebastiano Pranteddu
Ma la tradizione aritzese è stata trapiantata anche in Marmilla, a Tuili, grazie alla famiglia Pranteddu. Sebastiano, laureato in chimica, porta il sorbetto in giro per l'Isola, soprattutto al sud. Sta studiando nuovi trattamenti termici per rifornire i ristoranti, ma resta fedele alla ricetta originale. Il nonno Salvatore era carapigneri, aveva acquisito l'arte dal suocero Tziu Tanu, il padre Rinaldo segue il torronificio. “Fino a tre anni fa ben pochi la ricordavano, sono orgoglioso di averla fatta riscoprire anche nel Cagliaritano”, dice Sebastiano.
Appuntamento con il sorbetto a base di acqua, limone e zucchero marca Pranteddu (che ha una storica collaborazione con la famiglia Paba) il 13 agosto a Cagliari per le notti colorate alla Marina, il 14-15-16 agosto al festival Mama Blues nella deliziosa cornice di Nureci, il 23 agosto alla Fiera di Portoscuso, dal 26 al 30 agosto a Stintino, in settembre a Santa Mariacquas (Sardara), a Santa Greca (Decimomannu), a Santa Vida (Serrenti). Poi in tutti i week end di settembre nella splendida Villa Asquer a Tuili serate a base di musica, aperitivi, gastronomia e ovviamente carapigna.
Gli antichi strumenti
Gli antichi strumenti
A quanto pare, il sorbetto dei sardi va a ruba, quando si trova. Dicono gli artigiani che in questo periodo, si va dai mille ai duemila bicchierini al giorno da un capo all'altro dell'Isola. Buona estate con la carapigna. E col figlio sardo-cubano mojiteddu.
Lello Caravano
caravano@unionesarda.it

12.8.15

lo sballo consapevole non esiste ma soprattutto cerchiamo di non giudicare le persone dall'apparenza specie se minorenni come il caso di quella ragazzina di messina


Massimo Diana L’esperto psichiatra e responsabile del Servizio Dipendenze della Asl cagliaritana del Servizio dipendenze , a : “Ma lo sballo consapevole non esiste”
massimo diana
“Dobbiamo evitare le generalizzazioni. Esistono diverse sostanze stupefacenti, ciascuna con i suoi effetti specifici. Gli effetti delle sostanze possono poi essere influenzati dalla dimensione personologica di chi la assume, dalla eventuale predisposizione ai disturbi psichici, dal contesto in cui si assume, da aspetti culturali, dalla frequenza delle assunzioni, dall’associazione con altre sostanze. Ciascuno di noi può esprimere una maggiore o minore vulnerabilità nell’uso di sostanze stupefacenti”.Massimo Diana, psichiatra e responsabile del Servizio Dipendenze della Asl cagliaritana da anni si occupa di droghe e dipendenze varie. Secondo la sua esperienza non esiste una formula unica e universale per combattere gli abusi e i problemi che ne derivano: ogni sostanza fa storia a sé. È però convinto che non esiste un ‘consumo consapevole e responsabile’ come invece sostiene Luca, giovane cagliaritano che ci ha raccontato la sua esperienza con le droghe: “È poco frequente incontrare consumatori moderati di una determinata sostanza d’abuso perché è insito nei meccanismi specifici delle sostanze aumentare la frequenza e/o la quantità di sostanza per un fenomeno che tutte le droghe determinano, quello della tolleranza per cui, per ottenere lo stesso effetto bisogna necessariamente aumentare la quantità di sostanze che si assume. Il fenomeno della tolleranza interessa tutte le sostanze, dall’alcol alla nicotina, dall’eroina alle amfetamine o alla cocaina. Spesso l’uso iniziale di sostanze in età adolescenziale è circoscritto a questo periodo della vita. Chiunque ne faccia un uso protratto nel tempo andrà, prima o poi, incontro a fenomeni d’abuso e proseguendo nel tempo e nell’uso andrà necessariamente incontro a dipendenza fisica e/o psicologica. Non è infrequente nei Ser.D vedere pazienti giungere all’attenzione degli specialisti dopo diversi anni, anche decenni dall’inizio dell’uso di una sostanza proprio perché le sostanze oggi in uso non danno dipendenza fisica come fa l’eroina. Essendo frequente l’uso di più sostanze, insieme o in tempi separati, è molto frequente vedere casi di poliabuso dove a volte viene difficile capire il razionale delle associazioni. Senz’altro certe droghe determinano inizialmente particolari effetti positivi o piacevoli, in particolare le amfetamine e derivati sono capaci di modificare lo stato d’animo di chi le assume rendendolo più disponibile e capace di entrare in sintonia con l’ambiente e/o l’interlocutore. Ricordo che sino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso gli psicoterapeuti americani somministravano stimolanti ai loro clienti in quanto ne miglioravano la capacità introspettiva riducendo nel contempo l’ansia e la paura del giudizio. Però quando una persona assume sostanze stupefacenti non dobbiamo pensare solo agli effetti immediati, spesso ma non sempre piacevoli, ma anche a quello che succede dopo, come cambia per esempio lo stato d’animo di una persona che ha assunto una sostanza dopo qualche ora, dopo qualche giorno e, se c’è un consumo frequente o cronico, come cambia nel tempo, osservando il consumatore in tutte le sue aree: relazionale, lavorativo, psicologico”.
tieni accesi
Diana è responsabile del progetto ‘Tieni accesi i colori della tua vita’ all’interno di un programma di prevenzione pensato dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, commissionato all’assessorato Igiene e Sanità della Regione Sardegna e affidato alla Asl di Cagliari: il progetto, curato da Massimiliano Serra e Marina Velluzzi prevede un numero verde (800557722), un indirizzo email (prevenzionesardegna.it@asl8cagliari.it) gestiti da psichiatri e psicologi e una campagna informativa  tramite tv, materiale cartaceo e social network con l’obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere le persone nel contrasto alle dipendenze da sostanze o comportamentali.

Informazione e prevenzione sono secondo Diana gli strumenti giusti per contrastare gli abusi; a poco servono, invece, i sigilli alle discoteche: “Chiudere una discoteca non risolve il problema delle droghe e dei rischi connessi al loro uso. La chiusura di una discoteca come il Cocoricò, conosciuta in tutto il mondo, soprattutto per l’innovazione continua e per essere un ‘tempio’ della trasgressione, deve servire ad attivare un dibattito tra i diversi possibili interlocutoriperché certi avvenimenti così drammatici non si verifichino più; quando parlo di interlocutori mi riferisco ai sindacati dei gestori delle sale da ballo, ai genitori dei ragazzi, ai ragazzi, agli operatori delle ASL, alle Forze dell’Ordine. Penso che ciascuno debba apportare il suo contributo nel modo giusto e nel posto giusto. Se da un lato oggi sempre più si riconosce l’importanza della prevenzione e della promozione di stili di vita sani, che però vanno proposte nei posti giusti nello stesso tempo non si possono non riconoscere le politiche di diminuzione del danno. Questo è un tema molto delicato, che viene visto come una ‘resa’ ma che in qualche modo va contestualizzato: pertanto la prevenzione e la promozione della salute deve vedere tutti coinvolti (scuola, famiglia, ecc.), ma non dobbiamo escludere altre forme di intervento, per esempio sui gestori e sugli operatori delle sale da ballo, sui frequentatori delle discoteche, spiegando ai ragazzi anche il modo per ‘farsi meno male’.
Francesca Mulas

  da   http://palermo.repubblica.it/cronaca  12 agosto 2015


La nostra piccola dolce e ribelle", l'altra faccia di Ilaria

Parla la famiglia della ragazza trovata morta sulla spiaggia: "L'adolescenza è per tutti un'età difficile, non giudicate" Il fratello: "Quei due amici l'hanno abbandonata sul lungomare, ora ci devono una spiegazione"

di MANUELA MODICA






                   Ilaria Boemi (fotogramma) Ritratto di Ilaria "dolce e ribelle"


"Io e mia sorella non abbiamo paura", Lillo Boemi parla di Ilaria al presente. Per l'imperfetto è troppo presto, almeno per lui, fratello maggiore di tanto, 40 anni circa. Ma è tempo di rabbia per la famiglia tutta, che piange la morte della ragazza sulla spiaggia di Messina. "È stata trattata come una delinquente: a noi oggi manca una sedicenne in casa e non c'è stato rispetto per nessuno di noi, lo so io cosa sta passando oggi mio padre che per Ilaria avrebbe dato tutto, anzi ha dato tutto quello che poteva". Lillo Boemi è appena tornato dall'obitorio
nella casa di Catarratti, uno dei tanti villaggi di Messina. Un quartiere centrale, poco distante dall'autostrada che sembra un piccolo paese: un torrente, una piccola strada in salita, poi la piazza piccola con la chiesa e le palazzine grigie di fronte. Lì è cresciuta Ilaria, quel poco che ha potuto. Lì tornano i parenti dopo la veglia.
I genitori non vogliono parlare, tirano dritto verso il portone. Lillo Boemi si ferma con le zie, invece, perché vuole "difendere" la sorella: "Ilaria è una ribelle come me. La stampa ha preso le immagini peggiori". Si ferma, chiede a qualcuno di andare subito dentro per prendere i giornali e mostrare quali foto sono state pubblicate: "Guardi qui, sempre in posa mentre fuma: cosa vuol dire che era drogata? Una sballata?". E anche la zia Sabrina: "Mia nipote era l'esatto contrario di come è stata descritta, era una ragazza molto affettuosa e molto sensibile ". Il fratello torna a incalzare: "Ma anche se fosse stata la peggiore fra gli esseri umani, una sedicenne non può essere trattata così". Si commuove: "Ilaria è stata abbandonata su una spiaggia da due amici". E ci tiene a ripeterlo: "Sì, abbandonata. Questi due ragazzi mi devono una spiegazione, la devono a tutti noi".
Ma sono le foto pubblicate dalla stampa locale e nazionale a ferire adesso chi amava e ama ancora Ilaria Boemi. "Il lobo dell'orecchio non lo aveva più con quell'anello", ci tiene a dire un'amica di famiglia indicando una delle foto pubblicate. Interviene pronta anche la zia Angela: "Ma che importa? Era una fase della sua vita, era uno stile. A quell'età ancora è tutto confuso, come si può giudicare da un piercieng?". E ancora la zia Sabrina: "Non si possono giudicare le persone dall'apparenza, specie mia nipote: Ilaria era una ragazza molto sveglia e molto dolce". Ma per il fratello Lillo "Ilaria era soprattutto una bambina". "Bisogna avere rispetto per il nostro dolore - dice - abbiamo in casa il corpo di una sedicenne. E non era una drogata. Le è stato fatale qualcosa, forse un cocktail di sostanze nocive. È stata la bravata di una sera, non so neanche quanto fosse consapevole di quel che ha preso, so solo che non era una drogata".
Rabbia ma anche garbo nel voler ripristinare un'immagine di Ilaria più "corrispondente a quel che abbiamo vissuto in questi pochi sedici anni", come dice la zia Sabrina. Una rabbia che si scioglie presto in lacrime man mano che arrivano altri parenti e vicini. Gli amici si incontrano sulle scale di piazza Municipio, dove spesso trascorrono il tempo. Sono pacati, come riuniti in una veglia. Ma alle domande rispondono ancora più adirati della famiglia: "Se dovessimo parlare di lei, non basterebbe una giornata per sconfessare le fesserie che sono state dette finora". Questo è tutto quello che vogliono dire. E se qualcun è tentato di parlare ma viene subito fermato: "Chiedere di lei oggi è inopportuno, dovete andare via e basta".
La città appare sconvolta dalla tragica fine di una ragazza innocente. La sua scuola, lo Jaci, organizza una veglia in una delle chiese centrali, Santa Caterina, alle otto di sera. Stamattina, invece i funerali. Per l'addio.


concludo  riportando perchè  do ragione  e la considero  come l'amico


Giorgio Pintus 

Educatori della buonora e moralizzatori da strapazzo dovrebbero conservare i loro commenti per rileggerli tra venti anni. Proveranno intima vergogna per le parole di disprezzo scritte in questi giorni nei confronti di questa sfortunata ragazza. Nessuno si deve arrogare il diritto di stabilire se la morte è il prezzo da pagare quale naturale conseguenza della colpa commessa. E' morta, non ha ammazzato. Ricordatevelo.

11.8.15

Trova lavoro dopo la maturità rinuncia a partecipare a Miss Italia




Federica Boscolo Bisto, nata a Rosolina e residente a Sant'Anna
di Chioggia non proseguirà nel concorso dopo aver vinto Miss Rocchetta
Federica con la famiglia

di Marco Scarazzatti
ROSOLINA - Dalla possibilità di accedere alla finale di Miss Italia a quella di un posto di lavoro. La storia di Federica Boscolo Bisto, originaria di Rosolina ma residente da qualche tempo con la famiglia in quel di Sant'Anna di Chioggia, ha dell'incredibile.
La bellezza polesana, che compirà 19 anni venerdì, era balzata agli onori della cronaca per avere vinto, lo scorso 1 giugno, la fascia di Miss Rocchetta Bellezza, giungendo seconda nella selezione provinciale organizzata da Miss Italia al villaggio turistico Rosapineta. Era la prima volta che Federica partecipava ad uno dei concorsi di bellezza più rinomati a livello europeo.

10.8.15

Cocorico : bisbigli e sussurri i le coccopinion's \ la mattanza delle opinioni ancora polemiche sui fatti delle morti per droghe di questi giorni

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sul blog http://wwwhete.blogspot.it/2015/08/les-cocopinions.html  dell'amico   Matteo tassinari   trovo questo  articolo  interessante  di    Leonardo Montecchi
Psichiatra, psicoterapeuta, nato a Novafeltria nel 1952 lavora nel campo delle dipendenze patologiche 
dal 1978. Ha contribuito a fondare la cooperativa CentoFiori che a Rimini gestisce la comunità terapeutica di Vallecchio, il centro diurno di via Portogallo 10 e l'appartamento di reinserimento. Ha fondato e dirige la scuola di prevenzione, psicanalisi operativa e concezione operativa di gruppo J.Bleger. www.bleger.org è editor della rivista www.pol-it per la parte dipendenze. E' socio della associazione internazionale di psicoterapia di gruppo. Dirige la collana i sintomi della salute per Pitagora di Bologna



Esso riguarda le ultime   morti per  droga  avvenute in questi giorni   

Come sa chiunque si sia occupato da un punto di vista antropologico o sociologico delle feste da ballo sia all’aperto che al chiuso queste due posizioni si ritrovano sempre.
Sono convinto che la repressione dell’aspetto dionisiaco della vita, per dirla alla Nietzsche, sia un grave errore. Penso che il muro di Berlino sia caduto più per The Wall dei Pink Floid che per le politiche di Reagan, e mi è sempre più chiaro che è difficilissimo irregimentate chi sperimenta la libertà, sia pure la libertà di un corpo che danza senza schemi precostituiti e senza regole.











L’aspetto dionisiaco si accompagna sempre con la musica ed anche con sostanze che favoriscono la dissociazione. A cominciare dal vino che si è sempre servito nei locali da ballo e nelle feste private. Negli anni 60 nel nord europa e negli USA si assumeva amfetamina, Jack Kerouac in on de road ci descrive concerti di Jazz con assolo di sax alla Charlie Parker con gente fatta di metedrina. Chi ascoltava la musica beat o anche faceva parte di quella sottocultura è facile che usasse pasticche come il Pronox o il Roipnol, barbiturici. Con la musica psichedelica arrivò l’hascisc e la marijuana. Il sergente Pepper diffuse LSD senza il quale è impensabile la musica dei Pink Floyd.
L’eroina stava lì come un cinese ad aspettare i cadaveri e se si sente Lou Reed o anche Sister Morphine dei Rolling Stones ma meglio ancora il punk demenziale degli Skinantos: "sono andato alla stazione ho comprato il metadone…". Si capisce quali droghe e musica sono adatte per il movimento che proclamava con i Sex Pistol No future


E’ con l’hip hop, passando per il reggae e il raggamuffin che ritorna la marijuana, invece con la nascita della techno cambia il panorama musicale. Niente più rock star con cui identificarsi la musica da sfondo diventa figura, come dice Phipip Tagg,lo spazio viene delimitato dagli impianti e le vibrazioni sonore si sentono in tutto il corpo e non solo con le orecchie. Questa musica genera i rave party che si diffondono dalla fine degli anni ’80 e producono, nella migliore delle ipotesi quelle zone temporaneamente autonome o TAZ che ha teorizzato Hakim Bey. Il Cocorico è diventato un tempio di questa musica nomade. Non è facile diventare un tempio di un movimento internazionale, non è l’unico tempio, ma non ce ne sono molti altri. La chiusura, contrariamente alla volontà proibizionista e perbenista, lo trasformerà ancora di più in un mito.

Spirito Apollineo, Spirito Dionisiaco.
Il Caos e la Legge Henri Matisse, La dance (1909)
Lo scopo della tecno, come di qualsiasi altra musica dionisiaca è accedere ad uno stato modificato di coscienza,questo sarebbe lo sballo. Perché c’è questo desiderio di “sballo”? Forse perché lo stato di coscienza ordinario è diventato insopportabile, la multidimensionalità dell’essere umano è precipitata in una unica dimensione,come aveva visto Marcuse, la dimensione lavorativa.
Futuri collassati Di più, nella nostra contemporaneità, chi non ha un lavoro, e sono tanti, non ha coscienza, ed è privo di quella che chiamo identità analogica cioè una dimensione storica di se stesso. Il futuro per lui e’ già collassato ma scompare anche il passato ed emerge una identità digitale puntiforme che si costruisce nel momento che si sta vivendo. Tutto il movimento techno e’ un movimento di dissociazione collettiva dallo stato di coscienza ordinario. Non è certamente psicopatologia.


La stanza di un Hikikomori


anche questo movimento,che dura da più di venti anni e’ in fase discendente, la tendenza emergente e’ un altra molto più inquietante. Si tratta di un isolamento in casa, una chiusura al mondo e a qualsiasi socialità che non sia una connessione internet. In Giappone ci sono già più di un milione di Hikikomori che si separano dalla società.

Aumentano i suicidi è un dato emergente giovanile e si diffonde sempre di più quella che Soren Kierkegaard chiamava la malattia mortale, cioè la disperazione. In questo panorama desolante che ci siano moltitudini che ballano e cercano di modificare il loro stato di coscienza è un sintomo di salute non certo una psicopatologia. Non mi pare che i fondamentalisti di qualsiasi tipo amino la musica ed il ballo.Quelli si fanno esplodere
per un paradiso futuro
Il ballo è, come mostrava il Living Theatre, Paradise now. Bisogna però capire che per produrre uno stato di dissociazione nella era della globalizzazione sono necessari degli induttori, gli induttori non necessariamente 
Soren Kierkegaard 

sono delle sostanze, possono essere la moltitudine delle persone, le luci stroboscopiche, la massa, gli odori, i profumi, ma soprattutto la musica che arriva dritta alla testa e al cuore. La frequenza dei BPM il volume dei bassi, la sapienza dei DJ nella manipolazione e mescolamento delle piste sonore in relazione alla moltitudine danzante. E poi, appunto, il ballo per tante ore. Tempo che si vuole vivere ma è come essere assenti e il cuore a quel punto potrebbe complicare di non poco la situazione. Passare la notte ballando in uno spazio del genere produce uno stato dissociato che genera fenomeni specifici come una forma di comunicazione non verbale molto intensa.Diffusione dei culti greci Nel 186 avanti Cristo il senato romano proibì la celebrazione dei baccanali. I baccanali erano feste in onore di Bacco, che in Grecia è conosciuto come Dioniso in cui si beveva vino si ballava in un clima orgiastico per raggiungere uno stato modificato di coscienza in cui poteva avvenire la possessione rituale da parte delle divinità. Le feste erano caratterizzate da musica che veniva ballata da maschi e femmine











. Nel senato romano prevalse la tendenza di Catone e della oligarchia senatoria che vedeva in queste feste un pericolo perché gli uomini ballando si effeminavano e le donne che partecipavano si trasformavano in prostitute non adatte ad essere madri di famiglia romana. Qualcuno ha visto nella repressione di questi culti un attacco politico al circolo degli Scipioni che favoriva una diffusione dei culti greci e una promozione delle classi più basse in una ottica di allargamento della cittadinanza romana.







  concludo con questa  frase    presa  da


8.8.15

il mio pensiero razzista del giorno


N.b 
 ovviamente     chiedo   a tutti\e  i miei  15  lettori fissi  e  non solo   di leggere  l'articolo  e  non basarsi  solo  sul titolo  e  dirmi  : <<  ma  come  non eri anti razzista  ?  ,  anche   tu sei passato  con i Salvinisti e company  ?   ,   stai diventando  anche tu   come non sono razzista  ma  ..... , ecc .  >> 

infatti  rimetto   questo post   fra  ti potrebbe interessare  \  per  approfondire
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2015/07/io-italiana-povera-non-penso-che-i.html




il mio pensiero razzista del giorno

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il mio pensiero razzista del giorno
Ad avermi buttato in mezzo a una strada, a 50 anni, non è stato uno zingaro e nemmeno un africano. E' stato De Benedetti.
A far di me un peso morto è stata la Fornero.
A fingere di proteggermi intanto che si facevano i cazzi loro, non sono stati gli extracomunitari, ma i sindacati.
A prendermi per il culo dicendo una cosa e facendo l'opposto, è Renzi, non i rumeni.
A stravolgere la nostra Costituzione anzichè imporne il rispetto, è il parlamento italiano, non quello tunisino.
A distruggere sanità e istruzione, sono stati i governi italiani eletti da italiani, non i rom.
A vessare con metodi medioevali chiunque provi a campare con il poco che racimola, sono funzionari italiani, non libici.
A vendere o spostare verso altre nazioni tutte le principali aziende italiane, non sono stati i marocchini, ma Marchionne, Tronchetti Provera e quelli come loro.
A spingere al suicidio qualche centinaio di poveri cristi, sono stati i governanti italiani, non i profughi.
A sfruttare ogni disgrazia per guadagnarci milionate e distribuendo briciole, sono le grandi cooperative italiane, non quelle serbe.
Quando mi avanzerà abbastanza odio per persone provenienti da altre parti del mondo, forse sposterò il tiro. Per ora mi accontento di riversarlo interamente ai personaggi di cui sopra, miei connazionali e, piuttosto che altri, preferirei fossero loro a trovarsi finalmente nella condizione di dover salire su dei barconi per scappare. .....Scappare da qui...

a  questo aggiungo   che  io  almeno per ora    non  scappo  perchè  
ma  prima o poi   se il declino italiano  continua  cosi   faro come   farina  del  film  meditteraneo di Salvatores premiato   agli Academy Awards nel 1992 come miglior film straniero, si conclude la cosiddetta "trilogia della fuga"[, composta da Marrakech Express del 1989 e da Turné del1990, ovvero il trittico di film diretti da Salvatores dedicati alla poetica della fuga verso una nuova forma di interiorità, di individualità, di impegno non condizionato da fattori ideologici, da miti collettivi, da figure guida carismatiche ma corruttibili.Il film è accompagnato dalla citazione di una frase di Henri Laborit («In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare») e si chiude con una didascalia significativa ed emblematica: «Dedicato a tutti quelli che stanno scappando».Mediterraneo è un film generazionale[ovvero un'opera che identifica, esprime e incarna la riflessione storica di una determinata generazione. La generazione alla quale il regista appartiene e alla quale si rivolge è quella che agli inizi degli anni novanta si ritrova orfana di un impegno politico «in bilico tra una utopia che sfuma e un realismo che incombe»[

fuggire o non fuggire

LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...