26.4.20

Una pandemia non è guerra impariamo ad usare le parole esse sono importanti

Le  parole    sono importanti . Quindi basta   con  con certe  espressioni  (  che purtroppo quando entrano nel linguaggio  comune   si  è  costretti  ad usare per  non suscitare  perplessità     e far  capire  alla  gente     , sopratutto  quella  abituata ad  accontentarsi  ed  a capire  se quello  espressione   è giusta  o  sbagliata  ma  soprattutto perche  : << una parola  non imparata oggi   è un calcio in culo domani  >>  come   si diceva  un tempo  )   assurde  e  fuorvianti    come dimostra  questa   risposta    della rubrica settimanale   di Galimberti   sotto  citata presa   da D di repubblica di sabato  25\4\2020


 Ora  Galimberti ha  ragione   . L'espressione usata    è   da terrorismo mediatico  . Infatti come  fa    notare   Annamaria Testa, esperta di comunicazione   nel suo  bellissimo articolo  per  il settimanale  l'internazionale : <<  Specie in tempi difficili, dovremmo sforzarci di usare parole esatte e di chiamare le cose con il loro nome.
Le parole che scegliamo per nominare e descrivere i fenomeni possono aiutarci a capirli meglio. E quindi a governarli meglio. Quando però scegliamo parole imprecise o distorte, la comprensione rischia di essere fuorviata. E sono fuorviati i sentimenti, le decisioni e le azioni che ne conseguono.

Tra l’altro: sulla scelta delle parole che servono per descrivere le cose si gioca anche buona parte della propaganda politica contemporanea.[....continua  qui ] . 
I media e a seguire tutti noi consciamente ed inconsciamente sembrano aver sposato il linguaggio della politica, ma siamo ancora in tempo per prendere le distanze dalla metafora della guerra per descrivere la pandemia che stiamo vivendo e ci sono diversi lettori attenti che ce lo chiedono. A usare termini militari contro il coronavirus sono stati innanzitutto i leader politici, da Xi JinPing a Donald Trump, d’altra parte si sa che sulla scelta delle parole si gioca la propaganda politica. E i fautori dell'odio trovano in questa narrazione del virus l’ennesima occasione. Ma un conto è impiegare l'esercito per i soccorsi, un altro essere guerrafondai.   << In guerra l'ordine democratico viene temporaneamente sospeso, si passano misure che estendono i poteri dello Stato e limitano i diritti dei cittadini. >>Infatti Anna  Masera    sempre  su la   stampa    del  31\3\2020  <<  (...)    I lettori de La Stampa che hanno vissuto i tempi della guerra se lo ricordano bene e ci chiedono di soppesare le parole per evitare di contribuire alla diffusione del panico. "La pandemia non è una guerra" ci redarguisce una lettrice di 93 anni che la guerra se la ricorda. 
Già ci aveva messo in guardia l’autrice americana Susan Sontag nei suoi libri Malattia come metafora (Einaudi, 1979) e quasi dieci anni dopo L'Aids e le sue metafore (1988): applicare la metafora della guerra e della sconfitta a una malattia significa caricare il malato di sensi di colpa, ostacolando il percorso di guarigione. Per il coronavirus è una metafora sbagliata perché non c’è un fronte e un nemico nel senso di uno straniero “altro” da noi da non far passare. Il nemico è comune a tutti e gli altri sono nostri alleati perché solo condividendo gli sforzi, solo con la solidarietà e con comportamenti che ispirano una fiducia reciproca si vince il virus. Tutti insieme.
Certo, come avverte l’esperta di comunicazione Annamaria Testa, la metafora della guerra può essere una cornice folgorante. Ma parlare di invasione e di trincee, di untori e di eroi non aiuta a ragionare in termini di inclusione, di condivisione, di cura. Un conto è lo stato di guerra di una nazione, un altro lo stato di emergenza, per il quale sono necessarie misure sanitarie ed economiche proporzionate. 
Le parole sono importanti, Marco Balzano. Giulio Einaudi Editore ...Sull’etica della comunicazione del coronavirus stanno riflettendo studiosi di tutto il mondo: proprio ieri si sono riuniti per discuterne in un incontro online organizzato dal Poynter Institute per il giornalismo con sede a St. Petersburg, Florida. Senza cercare così lontano già Massimo Vedovelli, fondatore dell'Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e lingue immigrate in Italia, Centro di Eccellenza della Ricerca istituito presso l'Università per Stranieri di Siena di cui è stato Rettore, lo ha spiegato: quello che stiamo vivendo con il coronavirus è un pericolo globale, una tragedia collettiva, “un’emergenza difficile” (per dirla con il presidente Sergio Mattarella), “una tempesta” (per dirla con Papa Francesco). Non evochiamo la guerra. >>  Quindi  concludendo  è vero servono nuove  parole in ambito  politico  \  culturale   ed  il linguaggio non è mai statico   è  ed  sarà sempre  in movimento   evoluzione  ma   bisogna evitare  manomissioni \  uso improprio delle  parole    vista  la rapidità  con cui   diventano  d'uso comune . Insomma fare  attenzione  a come   si maneggiano ed  creano  perché  come  le  parole  sono importanti  e  raccontano     come dice  sia il libro   citato  nell'immagine a  sinistra    sia  questa  famosa  scena   filmica  di qualche  tempo   fa   ( mi scuso per  la  ripetizione    ma  certe   espressioni  anche   se  le  uso perchè costretto    sono un obbrobrio  ) 


 con questo      è  tutto   .   per chi volesse  approfondire  l'argomento trovate , come di consueto , dei link   compresi  i due   articoli    citati  






https://www.iltascabile.com/scienze/pandemia-guerra/
https://www.vita.it/it/article/2020/03/26/la-viralita-del-linguaggio-bellico/154699/
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/03/30/metafora-guerra-coronaviru
htps://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2020/03/22/coronavirus-metafore-guerra
https://www.valigiablu.it/coronavirus-solidarieta/
https://www.voanews.com/science-health/coronavirus-outbreak/
https://time.com/5806657/donald-trump-coronavirus-war-china/
https://www.eurasiareview.com/21032020-winning-the-war-on-coronavirus-oped/
https://www.eventbrite.com/
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/03/30/metafora-guerra-coronavirus
https://www.lastampa.it/rubriche/public-editor/2020/03/31/news/la-pandemia-non-e-una-guerra-1.38659497

Le partigiane hanno dovuto ribellarsi due volte: sia al fascismo, sia al patriarcato. Ma il loro ruolo è stato fondamentale per la Resistenza italiana.

  canzone  suggerita
  le  donne   di cielo 
https://www.ildeposito.org/canti/donne-di-cielo


Con n questo post   sotto   riportati  concludo  la  triologia dedicata  alla giornata  del  25  aprile   che  ha  avuto origine  da  quest'altro    post incui approfondivo  la questione  della Brigata  Ebraica  e  il  25  aprile 


Puntate precedenti
  1. https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2020/04/perche-e-sempre-25-aprile-ovvero-sempre.html
  2. https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2020/04/storia-di-resistenza-ieri-ed-oggi.html


Quando si pensa ai partigiani, vengono subito in mente i racconti di clandestinità eda  volte  d' eroismo che  hanno caratterizzato la narrazione letteraria italiana. Si fanno le somme dei morti e dei superstiti e si annoverano i tanti nomi delle brigate sorte spontaneamente in tutta Italia per desiderio di libertà. Brigate di uomini, eroi determinati, più spesso improvvisati. 
Per decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario, che scontava "di fatto" una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva "declinata" al «maschile». I dati ufficiali della partecipazione femminile alla Resistenza hanno scontato inoltre criteri di riconoscimento e di premiazioni puramente militari, non prendendo in considerazione i "modi diversi", ma non per questo meno importanti, con cui le donne parteciparono ad essa. Per questi motivi si parla di Resistenza taciuta. 




Quello che viene quasi sempre ignorato o sminuito   è che non ci sarebbe potuta essere una Resistenza se non ci fossero state le donne.
Infatti  I compiti ricoperti dalle donne nella Resistenza furono molteplici: fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e gli ammalati, contribuirono nella raccolta di indumenti, cibo e medicinali, si occuparono dell'identificazione dei cadaveri e dell'assistenza ai familiari dei caduti.
Si sono inoltre rese indispensabili alla collettività partigiana: oltre che cucinare, lavare, cucire e assistere i feriti, partecipavano alle riunioni portando il loro contributo politico ed organizzativo e all'occasione sapevano anche cimentarsi con le armi. Particolarmente prezioso era il loro compito di comunicazione: con astuzia riuscivano sovente a passare dai posti di blocco nemici raggiungendo la meta prefissata: prendevano contatto con i militari e li informavano dei nuovi movimenti.
Le loro azioni erano soggette a rischio quanto quelle degli uomini e quando cadevano in mano nemica subivano le più atroci torture. Erano brave nel camuffare armi e munizioni: quando venivano fermate dai tedeschi con addosso qualcosa di compromettente, riuscivano spesso ad evitare la perquisizione, dichiarando compiti importanti da svolgere, familiari ammalati, bambini affamati da accudire. Parlando della sfera familiare, le donne parlavano infatti una lingua universale capace di suscitare sentimenti e sensibilità nascoste.
Nell'epoca del secondo conflitto mondiale le donne acquisirono un ruolo importante anche a livello economico-produttivo. Mentre gli uomini venivano richiamati alle armi, esse dovettero sostituirli nell'industria e nell'agricoltura. Le donne lavoravano soprattutto nel settore tessile, alimentare e industriale, ma erano presenti anche in larga misura nella catena di montaggio, nei pubblici impieghi e nei campi, dove affrontavano le attività più faticose, tradizionalmente riservate agli uomini.
In questi settori spesso, organizzavano manifestazioni, al grido di slogan come "Vogliamo vivere in pace" oppure "Vogliamo pane, basta con gli speculatori". Soprattutto nelle campagne, mettevano a disposizione le loro case, rischiando anche la vita, per aiutare i feriti, i convalescenti e dare rifugio alle persone in fuga. Molto importante era anche l'attività che le donne svolgevano nella raccolta di fondi, finalizzata a dare aiuto ai parenti degli arrestati, delle vittime dei nazifascisti e anche alle famiglie dei partigiani particolarmente bisognosi. Intensa fu anche la loro attività di propaganda politica, nonché gli atti di sabotaggio e di occupazione dei depositi alimentari tedeschi.
 Le staffette che operavano come messaggere e intermediarie, rendendo possibili le comunicazioni, il trasporto delle armi e lo spostamento dei compagni; le civili che, ben prima del biennio 43-45, stampavano e diffondevano volantini di propaganda antifascista; quelle che portavano abiti e viveri ai partigiani, facevano scuola   \  formazione   politico -culturale  ai  giovani   che  avevano   come  istruzione  e cultura  solo  quella inculcata loro  dalla dittatura  fascista    e che   fecero  la scelta  di ribellarsi   per   :  non andare in Germania  o arruolarsi nella Rsi  , finire fucilati  cc. di andare  in montagna   o di combattere  nelle città  i  Gap  . Inoltre  Secondo alcuni storici   s'infiltravano   fra i militi  della  Rsi ed  i nazisti  ,  ricorrendo  ala seduzione  o  alla prostituzione per  ottenere  informazioni  da passare  alla resistenza ed  ai partigiani .E infine, sebbene in numero inferiore secondo  alcuni , quelle che, come gli uomini, imbracciavano le armi. 

Ulteriori  approfondimenti oltre   l'articolo   di 
https://thesubmarine.it riportato   sotto    con i  suoi  collegamenti  ipertestuali  le  trovate   qui  










Si stima che furono circa 70.000 le donne iscritte ai GDD, i Gruppi di difesa della donna, la prima organizzazione unitaria della partecipazione femminile alla Resistenza, e furono oltre 55.000 le donne impiegate come combattenti o con funzioni di supporto — ma il dato è probabilmente in difetto. In 19 sono state decorate con la Medaglia d’oro al valore militare, e il teatro di guerra che le ha viste protagoniste è stato l’Italia centro settentrionale


25.4.20

storia di resistenza ieri ed oggi

iniziamo  da  questi  4  giocatori   della nazionale  italiana   oro  olimpico  del 1936 che  rifiutarono  , gesto  rivoluzionario e  da isolamento  sociale    sotto il fascismo e poi passarono alla resistenza  storia presa  da il venerdi  di repubblica  e    riportata  dal libro 

CUORI PARTIGIANI – Edoardo Molinelli

La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana

Cosa hanno in comune Giacomino Losi da Soncino, detto “core de Roma”, secondo solo a Totti e a De Rossi per presenze con la maglia giallorossa, e Raf Vallone, definito “l’unico volto marxista del cinema italiano” per la sua carriera cinematografica eppure anche capace, da calciatore, di alzare la Coppa Italia vinta dal Torino nel 1936?
Cosa rende simili l’attaccante Carlo Castellani, bandiera dell’Empoli, e il mediano Bruno Neri di Faenza, nel giro della nazionale dopo aver militato nella Fiorentina e nel Torino?
Tutti questi atleti, non c’è dubbio, presero a calci un pallone nemmeno lontanamente paragonabile alla sfera non più di cuoio con cui al giorno d’oggi si gioca negli stadi di tutto il mondo. Ma oltre a questo, tutti loro, mentre sull’Italia fischiava il vento e infuriava la bufera dell’occupazione nazifascista, compirono la stessa scelta fatta allora da migliaia di ragazzi nel paese: lasciarsi tutto alle spalle per imbracciare il fucile e combattere contro tedeschi e fascisti. Inizia in questo modo la storia mai raccontata dei Campioni della Resistenza: calciatori-partigiani come Armando Frigo, capace di segnare una doppietta con un braccio mezzo ingessato in un memorabile Vicenza-Verona 2 a 0 e poi fucilato dai tedeschi dopo aver eroicamente difeso il passaggio montano di Crkvice, in Jugoslavia; o come la bandiera lariana Michele Moretti, comunista e membro del gruppo partigiano che il 28 aprile del 1945 giustiziò Benito Mussolini in nome del popolo italiano.
Le gesta dei calciatori partigiani, raccontate con sapiente partecipazione da Edoardo Molinelli, attingendo al cuore del più popolare tra gli sport, danno un contributo speciale alla stessa comprensione della Resistenza come fenomeno di massa. E, finalmente, iscrivono la vita vera dei grandissimi ma spesso misconosciuti protagonisti di questo libro a una sola, grandissima squadra: quella che si riconosce nei colori della giustizia sociale e della libertà.
EDOARDO MOLINELLI - Pratese, classe 1981, scrive di calcio e politica su Minuto78. Fondatore e curatore del primo blog italiano dedicato all’Athletic Club di Bilbao, ha pubblicato per Hellnation Libri – Red Star Press il volume Euzkadi. La nazionale della libertà (2016).
Hellnation Libri
Pagine: 246
Formato: 13x20 brossurato con bandelle
Isbn: 9788867182206







la seconda è questa raccontata anche in una canzone scritta da Ligabue per i Modena City Ramblers  che  per  una   strana    coincidenza   sta passando  ora  fra le  canzoni  di youtube  che  sta ascoltando  e di cui  riporto  insieme  all'articolo il  video

Resistenza e memoria. Germano Nicolini, il Diavolo dal cuore buono

Centenario, è il partigiano di Correggio cantato da Ligabue: lo chiamarono così quando lo videro seminare i tedeschi che lo inseguivano. Divenne il suo nome di battaglia. L’intervista di Gad Lerner oggi nello speciale 25 Aprile sul sito di Repubblica




Lo chiamano "dièvel", diavolo, non per mirabolanti strategie militari o per l'astuzia nascosta nella coda del demonio, ma perché la mattina del 31 dicembre del 1944 lo videro fuggire tra i boschi di Correggio con la rapidità d'un furetto. Dietro la sua bicicletta che volava a zig zag, i soldati tedeschi lanciati all'inseguimento. "Ma l'è prôpi un dièvel!", è proprio un diavolo, dissero due contadine nascoste in cascina. E da allora Germano Nicolini è rimasto il "Comandante Diavolo", a dispetto della fibra morale e del suo destino di eroe buono.
Non perse il leggendario epiteto neppure quando fu sbattuto in galera nel 1947 con l'accusa platealmente infondata di aver assassinato il parroco della sua città, proprio lui che conosceva il significato profondo dell'esser partigiani, portare la vita non la morte, la solidarietà non la prevaricazione. E ora centenario, la passione ancora integra e il gesto irrequieto non addomesticato dal tempo, continua a testimoniare la sua incredibile vicenda, già celebrata da una canzone scritta da Ligabue per i Modena City Ramblers.



"Mi considerano un pezzo della storia italiana. Può darsi. Quel che è sicuro che ho passato dieci anni in galera da innocente. Ma non ho smesso per un secondo di essere l'unica cosa che sono: un antifascista, un democratico, un partigiano resistente che doveva resistere".
Quella di Germano Nicolini è una delle quattrocento testimonianze raccolte da Laura Gnocchi e Gad Lerner nel meritorio lavoro dedicato ai ragazzi che nel 1943 furono chiamati a una scelta estrema (Noi partigiani. Memoriale della Resistenza italiana, prefazione di Carla Nespolo, Feltrinelli; la clip dedicata al comandante Diavolo sarà trasmessa oggi pomeriggio su Repubblica Tv).
Una memoria che nella sua eccezionalità racconta molto di noi, di un'Italia che fin dal dopoguerra ebbe un rapporto inquieto con i resistenti: talvolta incompresi, tenuti ai margini o, come in questo caso, perseguitati da una giustizia ingiusta. E colpisce il filo esistenziale che tesse il racconto di Nicolini, la scelta del partigianato nata dalla vicinanza con gli ultimi, e rinnovata nel tempo dal patto morale stretto allora con i suoi compagni. È grazie a loro se ha resistito a testa alta "quando si è cercato di infangare una pagina luminosa della nostra storia". Ed è sempre grazie a loro che non si stanca di raccontare, "soprattutto oggi che si riaffaccia il cupo richiamo dell'autoritarismo".
Come il nome, anche la sua storia è carica di rovesciamenti romanzeschi, perché tutto ci si può aspettare ma non che il Comandante Diavolo, capo del terzo battaglione della 77esima Brigata Sap "Fratelli Manfredi", abbia subìto per quasi cinquant'anni lo stigma dell'assassino. Perché Germano era uno che detestava la violenza, "e se in molti credono che la Resistenza sia stata un fatto solo militare sbagliano, perché noi abbiamo preso le armi per difendere la popolazione". Credeva nelle leggi, Germano, "quelle del diritto e della sacralità della vita". E quando a guerra finita cominciò a respirare una brutta aria nelle sue zone, in Emilia, in quello che si sarebbe chiamato "il triangolo della morte", si adoperò per contenere in alcuni dei suoi compagni le tentazioni di giustizia sommaria. "Se si comincia a dire "ci facciamo giustizia da noi", la violenza prende il posto dell'ingiustizia. E la democrazia è più importante della rappresaglia".
Subito dopo la Liberazione fu nominato dagli americani reggente di Correggio. E fu in quei giorni che riuscì a compiere un piccolo miracolo, mai più ripetuto nel lunghissimo dopoguerra: una "mensa del reduce e del partigiano" dove potevano mangiare tutti allo stesso tavolo, resistenti ed ex fascisti repubblichini, a condizione che questi non avessero mai sparato o commesso reati.
Riuscì ad allestirla in poco tempo, facendosi dare i soldi dalle famiglie benestanti che avevano finanziato l'esercito di Mussolini. Cominciò così "il pranzo della conciliazione", che non era parificazione o confusione o smarrimento del senso storico, ma un modo per dimostrare "che era possibile non comportarsi come loro, spargendo odio e terrore". Sempre negli stessi giorni, durante un'ispezione nel carcere di Correggio, riuscì a sventare un assalto partigiano, salvando la vita a sei detenuti ex repubblichini. Alcuni di loro avrebbero testimoniato a suo favore nel processo per il delitto di don Pessina. Ed eccoci al fattaccio, che è storia conosciuta. Con la colpevole complicità della chiesa cattolica e del Pci, nel 1947 Germano Nicolini, ormai divenuto sindaco comunista di Correggio, viene processato e condannato per l'assassinio di don Umberto Pessina, il parroco di San Martino ucciso l'anno prima dai proiettili di tre ex partigiani. Tutti sapevano - o avrebbero presto saputo - che Germano non c'entrava niente. Lo sapeva il vescovo di Reggio Emilia, che però non l'amava perché cattolico passato con i rossi. Lo sapeva il Partito, che però non l'amava per lo spirito libero e gli propose di espatriare in Cecoslovacchia, insieme ad altri partigiani invischiati nelle violenze. Ma lui fu fermo nel rifiuto: alla fuga preferiva il carcere, soprattutto per dimostrare la sua innocenza. Dei 22 anni di pena, Germano ne trascorse in cella dieci, ma solo per via dell'indulto. Per ottenere l'assoluzione piena dovette aspettare il 1994. Dopo 47 anni, il comandante Diavolo ha potuto riavere indietro le sue mostrine militari. E le scuse dello Stato italiano.
Ora la sua lunga e complicata resistenza può raccontarla ai più giovani. E a loro ripete le parole con cui l'aveva salutato il suo amico Giacomo, ucciso dalle Brigate Nere: "Non dite che siete scoraggiati, che non ne volete più sapere. Pensate che tutto è successo perché non avete voluto più saperne"

  

ma  veniamo all'oggi 



mentre  mi apprestavo   a concludere   il post  d'oggi  apprendo    da  questo video





 quest'altra storia 

  da  http://www.gliocchidi.it/persone/ida_e_augusta


Ida e Augusta


Fotografia di Augusta Ludescher, anni Trenta
Ida Roser: Germania 1885  Gombio, 1956

Fotografia di Ida Roser, anni Quaranta
Augusta Ludescher: Germania 1881 - Gombio 1950)
La targa che ricorda Ida Roser e Augusta... - Spartiti - Jukka ...Siamo Ida e Augusta, le due tedesche di Gombio. Non crediamo di meritarci tutta questa attenzione. Abbiamo fatto solo quello che tutti dovrebbero fare: ricordare che non siamo bestie. Sia che si tratti di una vita umana, di un fiore o di una frittata.E a me, che sono Augusta, che sono passata da Berlino a Gombio per amore di Narciso Piazzi, non mi è parso di fare nulla di eccezionale, quando quel tedesco mi è entrato in casa. Stavano rastrellando e ci avrebbero ucciso tutti. Però una frittata è una frittata e non si entra in casa della gente senza chiedere permesso e si inizia a mangiare il cibo altrui. Allora l’ho detto ben chiaro “Lazzarone, è così che ti hanno insegnato l’educazione”. L’ho detto in tedesco, la mia lingua, e a lui non sembrava vero. Sentire la voce di sua madre, della sua maestra, della sua sorella. Di sasso.Trovare in quella povera casa in quel piccolo paese una donna che parlava la sua lingua. E lui ha chiamato il comandante. E il comandante si è messo a parlare con me e poi ha chiamato anche Ida. Due donne tedesche in quell’angolo di mondo. Abbiamo parlato e parlato e alla fine se ne sono andati. Non hanno ammazzato nessuno. Abbiamo salvato il paese.Ma lo sapete anche voi che, in fondo, non si è trattato della frittata. A volte basta la voce di una donna per fare ricordare che nessuno è nato carnefice. Che nelle vite di ognuno di noi c’è stato un sorriso o una gentilezza. Un momento in cui ci siamo pensati migliori di quello che siamo diventati. Un momento per una speranza o per una frittata. Noi non siamo eroine. Siamo solo le due tedesche di Gombio. Sorridete, quando ci guardate negli occhi. E lavatevi le mani prima di andare a pranzo.







perchè è sempre 25 aprile ovvero sempre resistenza

E'  vero , purtroppo che  il  25  aprile   come  tutte  le  date  (  27  gennaio  , 10  febbraio  , 2  giugno ,  4   novembre  , ecc  ) che   ricordano  eventi storici  del nostro  paese   sono a rischio retorica .
 L'immagine può contenere: il seguente testo "Si avvisano gli ignoranti che il 25 aprile non si celebrano i comunisti contro i fascisti, ma la democrazia contro la dittatura! 568 75 commenti 9.378 condivisioni Mi piace Commenta Condividi"




Nessuna descrizione della foto disponibile.
Infatti (  vedi  foto  a  sinistra  )  certe storie o meglio certe memorie  , non solo  in sardegna  o  nel sud  ma  in Italia tutta  intera  ancora   resistono   e come fenomeno  carsico  agiscono riemergono   da  dentro di noi  nei momenti bui e  difficili   o quando me  te lo aspetti   .                Ecco quindi che  c'è    dentro  di noi    una  formidabile  energia  nascosta  ,   a chi  non vuol   vederlo  o  fa   finta  di non vederlo  ,   comunitaria  \  collettiva    ed  individuale   che  potremo  basta  volerlo   e  saperci liberare   (   vedi  la poesia  di  Paolo  Rumiz  sotto  a  fine post    ) e  che  la peste  ops  Coronavirus \  covid 19   sta  stoppando    Ci  sono   tanti  giovani  (  ne parlerò   nei  post  successivi  )  di buona volontà   che  sognano ed  a volte  agiscono    che  sognano  di rifondare  un etica   basta ascoltarli e  saper   vedere  ed  osservarli  senza   giudicarli  ed condannarli a  mo'  d''inquisizione   . Cosi come  L'italia  ( ed  il mondo   ) è   piena  di profeti inascoltati  o scambiati per :  cassandre  ,  pazzi    e , complottisti   o menagrami   ,  di gente  che   riesce  a  guardare lontano  oltre il  suo orticello o torre  d'avorio  , di  persone   in trincea  per  l'ambiente , la  cultura  , il paesaggio  ,  l'istruzione  ,  la  solidarietà ed  l'uguaglianza  
Robinson, liberiamoci dal male Ecco perché qui  sul  blog   e  sulle  sue  appendici    social  ( Facebook  : I II III , il canale  telegram   )  cercando  d'evitare  che  finiscono blowin'in the wind cioè disperse come polvere nel vento nella pagina Facebook, trovate le storie, più strane ed assurde che molti compresi i Media maistream considerano : strampalate, di costume, tappa buchi o peggio di distrazione ovvero frivoli ed banali , Inoltre non è solo liberazione dal nazi fascismo ma anche dal tempo che non abbiamo mai , dal superfluo ( che non sempre riusciamo ed evitare vedi allegati ed gadget inutili nelle riviste e nei giornali ) , del ' IO che comanda sul NOI , dalla paura ( inutile ed indotta ) , dall'indifferenza verso la terra e verso il mondo che ci circonda . Ecco    <<    [...]  non siamo mai   stati   cosi  al bivio  fra   crollo e  rinascita   , tra  schiavitù ed  indipendenza   tra  coraggioso  salto     involutivo  ed  involuzione definitiva   tra  personalismi     e d   ritrova  unità  come  nazione  [....]  >> come dice  Palo Rumiz    , non solo   nella poesia  citata  , ma  nel suo articolo   per   l'ultimo   numero  dell'inserto  settimanale  di repubblica (  vedere     foto a destra  ) .  Fncl  a  chi  dice   che     il  25  aprile   è  solo  retorica    senta il video  del monologo  di Stefano massini     nella   puntata    nella puntata  del 23\4\2020   della  trasmissione  piazza pulita   de la7    






oltre a leggere il testo dobbiamo liberarci di Paolo Rumiz sull'ultimo numero dell'inserto Robinson prima citata 

L'immagine può contenere: testo



e  questa  canzone  di  Lodo Guenzi canta in versione acustica, dalla sua quarantena, il brano inedito 'La festa della Liberazione" scritto da Appino degli Zen Circus




buon 25  aprile

23.4.20

Lucca, infermiera trova biglietto nella posta: "Ci porti il Covid"

Leggendo   l'articolo che  trovate  sotto   rimango basito  . Non  basta  la moria di persone   e le  vite spezzate che   l'epidemia di  covid 19  si sta lasciando  dietro   ogni  giorno   le  accuse  d'essere untori  , le   sofferenze  fische  e psicologiche    di  : chi  l'ha   affrontatanto  o lo sta  affrontando    non solo i malati  ma  anche   le  persone deboli   e con handicap   soprattutto mentali   ci mancava  dopo il precedente insulto \  attacco appesso addirittura  sulla porta  di casa   ad un altra  dottoressa  ci  mancava ure  questo  . Ora  non so  che  altro  aggiungere  a  quanti  scrittto  di getto    sul mio facebook    
Giuseppe Scano
5 h
la Repubblica
 · certa gente è proprio bastarde inside . io gli farei fare lo stesso lavoro di quella che ha vigliaccamente denigrato ed insultato . e poi gli avrei insultati allo stesso modo , giusto per vedere come reagirebbero . ma poi l'idea mi passa perchè mi abbasserei al loro stesso livello df'infami e di vigliacchi . E .... qui mi fermo che è meglio

Lascio  la  parola   all'articolo   di repubblica



Lavora nel reparto Malattie infettive: "Quelle parole mi hanno ferito... Sono mesi faticosi, mi capita di uscire in lacrime dal reparto, non mi aspetto un grazie, ma nemmeno parole così". Il sindaco Tambellini: "Anche io ricoverato lì. Stanno facendo un lavoro immane. Tutta la solidarietà mia e della nostra comunità"


                                                    di LAURA MONTANARI

Lucca, infermiera trova biglietto nella posta: "Ci porti il Covid"
Il biglietto lasciato nella posta per l'infermiera 
Ha sentito suo fratello e sua madre parlare fuori, nel cortile di casa, e si è affacciata. Capannori, centro a pochi chilometri da Lucca. "Mi sa che ti hanno lasciato un messaggio...". E' così che Damiana Barsotti, 48 anni, infermiera del reparto di Malattie infettive all'ospedale San Luca si è trovata tra le mani quel foglio scritto al computer. Poche righe, ma parole affilate: "Grazie per il Covid che tutti i giorni ci porti in corte. Ricordati che ci sono anziani e bambini, grazie". Messaggio anonimo, ma purtroppo chiaro: "Non è che uno si aspetta un grazie, ma sinceramente quel messaggio mi ha ferito", racconta Damiana che fa l'infermiera da quasi trent'anni. "Sono momenti durissimi, mi capita di piangere andando a vestirmi in reparto o di piangere uscendo a fine turno, non mi era mai capitato di stare in mezzo a un dolore così diffuso, a una malattia così imprevedibile".Racconta dei turni a lottare contro il contagio da coronavirus, dell'ansia: "Ho in testa gli occhi di chi sta sdraiato sul lettino con la maschera di ossigeno alla bocca e chiede a noi: "ce la farò?" e noi facciamo di sì con la testa, ma è per fargli coraggio. Perché la verità è che non sappiamo niente. Se ce la farà o non ce la farà perché non conosciamo la grammatica di questo virus e a volte vediamo miglioramenti che ci lasciano sperare e poi peggioramenti improvvisi e inaspettati. Non è come per le altre malattie che dai una medicina e ti aspetti un certo decorso".Damiana 

Lucca, infermiera trova biglietto nella posta: "Ci porti il Covid"

racconta anche la paura: "A volte mi chiedo: sono coperta bene? Ho messo tutti i dispositivi per proteggermi?". Non ha idea su chi possa aver depositato quel biglietto nella posta di quel gruppo di case in cui abita: "Siamo in diversi qui e a volte c'è stato qualche battibecco con i vicini perché a me piacciono molto i cani, ma non mi sarei mai aspettata un biglietto come quello e in un momento così difficile". Ha chiamato i carabinieri che hanno scritto in un verbale la storia di quel messaggio. La vicenda è stata riportata anche sul Tirreno."Va detto che dopo che si è sparsa la notizia ho ricevuto la solidarietà del sindaco di Capannori Luca Menesini, degli infermieri del reparto e dei medici e quella dei dirigenti dell'Asl Nord Ovest e la cosa mi ha fatto piacere. Siamo noi i primi a fare la massima attenzione ai comportamenti quando usciamo dal reparto e siamo noi i primi a pagare se dovessimo commettere una qualche disattenzione", dice ancora Damiana che non presenterà nessun esposto: "A che serve? Non ho tempo, sta per cominciare il mio turno ... 
E anche il il sindaco di Lucca, Alessandro Tambellini, attraverso Facebook ha voluto esprimere la propria solidarietà e gratitudine all'infermiera: "Non c'è ragione che possa giustificare un gesto tanto vile e irresponsabile. A chi ogni giorno rischia la propria vita per la vita degli altri bisogna solo dire grazie. Questo è l'unico messaggio che Damiana Barsotti, l'infermiera del reparto di malattie infettive del San Luca, che tra i tanti si è occupata anche di me quando ero ricoverato, meriterebbe di trovare nella cassetta delle lettere o davanti alla porta di casa". Tambellini è stato tra i ricoverati per Covid all'ospedale di Lucca ed è di pochi giorni fa la notizia della sua completa guarigione. "Damiana, così come le sue colleghe e i suoi colleghi, sta facendo un lavoro immane - conclude il sindaco - Merita rispetto. Merita gratitudine. A lei tutta la mia solidarietà e quella della nostra comunità".

il lockdown puo' aiutare a riflettere ed a mettersi indiscusione olttre ad approfondire certi argomenti .il ruolo della brigata ebraica nella guerra di liberazione

Un articolo  interessante   quello  di repubblica   del  23\4\2020    che  riporto sotto   . le parti   da me  sottolineate   sono  anche  la mia stessa  conclusione    di quello che    affermo  nel titolo  e  nelleaggiunte  fra  parentesi quadre 



I volontari della Brigata ebraica “Perché il 25 aprile è anche nostro”
Hanno combattuto per liberare l’Italia dal nazifascismo, ma negli ultimi anni la loro presenza alle celebrazioni è stata contestata. “Questa festa è fondamentale, dobbiamo essere uniti”

                                              di Simonetta Fiori




«Il 25 aprile è una data fondamentale, oggi più mai dobbiamo celebrarla uniti. E chi contesta la Brigata ebraica è perché non ne conosce la storia». Piero Cividalli è l’ultimo testimone del corpo militare di cinquemila ebrei palestinesi che nell’ottobre del 1944, sotto la bandiera britannica, corse in aiuto del nostro paese. Il diciannovenne Cividalli riuscì a sbarcare a Taranto solo nel luglio
dell’anno successivo, a guerra finita, e ora a 94 anni con voce ferma ricorda le macerie, le rovine fisiche e morali in cui si imbatté lungo la penisola.
Ogni anno, dalla sua casa di Tel Aviv, il professor Cividalli segue con comprensibile tristezza le proteste che da un angolo della piazza milanese si levano contro simboli della sua Brigata identificata nell’attuale politica di Israele, mentre a Roma le associazioni antifasciste e la comunità ebraica non riescono a convivere nello stesso corteo. Nella sospensione della pandemia non sono ancora comparsi segnali di guerra: che la piazza virtuale possa essere l’occasione per sanare una lacerazione sbagliata, come suggeriva ieri su Repubblica Marco Revelli? «È un problema di ignoranza», dice Cividalli con la serenità di chi ha attraversato il cuore di tenebra del Novecento. «Chi contesta non sa che la Brigata in origine contava anche volontari arabi. E che ebbe un ruolo importante nella liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista. Inoltre nell’immediato dopoguerra contribuì a ricostruire il tessuto civile delle comunità ebraiche, aiutando i deportati a reinserirsi nelle realtà da cui erano violentemente sradicati ». Anche Piero, nel ’38, era stato espulso dalla sua scuola di Firenze. Che cos’era il fascismo l’aveva capito l’anno prima, quando la Cagoule assassinò a Bagnoles-de-l’Orne i migliori amici dei suoi genitori, Carlo e Nello Rosselli. Fu allora che il padre maturò l’idea di trovare riparo nella Palestina britannica. «Eravamo profondamente italiani», racconta Cividalli. «Eppure fummo perseguitati nell’indifferenza generale». Nonostante il trattamento subito in patria, giovanissimo partì volontario in aiuto di quello che considerava il suo paese. «Basta studiare la storia. Ho l’impressione che gli italiani sappiano poco di noi». Anche Anna Foa è convinta che le contestazioni nascano dall’ignoranza intorno alla Seconda guerra mondiale. «Si continua a fare confusione tra ebrei, israeliani, volontari della Palestina britannica: un gran minestrone, condito da antisemitismo nella sinistra estrema. La Brigata ebbe un ruolo importante nello sfondamento della Linea Gotica. Ed è fuori discussione che i suoi simboli debbano partecipare al corteo del 25 aprile ». All’origine dei contrasti fu la decisione dell’Anpi di fare di questa data la festa di tutte le liberazioni: da qui i fischi verso Israele considerato l’oppressore dei palestinesi. «Ma la Brigata ebraica non è Israele   [ la  partecipazione  alla  fondazione el  suo stato   da  parte  di ex  militanti  della brigata  avvenne  dopo  che  la  brigata  fu sciolta  ]  », obietta Foa. «E comunque il 25 aprile deve rimanere la festa della liberazione dal nazifascismo: estenderne il significato può produrre confusione ».
Nella scuola ebraica di Milano riaperta dalla Brigata nel dopoguerra — a cui sono dedicati gli studi di Stefano Scaletta — lavora oggi Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di Documentazione ebraica contemporanea. « Per tanti anni la coreografia del 25 aprile è stata incentrata sul partigianato comunista e azionista e solo in tempi più recenti sono state valorizzate altre componenti, tra cui la Brigata ebraica. Ma per la sinistra più estrema basta vedere la stella di David su fondo azzurro per dare addosso a Israele: un cortocircuito che non c’entra con l’esperienza storica della Liberazione [  come  ho  già detto in precedenza  ] ».
Quello che si cela dietro le contestazioni è anche un conflitto di memorie tra una parte del mondo antifascista e la comunità ebraica. «In alcune zone della sinistra gli ebrei vanno bene come soggetti astorici perseguitati dal nazifascismo, meno bene come portatori d’una coscienza sionista. Io credo che questo 25 aprile senza la piazza fisica serva per riflettere. Ma non sono sicuro che sia sufficiente per superare le divisioni».
Al momento non s’avvertono echi di battaglia. «Come se ora ci fossero altre priorità», suggerisce Anna Foa. «Di fronte all’appello di Forza Nuova di sporcare il 25 aprile scendendo in piazza, tutto il mondo antifascista si ricompatta. L’augurio è che questa unità sia una conquista definitiva, destinata a sopravvivere al lockdown».

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