· Ora da laico sono contro la maternità surrogata quando essa diventa a scopo di lucro . Infatti concordo con quanto dice sempre Gilberto : << Non necessariamente una posizione etica sostenuta da politici di destra è obbligatoriamente retrograda, reazionaria, fascista. La stessa posizione, su determinati temi, e per ben altre motivazioni, e con ben altre argomentazioni, puó essere sostenuta da persone, gruppi, movimenti di sinistra, progressisti, assolutamente laici >> o credenti progressisti . Perchè sempre secondo il suo post << non tutto ció che tecnicamente è oggi possibile per ció stesso è anche eticamente buono, giusto, opportuno. >> non concordo completamente con la parte finale del suo discorso quando dice << Personalmente poi ritengo che come non esiste il diritto a esistere, essendo la vita solo un dono, così neppure esiste il diritto alla genitorialità, perchè anche diventare padri e madri è solo e semplicemente un dono. perchè Dio ci ha dato il libero arbitrio ed indicato la strada sta a noi decidere se seguirla criticamente o acriticamente >>
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
25.3.23
NON C'E' BISOGNO DI ESSERE CATTOLICI BIGOTTI E OLTRANZISTI PER DIRE NO ALLA MATERNITA' SURROGATA O AL MASSIMO CHE SIA REGOLAMENTATA
DanteDì 2023 - Daniela Tuscano
No, non toglietemi Dante,
Dante 'l tosco, Dante l'errante
Dante che fa tremar le vene e i polsi
Con quel suo parlar aspro, soave, mesto e pien d'amore,
Dante avier di libertà, che va cercando Tra rischi, scandali e pugna
Dante non divino ma umano
Dante che infrange 'l cristallo
E squaderna i cieli
E tutti immilla, e ciascuno vede
Dante dall'ardir severo, dai bianchi tomi
Ché l'iride è in noi, supremo e solo
Dante padre senza prole,
Dispersa nello strazio disonesto
Dante 'l barattiere, Dante 'l sodomita
Dante l'uom tradito
E sposo di lussuria;
Dante che ama Dio
Sol se lo guarda
Con occhi di donna.
© Daniela Tuscano
24.3.23
Dal Canada all’italia “Cristina ha 2 padri e una mamma vera, non un utero a nolo” ma sempre per ricchi è
Che dire sulla vicenda ? Che essa anche se non c'è stata violenza psicologica , mercimonio, sfruttamento è molto molto istruttiva ed esemplare perché dimostra che la maternità surrogata non è solo mercificazione ed sfruttamento e violenza psicologica ma non è per tutti \e ma per cho può permetterselo Infatti l'articolo per essere completo, nell'articolo e nella vicenda mancano i costi: UNA STORIA D'AMORE di ricchi, sicuramente di molto ricchi...diritti assicurati per "chi può" permetterselo !
Dal Canada all’italia “Cristina ha 2 padri e una mamma vera, non un utero a nolo”
Nicola e Giorgio hanno 42 e 41 anni, vivono a Milano e sono padri di una bambina di 3 anni che si chiama Cristina, nata in una cittadina sperduta nella foresta boreale canadese, grazie alla maternità surrogata. A raccontarmi questa storia piena di amore e gratitudine è Nicola, mosso dall’urgenza di spiegare cosa significhi davvero ricorrere alla gestazione per altri, nella giungla di fake news e dichiarazioni in cattiva fede di chi parla in modo sprezzante di “utero in affitto”. E anche di chiarire cosa voglia dire per
le coppie omogenitoriali, non solo da un punto di vista burocratico, l’interruzione della registrazione nell’atto di nascita dei bambini nati da coppie dello stesso sesso.
Nicola, da quanto tempo tu e Giorgio state insieme?
Ci siamo conosciuti al Sottomarino Giallo 12 anni fa. Era un locale frequentato soprattutto da lesbiche, entrambi accompagnavamo due amiche, ma alla fine ci siamo innamorati noi due. Dopo sei mesi viviamo insieme.
Cosa fate nella vita?
Io lavoro in banca, Giorgio è un architetto di interni.
Siete sposati?
Dal 2019, ci siamo sposati un mese prima che nascesse la nostra bambina.
Quando nasce l’idea di avere un figlio?
Da subito, soprattutto io ho avuto fin dal primo momento il desiderio di creare una famiglia con Giorgio e lui con me, ma non sapevano nulla di maternità surrogata. Nel 2017, per capire come funzionasse, prendiamo contatto con una coppia di papà di Milano e andiamo a fare un aperitivo insieme.
E vi spiegano l’iter.
Sì, loro avevano fatto tutto in America, noi scegliamo il Canada.
Come mai?
Per le leggi che regolano la maternità surrogata: la donna non può prendere un compenso, ma ha diritto a un rimborso spese durante la gestazione. Deve avere una situazione economica stabile e aver avuto già almeno due figli. Non si può scegliere il sesso del nascituro.
L’ovulo è della gestante ?
Assolutamente no. Una donna dà l’ovulo e un’altra porta avanti la gravidanza per evitare che ci sia la connessione genetica tra la madre biologica e il figlio.
Quante volte siete andati in Canada?
Due. La prima per fare tutte le analisi e donare il seme.
Chi dei due è il padre biologico?
Io, ma per una questione di convenienza, sono un lavoratore dipendente e dunque avrei avuto diritto al congedo di paternità.
Come avviene la scelta della donna? È lei che sceglie. In che senso?
Si prepara una scheda di presentazione, si spiega da quanto tempo si sta insieme e perché si desidera un figlio. La donna guarda le schede e sceglie. Poi ci si vede via Skype o di persona e si decide se ci si piace a vicenda.
Dopo quanto siete stati scelti? Dopo due mesi. Un’attesa prima di un’altra attesa.
Quando è arrivata la telefonata eravamo felicissimi, via Skype abbiamo conosciuto Sheena.
Chi era Sheena?
Una nail artist di 32 anni, abitava a Fort Mcmurray, una cittadina nella provincia dello stato di Alberta, famosa perché dalle sabbie bituminose estraggono il petrolio. Suo marito lavora in un’azienda petrolifera.
Perché ha scelto di essere una madre surrogata?
Lei ha due figlie, ma all’inizio pensava di non poter avere figli per un problema alle tube, cosa che le ha provocato molta sofferenza. Quando poi un ginecologo le ha risolto il problema, si è detta che avrebbe aiutato una famiglia che passava attraverso quel dolore.
Perché vi ha scelti?
In realtà pensava a una coppia etero. Poi Sheena ha visto la nostra candidatura e ha amato la semplicità con cui ci siamo descritti. Il fatto di essere italiani ha aiutato!
Quindi smentiamo i luoghi comuni per cui le madri surrogate sono delle disperate.
Ma va, lei e il marito stanno meglio di noi.
Sheena rimane incinta nella primavera 2019. Nei mesi della gravidanza vi sentivate spesso?
Sempre, tutti i giorni, ci mandava le foto della pancia.
Come avete scoperto il sesso?
Sheena è andata in un negozio e ha fatto per noi via videochiamata, una specie di gender reveal party, con i palloncini rosa!
Quando siete andati a Fort Mcmurray?
Un mese prima rispetto al parto programmato, per essere sicuri di esserci anche in caso di parto anticipato. Era fine novembre, c’erano meno 30 gradi.
E cosa avete fatto per un mese nel gelo della foresta boreale canadese?
Abbiamo vissuto in casa con Sheena, suo marito e le due bambine di tre e sei anni.
In casa con loro?
Sì, ed è stato meraviglioso. Le bambine sapevano tutto ed erano felicissime quando ci hanno visti, la mamma aveva spiegato loro che la bimba che cresceva nella sua pancia non sarebbe stata loro sorella, ma nostra figlia, aveva appeso le nostre foto sul frigo. Il marito di Sheena è un omone dal cuore d’oro. Non ci eravamo mai visti e ci volevano bene come accade tra persone che si vogliono aiutare. Cristina stava per nascere, era quasi Natale, noi portavamo le bimbe a scuola con Sheena, un ricordo indimenticabile.
Arriva il giorno tanto atteso.
Il 20 dicembre Sheena mette al mondo Cristina.
Chi c’era in sala parto?
Suo marito e io, che ho pianto per tutto il tempo.
Quando è nata la vostra bimba come è stato il distacco dalla madre biologica? Sheena è rimasta distaccata, per lei era nostra figlia, aveva seguito un percorso psicologico come prevede l’iter, è stata assistita anche in ospedale. Il marito no, lui inizialmente la chiamava my girl, come le sue bimbe, per un attimo ci abbiamo scherzato su, e se vuole tenersela?
A chi somiglia?
A mia mamma, che si chiamava Cristina. È tutto magico in questa storia.
In Canada come funziona la registrazione?
Siamo stati registrati immediatamente entrambi come genitori, Cristina ha il doppio cognome.
Quanto siete rimasti lì?
Abbiamo trascorso il Natale con loro, poi il 27 dicembre siamo andati nella Capitale dello Stato per fare il passaporto per Cristina. A metà gennaio 2020 eravamo in Italia.
E iniziano i problemi burocratici.
Per la legge canadese eravamo due papà, ma a Milano non si trascrivevano i certificati con due papà, per cui lo stato di Alberta ha rettificato l’atto di nascita.
Come è stato l’impatto qui?
Noi non abbiamo mai vissuto episodi che ci facessero sentire a disagio. Cristina è serena con i suoi coetanei, i genitori dei suoi amici non ci hanno mai guardati in modo strano, è tutto naturale.
Frequentate altre famiglie arcobaleno?
Sì, gli psicologi canadesi ce lo avevano raccomandato. Cristina deve sapere che ci sono compagni che hanno due papà o due mamme e che ci sono compagni con papà e mamma. Deve ricordarsi di essere una bambina speciale ma ordinaria.
C’è chi pensa che la maternità surrogata sia un modo “tecnico”, innaturale per avere figli.
Una nostra amica ci diceva che non riusciva ad avere figli e che il fatto di dovere avere rapporti nei giorni segnati sul calendario aveva spogliato di poesia l’idea della gestazione. Ecco, l’idea di avere figli è romantica, ma poi la realtà spesso è un’altra.
Cristina oggi per la legge ha due papà?
A settembre, quando ancora a Milano era possibile, abbiamo inserito anche Giorgio come papà nell’atto di nascita, ma è un atto amministrativo e sapevamo che poteva e mai come ora potrebbe essere impugnato in qualunque momento dalla prefettura.
Come vi fa sentire l’idea?
Da una parte la trascrizione serve per tutelarci ed è un diritto di nostra figlia e di noi genitori. Dall’altra però sappiamo che qualunque cosa accada, noi siamo una famiglia e questa è una verità che nessuno potrà mai toglierci. Noi Cristina l’abbiamo desiderata più di tante coppie etero a cui talvolta i figli nascono per sbaglio.
Sheena è rimasta nella vostra vita?
Sempre. Verrà a trovarci presto in Italia. Cristina nella sua cameretta ha una foto di Sheena con la pancia e noi due, mentre aspettavamo che nostra figlia nascesse tra i ghiacci canadesi.
Presenza costante Nostra figlia nella cameretta ha una foto di Sheena con la pancia e noi due, mentre aspettavamo nascesse tra i ghiacci
23.3.23
Addio a Lucy Salani, unica donna trans sopravvissuta ai lager nazisti
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C’è un soffio di vita soltanto”: il doc sulla storia di Lucy, la transessuale sopravvissuta a Dachau
Una vita simbolo di Resistenza
iO Donna 23 MARZO 2023
STORIE E REPORTAGE
Addio a Lucy Salani, unica donna trans sopravvissuta ai lager
Lucy Salani è stata testimone diretta di uno dei momenti più bui e tragici della storia del '900: costretta a guardare l'orrore, ha saputo resistergli con forza e coraggio ineguagliabili
di SIMONA SIRIANNI
«Sono stato bambino, figlio e figlia, soldato, disertore e prigioniero, madre, prostituta e amante. Ma qualsiasi persona sia stata, posso dire con convinzione di essere stata sempre me stessa».
Aveva 99 anni ed era l’unica donna transessuale sopravvissuta ai lager: Lucy Salani si è spenta ieri, quasi centenaria, a Bologna dove viveva.
frame video Lucy Salani, l’unica trans sopravvissuta ai lager
Nata come Luciano Salani a Fossano, nel 1924, era cresciuta a Bologna come uomo omosessuale. Antifascista, dopo aver disertato sia l’esercito fascista italiano che quello nazista, è stata deportata a Dachau nel 1944.
Per tutta la vita ha raccontato gli orrori dell’Olocausto ed è considerata dal Movimento Identità Trans l’unica persona transessuale italiana a essere sopravvissuta alle persecuzioni fasciste e naziste.
Lucy Salani in una foto di scena tratta dal documentario di Gianni Amelio “Felice chi è diverso” presentato al Festival di Berlino (Ansa)
«Lucy è stata una giovane poetessa e donna transgender riuscita a sopravvivere all’orrore del campo di concentramento nazista di Dachau. La sua vita è simbolo di Resistenza e di memoria storica. Il ricordo di Lucy vive nei nostri cuori e ci spinge a lottare con ancora più forza per affermare l’immenso valore dell’autenticità delle nostre vite» scrive nel suo commiato social l’Arcigay.
Una vita in salita
Una vita tutt’altro che facile quella di Salani che, avversata anche all’interno della famiglia, ha cominciato da subito a dover fare i conti con la grande storia a causa del suo orientamento sessuale.
Erano gli anni della Seconda Guerra mondiale e il suo destino fu quello di essere arruolata nell’esercito
La deportazione a Dachau come soldato disertore
Impossibile per lei sostenere quell’impegno, tanto da cominciare una lunga serie di diserzioni e fughe e vita nell’Italia occupata, prima di essere deportata come soldato disertore in varie località del nord Italia e poi a Dachau.
Alla fine della guerra, però, sopravvissuta al lager, Salani rientra in Italia a Bologna precisamente e dagli anni Ottanta ci rimane per tutta la vita.
Lo scorso settembre, a Milano, durante la prima festa dei Sentinelli in occasione della mostra, “Homocaust” che raccontava appunto le storie di persone passate dai campi di concentramento in quanto omosessuali, Salani aveva raccontato quanto fosse stato terribile durante il fascismo essere transessuale.
«Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Alla fine mi hanno sparato, ma sono sopravvissuta. La mia paura più grande allora? Di essere viva»
La sua drammatica vicenda è raccontata sia nella biografia di Gabriella Romano «Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale», pubblicata nel 2009 da Donzelli Editore. Sia nel documentario “Essere Lucy” realizzato da Gabriella Romano.
Lucy Salani: «Fiera di essere un intruglio»
E tra il 2020 e il 2021 Matteo Botrugno e Daniele Coluccini girano un altro documentario dal titolo “C’è un soffio di vita soltanto” che racconta le tappe dell’intera esistenza di Salani.
Una vita esempio di combattimento, attaccamento, rivendicazione di quanto fatto, con una grande certezza: essere fiera di essere «un intruglio».
«Se questo pianeta mi ha concepito così non l’ho chiesto, è la natura che si è ribellata, non so, era indecisa fra l’una e l’altro, e sono uscita io».
22.3.23
QUEI TRE CARABINIERI. .UCCISI IN VIA SCOBAR.
Fra le tante storie delle vittime delle mafie ce n'è una poco nota essa riguarda LA STRAGE DEL 1983 L’appuntato Bommarito, assieme ai colleghi D’aleo e Morici, intuì l’importanza nello scacchiere di Cosa Nostra di un paese come Monreale e mise in luce complicità di politica e mafia
da
QUEI TRE CARABINIERI. .UCCISI IN VIA SCOBAR.
l 13 giugno 1983, in via Scobar, tra i palazzoni senz’anima del sacco edilizio di Palermo, venivano uccisi tre carabinieri, il capitano Mario D’aleo, l’appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere scelto Pietro Morici.
L’ennesimo efferato delitto in quella Palermo infuocata e disperata dei primi anni Ottanta quando, sotto il piombo della mafia e di chi ne armava la mano, cadevano uno dietro l’altro servitori dello Stato che avevano soltanto la colpa di voler fare il loro dovere. Un triplice omicidio per certi versi dimenticato. Soffocato, quasi schiacciato nell’immaginario collettivo dal clamore di altri delitti che lo precedettero e lo seguirono di poco. Il 3 settembre 1982 era stato ucciso il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Dopo poco più di quaranta giorni dall’agguato di via Scobar, il 29 luglio del 1983, in via Pipitone Federico nel centro residenziale di Palermo, si sarebbe scatenato l’inferno con il primo attentato nei confronti di un magistrato, il dottor Rocco Chinnici, realizzato con il sistema dell’autobomba piazzata sotto l’abitazione. Le prime pagine dei giornali nazionali titolavano: “Palermo come Beirut”. Forse anche per questo, forse perché ci si stava abituando a tutto, forse perché l’opinione pubblica nazionale, da sempre distratta, scopriva poco alla volta la pericolosità di “Cosa Nostra” solo quando uccideva personaggi “eccellenti”, la feroce esecuzione di D’aleo, Morici e Bommarito passò quasi inosservata. I soliti funerali di Stato, la solita finta indignazione delle autorità, la disperazione dei parenti delle vittime, la partecipazione del Capo dello Stato Sandro Pertini alle esequie. Poi, subito dopo, l’oblio.
E invece questo libro scritto da Francesca Bommarito, sorella dell’appuntato Bommarito, contribuisce non solo a rendere onore alle vittime di quel vile agguato, ma anche a inquadrarlo finalmente in un preciso disegno strategico della mafia corleonese e dei suoi vertici di allora, primi tra tutti Salvatore Riina e Bernardo Brusca. Un altro grande merito dobbiamo riconoscere al paziente lavoro di ricostruzione della dottoressa Bommarito: quello di chiarire a un’opinione pubblica solo sommariamente informata sull’esito dei processi che si sono celebrati, che l’appuntato Bommarito non morì “per caso” solo perché in quel momento accompagnava il suo capitano, ma perché così vollero i mandanti dell’agguato. Quei mafiosi avevano un interesse specifico a uccidere il capitano all’epoca comandante della compagnia di Monreale, ma anche a eliminare l’appuntato Bommarito; un valoroso carabiniere che aveva dimostrato di sapere alimentare le indagini antimafia più delicate con le notizie confidenziali acquisite sul territorio e con la certosina attività di verifica.
Il giorno dopo la strage di via Scobar Leonardo Sciascia, che di mafia se ne intendeva e che la mafia aveva descritto nei suoi romanzi nelle sfaccettature più diverse, in una intervista pubblicata sulle pagine del glorioso quotidiano L’ora affermò: “Di fronte a questo nuovo delitto ci si chiede se la mafia non vuole più carabinieri a Monreale e perciò ha in programma di uccidere tutti i comandanti che succederanno a Basile e a D’aleo oppure se questo capitano come il suo predecessore sono stati uccisi perché avevano capito qualcosa”. Una dichiarazione importante, un dubbio angoscioso che prendeva spunto dal fatto che solo tre anni prima, nel maggio del 1980, era stato ucciso a Monreale il capitano Emanuele Basile, il predecessore del capitano D’aleo. Anche quella, una esecuzione impressionante per la sua forza brutale. Basile venne ucciso durante la festa del paese mentre teneva in braccio la sua bambina. Da quel delitto scaturì una vicenda processuale infinita caratterizzata da numerosi tentativi, alcuni riusciti, di aggiustare il processo nei confronti degli imputati, Armando Bonanno, Giuseppe Madonia e Vincenzo Puccio. Corruzione di giudici, intimidazioni nei confronti di togati e giudici popolari, promesse politiche di interessamento in Cassazione,
annullamenti inspiegabili di sentenze di condanna, spietata vendetta nei confronti del giudice Antonino Saetta che, in appello, ribaltando il verdetto di primo grado, aveva condannato gli esecutori materiali e che per questo pochi mesi dopo venne ucciso con il figlio Stefano lungo la strada che collega Agrigento a Caltanissetta.
Tutto questo ruotava attorno al processo per l’omicidio del capitano Basile. Non si comprende la centralità della questione se non si ha chiara l’importanza mafiosa del territorio di Monreale, popoloso paese alle porte di Palermo, facente parte del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, quello dei Brusca, quello degli allora più fedeli alleati di Salvatore Riina. Quei carabinieri, pur con le limitate risorse di una compagnia di provincia, avevano avuto le intuizioni giuste, la forza e il coraggio di portare avanti indagini delicatissime che partendo dal basso arrivavano fino ai vertici dell’organizzazione mafiosa. Per questo fu prima ucciso il capitano Basile e tre anni dopo il capitano D’aleo. Sia l’uno che l’altro si erano avvalsi della preziosa collaborazione di un umile appuntato dei carabinieri, Giuseppe Bommarito, che con la sua tenacia, il suo fiuto investigativo, la sua capacità di conoscere e controllare il territorio, aveva intuito l’importanza di Monreale nello scacchiere complessivo di “Cosa Nostra” e messo in luce le complicità di politici e pubblici amministratori con i mafiosi. Per questo fu ucciso Bommarito. (...)
Gli elementi che l’autrice mette in fila, uno dopo l’altro, indicano che Bommarito non è morto “per caso” e sono emersi negli ultimi anni grazie alla perseveranza della sorella che nelle pieghe dei processi già celebrati ha saputo trovare e valorizzare l’importanza di quel lavoro investigativo.
Questo è un libro fondamentale perché restituisce la dovuta centralità a un delitto in parte dimenticato e aiuta a comprendere che, nella lunga teoria dei morti di mafia, non ci possono essere vittime di serie A e vittime di serie B. Tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita per svolgere con passione, impegno e correttezza la loro “missione” meritano lo stesso rispetto. Devono essere ricordati non come esercizio di mera retorica ma con la conoscenza e la divulgazione del loro lavoro, l’analisi e l’individuazione dei moventi della loro uccisione. È per questo che il libro rappresenta una tappa importante per ricordare quanti (anche vittime del tutto sconosciute all’opinione pubblica) hanno, da veri servitori del Paese, onorato fino all’ultimo la divisa che indossavano. In Sicilia, in una terra difficile ma per fortuna anche capace di slanci, di genuine reazioni, di ribellione al sistema mafioso. Circostanze che meritano, come si fa in queste pagine, di essere ricordate e valorizzate. E ciò è ancora più bello ed emozionante quando è frutto dell’amore di una sorella, del suo senso di ribellione alle ingiustizie, della sua perseveranza nel dimostrarsi appassionata di giustizia e verità.
LA STRAGE DEL 1983 L’appuntato Bommarito, assieme ai colleghi D’aleo e Morici, intuì l’importanza nello scacchiere di Cosa Nostra di un paese come Monreale e mise in luce complicità di politica e mafia
nella lega c'è chi dice no iil caso Mario Conte, sindaco leghista di Treviso, ha annunciato che trascriverà all’anagrafe i figli di coppie omogenitoriali
C’è chi dice No.
L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA
da Claudia Pasquariello 18 dicembre alle ore 15:10 · Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo ...
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