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Nel mese di Ramadan come nella Pasqua la condivisione del cibo è sacra
Cibo e religione sono legati da un connubio antichissimo. Si vede nel rito della messa, ma anche nell’islam, con l’Iftar, il pasto conviviale che spezza il digiuno nel mese di Ramadan La celeberrima frase «L’uomo è ciò che mangia», formulata nell’Ottocento dal filosofo Feuerbach, contiene in sé una verità umana fondamentale. Se andiamo al di là del senso materialistico con cui il filosofo la intendeva, ci rendiamo conto che il cibo non è solo l’alimento necessario per la sopravvivenza fisica, ma è anche un importante segnale attraverso il quale l’uomo interagisce con il prossimo, condividendo le gioie ma anche i dolori. Al di là dei nutrienti, il cibo risulta “condito” da un profondo valore simbolico e conviviale la cui massima espressione la si ritrova in gran parte delle religioni. Il cibo allora rappresenta un importante paradigma che non solo predispone il contatto tra gli uomini ma realizza anche l’incontro con la divinità.Cibo e religione sono legati da un connubio che risale alla notte dei tempi. Sono i dettami alimentari e i precetti da rispettare a tracciare il fil rouge che lega le tre religioni monoteiste, cristianesimo, ebraismo e islam.
Oggi, abituati a mangiare da soli, talvolta in piedi e spesso compiendo altre azioni, le religioni ci ricordano che il cibo non è solo un elemento materiale, ma è un dono di Dio e il sedersi a tavola insieme è espressione di intimità non solo tra i commensali ma anche con il divino.
Prendete e mangiatene tutti
In
questo contesto trova ampio respiro la dimensione conviviale del
cristianesimo che secondo Montanari, storico dell’alimentazione, è
emersa nel momento in cui da religione di popolo si è aperta a religione
universale, scegliendo di condividere e rispettare gli usi di tutti.Nei
cristiani, l’espressione più significativa della convivialità la si
ritrova nell’ultima cena quando Cristo spezza il pane e lo con-divide
insieme al vino con gli apostoli. Basti pensare che, la messa si celebra
intorno ad un altare che è ara sacrificale, dove viene “reso presente”
il sacrificio di Cristo, e mensa conviviale, dove la famiglia di Dio
partecipa al banchetto eucaristico. La messa, infatti, è proprio un
pasto comune in cui “si mangia Dio”.Tutto ruota intorno al
«Prendete e mangiatene tutti...» dove nel condividere un pasto c’è un
elemento di partecipazione tra i membri del convito, partecipazione che
viene estremizzata perché uno dei membri assimila a sé gli altri e da
loro vuole essere assimilato.Ciò
che il cristianesimo condanna è l’atteggiamento egoistico di trattenere
tutto il cibo per sé: è la voracità a rappresentare un principio
antisociale, d’altronde anche Dante colloca i golosi all’inferno. E a
dare il buon esempio, non poteva che essere Gesù: mangia con chiunque lo
inviti e non solo con gli amici, tanto che l’ultima cena si svolge a
casa di un estraneo.
L’Iftar
E a
proposito di condivisione del cibo, non possiamo non fare cenno alla
singolare condivisione del cibo che spezza il digiuno quotidiano durante
il Ramadan. Nel nono mese lunare di ogni anno i musulmani compiono un
digiuno durante il quale non è possibile ingoiare nemmeno una briciola
né deglutire liquidi, dall’alba fino al tramonto.
Il digiuno, sawm,
introdotto da Maometto nell’anno 624, ha lo scopo sia di esercitare
l’autocontrollo, ponendo il credente di fronte alle sue dipendenze
fisiche e mentali, sia di dimostrare amore per Allah e rispetto per i
poveri.
Ebbene, durante questo mese c’è un momento della giornata
molto significativo: l’Iftar, la rottura del digiuno al calar del sole.
Questo pasto serale permette di recuperare le forze spese durante le
attività quotidiane che non vengono sospese.
Ma c’è una sfumatura
di significato che va oltre il puro interesse sostanziale del cibo: per
il musulmano che osserva il precetto, condividere il pasto dopo il
digiuno, non solo è incontro con il divino ma ha un profondo valore
comunitario. I fedeli sono uno di fronte all’altro con la propria
individualità ed insieme condividono la vita e i beni della terra.
Dopo
il tramonto, la condivisione di pasti e di cibo si moltiplica non solo
nelle case, ma anche nelle moschee e, in alcuni paesi, anche ai lati
delle strade che si affollano di banchetti che vendono cibo. La rottura
del digiuno porta con sé una convivialità così estremizzata che i
musulmani tendono a stare svegli più a lungo nelle ore notturne tanto
che il ritmo sonno-veglia è alterato.
L’ospitalità e lo stare
insieme sono infatti caratteri religiosi importanti per la società
islamica, soprattutto se legati alla misericordia, principio
fondamentale per il profeta che amava gli Iftar collettivi e aveva
piacere di rompere il digiuno insieme ai poveri. Una delle sue
raccomandazioni era proprio quella che i compagni non celebrassero
l’Iftar da soli ma che coinvolgessero poveri ed emarginati.
Tre
datteri sono i protagonisti dell’Iftar accompagnati da un bicchiere di
acqua o di latte per preparare lo stomaco al pasto successivo, proprio
sull’esempio di Maometto che «…celebrava l’Iftar con datteri freschi, se
non ne aveva, altrimenti utilizzava i datteri secchi ed in mancanza
anche di quelli, con acqua» (Abu Dawood).
Dopo i datteri,
rigorosamente in numero dispari, si alternano altre due portate: una
zuppa a base di lenticchie, pollo, avena e patate seguita da
un’ulteriore portata più abbondante e varia, con carne, verdure e
formaggi.