GLI ANTICHI MESTIERI Palleddu Calaresu, il signore delle lame L’artigiano che nella sua fucina di Pozzomaggiore crea “resolzas” di pregio, seguendo i dettami della tradizione


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la mostra
La resolza di Pattada Se lavorare il ferro diventa arte raffinata Presentata la biennale del coltello Tra le iniziative collaterali S'Iscola de su trabagliu in programma da domani a domenica

di Fabio Canessa 
ALGHERO Presentare una mostra di coltelli in un aeroporto, luogo dove giustamente è massima l’attenzione alla sicurezza, può apparire strano. Ma quei coltelli non sono semplici utensili e possibili armi, sono opere d’arte. Gioielli che hanno reso un piccolo paese della Sardegna - Pattada - famoso nel mondo. 



Così lo scalo di Alghero, una delle porte dell’isola, diventa la prima vetrina per sa resolza, il coltello a serramanico che da strumento indispensabile della vita quotidiana del mondo agro-pastorale è diventato un oggetto simbolo dell’abilità dei fabbri (frailalzos) nella lavorazione delle lame e nella finitura sui manici. Ieri, nell’ufficio turistico dell’area arrivi dell'aeroporto di Alghero, è stata presentata la X edizione della biennale "Frailalzos patadesos" che vede protagonista il rinnovato Museo del coltello e del ferro battuto di Pattada, visitabile fino al 22 settembre.La manifestazione sul coltello, «diventato oggetto di culto, gioiello realizzato da artigiani baciati dagli dei che racchiude la forza di una comunità» come ha sottolineato il sindaco Mario Deiosso, si allarga all'arte del ferro battuto.
  In contemporanea sono infatti in corso altre tre esposizioni dal sapore etnografico che permettono ai visitatori di comprendere meglio la vita quotidiana del passato: “Su fraile e frades Ogana”, antica bottega tipica di fabbri e maniscalchi pattadesi dove, come cristallizzate nel tempo, possono essere osservate le antiche lavorazioni manuali relative al ferro, rendendo appieno l'attività e la figura del fabbro ferraio; “Triulende cascias”,preziosi costumi tradizionali, tutti rigorosamente d'epoca, fatti riemerge rovistando nelle antiche cassapanche delle case del paese; “Ruinzu e puppuine”, esposizione etnografica che fa rivivere un'antica dimora raccontando la vita e il lavoro del mondo agro-pastorale di tanti anni fa. «Offriamo uno spaccato autentico - ha evidenziato l'assessore di Pattada Filippo Corveddu - Non turismo di plastica con cose artificiali, ma ciò che noi siamo». Numerose e varie le iniziative le manifestazioni correlate tra cui spicca dall’1 al 4 agosto, la seconda edizione de S'Iscola de su trabagliu (La scuola del lavoro, illustrata durante la conferenza ad Alghero da Maria Antonietta Mongiu, presidente dall'associazione culturale Lamas. Quest'anno i tema portante sarà il lavoro delle donne.

mi ha  riportato  alla mente  questa storia  non ricordo la fonte se la nuova o l'unione  di fine luglio  

Gli uomini e le idee di paolo pillonca


POZZOMAGGIORE Reduce acclamato della rassegna regionale dei coltelli di luglio a Dorgali, promossa da un altro grande, Tonino Spanu, in memoria di suo figlio Gianfranco e appena smessi i panni dell'organizzatore della mostra delle "resolzas" nel suo paese, Paolo Calaresu noto Palleddu –
poche parole, a voce bassa – accetta di rispondere alle domande più attuali sull’arte dei coltellinai e dice la sua sulle polemiche che accendono la categoria a proposito di concorrenze sleali. Lui è al di sopra delle invidie non solo per l'età -classe 1942- ma per virtù riconosciuta anche dall’interno. «Di fronte a lui, io sono un apprendista – dice ad esempio Antonio Zara, valoroso creatore di resolzas a Thiesi –. Il mio maestro è Paolo Calaresu». Palleddu aveva 13 anni la prima volta che si è avvicinato al ferro. «Terminata la prima avviamento, sa veridade la scuola non mi piaceva e mio padre mi ha portato qui, a su fraile – inizia a raccontare –. Facevo pìtìghes, pinze per il fuoco, attrezzi per il caminetto, tutte quelle cosettine. D'inverno mio padre era impegnato in altri lavori e ai coltelli si dedicava soltanto d'estate». A quindici anni, nel 1957, Palleddu realizza il suo primo coltello. «Quando ho iniziato, non ero sicuro di portarlo a termine. Nelle difficoltà chiedevo a mio padre: e-i como, e adesso cosa faccio? Lui mi rispondeva: ammenta su chi t'apo nadu, ricordati di quello che ti ho detto. Così, pensa e ripensa ci sono riuscito. Quando l'ho finito ero proprio contento perché avevo gustato in pieno il piacere del fare». Quanto tempo puoi avere impiegato?

Lo ricordi? «Tre-quattro giorni. Intendiamoci, non di seguito: a intervalli. Altri lavori invece a quell'età li facevo bene quanto i fabbri adulti». Per esempio? «La ferratura dei buoi. Con mio padre ci mettevamo insieme sullo stesso animale, lui per gli zoccoli anteriori, io per i posteriori. Ferravo anche i cavalli». La tua prima ferratura, invece? «Ho iniziato con l'asino, prima gli ho costruito i ferri adatti ai suoi zoccoli e poi l'ho calzato. Nelle ferrature ci vuole attenzione, con il martello soprattutto. Il martello del maniscalco all'estremità anteriore ha il ferro, in quella posteriore il legno. Il chiodo deve essere introdotto con colpi dell'estremità lignea: tramite il legno capisci se il chiodo sta entrando nello zoccolo nella maniera giusta». Se picchi con il ferro non riesci a capire? «No, il legno ti dà la situazione esatta del percorso del chiodo». Quando hai fatto il primo tuo coltello, com'era il mercato delle resolzas? «In quel periodo, i coltelli non erano rifiniti come oggi, sa resolza doveva tagliare e basta. Ai pastori che mi chiedevano lumi (si mi nde faghes una ite cheres, cosa vuoi per un coltello?), rispondevo: un'anzone mi das, mi darai un agnello". Uno scambio alla pari? «Sì, con i pastori di pecore un agnello, con i porcari un maialetto. Quanti coltelli ho fatto! Guadagnavo qualcosa per conto mio, la pedagogia del lavoro nella fucina di babbo era questa: si nde cheres ti nde trabaglias, se ne vuoi te ne lavori». Di quale tempo parliamo? «Del periodo tra gli anni Cinquanta e i primi Sessanta». Veniamo alla manualità nella creazione delle resolzas. Superata la prova del fuoco della prima, cosa ti è successo? «Man mano che andavo avanti, i coltelli venivano fuori sempre meglio. Nella crescita, non per vantarmi, ha contato molto la mia tenacia. Quando ho un intento lo perseguo fino a raggiungerlo». In fretta, possibilmente? «No. La fretta non è mai una buona consigliera». Non si vive di soli coltelli: nell'apprendistato quali altri sentieri hai percorso? «Facevamo ringhiere, cancelli, zappe e altri attrezzi di campagna. Il ferro battuto l'ho lavorato soprattutto per richieste esterne». Testiere di letto? «L'ultima l'ho fatta per mia figlia e ora mia moglie ne reclama una per lei». Torniamo ai coltelli. Nei tuoi primi anni quale importanza avevano nel bilancio della fucina? «Minima, quasi trascurabile». Quando è nata la richiesta del coltello su larga scala? «"Negli anni Ottanta ho iniziato a vedere qualche soldo». Questa è la storia di uno di noi, nato in tempo di guerra.


Anche i poeti dialettali cantano la sua arte
Una grande manualità riconosciutagli persino dall’artista del ferro Roberto Ziranu di Orani







POZZOMAGGIORE «La prima volta che ho esposto nella penisola ho avuto una targa come migliore espositore. Dopo quella mostra sono iniziate le richieste. Anche adesso, nonostante l
a crisi, qualcosa la faccio sempre. Sono stato invitato all'estero, perfino negli Stati Uniti, ma non ci sono andato», narra il “faber'”Paolo Calaresu. Per lui non vale il detto secondo cui nessuno è profeta in patria. Il più noto tra i poeti di Pozzomaggiore – Antonio Maria Pinna – già nel 2004 l'aveva sistemato stabilmente sul podio dei suoi personaggi prediletti con due ottave inframmezzate da distici a rima baciata. La prima strofa è una celebrazione in piena regola: "A Palleddu li riet sa fadiga/ cand'intendet s'incùdine tinninde/: che fiza in manos si l''idet naschinde/ sa resolza chi leat ata e liga./ Istat oras e oras pista e friga/ finas chi l''essit che sole lughinde./ S'ispijat in sa lama e un'isteddu/ rilughet in sos ojos de Palleddu" (A Palleddu la fatica sorride/ quando sente l'incudine squillare:/ la vede nascere tra le sue mani come una figlia,/ sa resolza che prende filo e lega./ Sta per ore e ore a pestare e sfregare/ fino a quando non la vede brillare come il sole./ Si specchia nella lama e una stella/ brilla negli occhi di Palleddu). «Adesso esistono le levigatrici, il bello era nel passato anche recente: prima di tutto dovevi forgiare con il martello per limare il meno possibile nella rifinitura terminale – racconta ancora Calaresu –. Ma c'è chi, proprio grazie alle nuove tecnologie, prende tutte le scorciatoie possibili e senza aver mai visto una fucina di fabbro si avventura a produrre coltelli». Osserva Paolo Calaresu: «Forgiare una lama non è facile, occorre un tirocinio lungo nella fucina di un fabbro. Proprio di un faber ferrarius, che tratta il ferro, come diceva Plauto, il famoso commediografo latino di oltre duemila anni fa. Per risparmiare tempo, alcuni pezzi in ferro si possono acquistare già finiti. Io li faccio da me, tutti. Non ne ho mai comprato uno. Ho fatto un tripode per il caminetto, pezzo per pezzo, anche quelli facilmente reperibili sul mercato». Ma oggi per fare un coltello, di quanto tempo ha bisogno? «Facendo tutto a mano come faccio io non è vero che ci si riesce in un giorno. Io impiego dalle 16 alle 20 ore. Certo, se si comprano le lame già pronte ci si può riuscire in una giornata, altrimenti ci vuole il tempo che ti ho detto». A volte neppure essere fabbri è sufficiente.

 La conferma viene da un'eccellenza assoluta e riconosciuta come Roberto Ziranu, ex-enfant prodige di Orani con officina a Nuoro, figlio, nipote e pronipote di fabbri straordinari. autore di vere e proprie creazioni artistiche in materia di ringhiere, cancelli e letti e capace di dar vita a foglie e vele di navi ferree entrambe, mani virtuose: «Per fare coltelli ci vuole arte: non basta la manualità, occorre anche l'anima – premette Roberto –. Io non ne faccio, l'ho sempre detto: se ne facessi mi sentirei uno che di punto in bianco si avventura in campi sconosciuti. Non ho la specializzazione e resto fuori dalla mischia. Occorrerebbe tornare a una concorrenza sana, finalmente», auspica Roberto Ziranu. La concorrenza sleale secondo Palleddu «è destinata a non durare». Come sarebbe giusto.

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