3.3.13

come peppino impastato o finzione per infiltrarsi nella società antimafia ?


La mafia mi ripugna, parola di Caruana jr
Leonardo proviene da una famiglia mafiosa, ma ci tiene a far sapere che si distingue dai suoi congiunti. Lavora infatti nei terreni confiscati proprio ai clan.

domenica 3 marzo 2013 17:05





di Tancredi Omodei

Leonardo Caruana è figlio del boss Gerlando, conosciuto come Gigi, a sua volta figlio di Leonardo, morto assassinato. Nonno Leonardo era l'esponente di spicco della famiglia mafiosa. I Caruana e i Cuntrera, due famiglie storiche della vecchia mafia, a cavallo tra la terra d'origine, il Canada e il Sud America.



Una multinazionale, con solidi collegamenti politici sia in Nord America (un gran business, e tanti soldi) che in Sicilia.
Ora, la notizia è che il giovane Leonardo, nella Siculiana del padre e del nonno, paese a due passi di Agrigento, dove la famiglia non ha mai strappato le radici; il giovane Leonardo - dicevamo - trova lavoro presso una villa confiscata al padre nel 2000 e consegnata al Comune. Era stato il Consorzio agrigentino per la legalità e lo sviluppo a gestire la gara per l'aggiudicazione della villa. Gara vinta dal Wwf.
E Leonardo Caruana tre mesi fa è assunto proprio da questa associazione. Ed è su quest'assunzione che i carabinieri vogliono vederci chiaro, per diradare eventuali ombre. Un dossier è già stato inviato alla Dda. Altre due associazioni ambientaliste, Legambiente ("una leggerezza, quella del Wwf") e Mare vivo hanno subito smentito di avere alcun tipo di rapporto con Caruana e negato un qualsiasi coinvolgimento nell'assunzione del giovane Caruana. Come dire, chiedete al Wwf.
Puntuali escontati i sospetti, inevitabili le polemiche. La vecchia storia dei padri e dei figli. Così è stato anche per Riina padre e Riina junior. Ma il tema è delicato: il percorso dei beni confiscati, l'esigenza di controllare che il giro lungo non si vada ad arenare sulla spiaggia dalla quale si era partiti, ma anche il rispetto dei diritti di chi non può pagare solo per il nome. Il giovane Caruana non ci sta, e si fa sentire. Lo fa con una lettera inviata alle massime autorità dello Stato, soprattutto alla Procura della Repubblica. Si indaghi pure su di lui, non ha niente da nascondere, vuole solo cogliere n'occasione di lavoro. E se le indagini dovessero dare il risultato che il giovane Caruana rivendica, la richiesta è di essere lasciato in pace. A questo punto, a buon diritto.
"Io sottoscritto Leonardo Caruana - scrive il giovane - con disappunto e rammarico... al centro di una vicenda riportata dagli organi di informazione laddove si adombra il sospetto che l'assunzione del sottoscritto da parte del Wwf possa celare "un interesse della famiglia Caruana alla gestione di quella villa che una volta era di loro proprietà". Ricordando le polemiche di stampa, Leonardo Caruama scrive: "Nella società della comunicazione... si dimentica... di ascoltare la versione del cittadino che si ritrova come soggetto compromesso nell' immagine e nella legittima aspettativa di una vita dignitosa, ovvero occupata nel lavoro..." Il mio rapporto con Wwf - è il senso della ricostruzione fatta dalla lettera di Caruana - non è di oggi e non è legata alla villa che fu dei miei. Con il Wwf ho un vecchio rapporto, fatto di volontariato non retribuito.
Impegno "apprezzato, profuso in silenzio e senza padrini politici".Caruana junior non ci sta ad essere additato come "il figlio di boss impiegato presso il Wwf con celati intenti mafiosi" Per Leonardo Caruana, il lavoro in Wwf "è il naturale sbocco di una attività decennale". "Ognuno di noi - scrive il giovane Caruana - ha diritto all'identità, all'immagine, valori protetti dalla Costituzione Italiana che si intendono violati quando, sulla scorta di un garantismo manicheo, si indica un volontario "figlio di boss.".
"La legge naturale di Maritan che regola i rapporti di padre e figlio - si legge nella lettera - è diversa dal diritto positivo che regola il diritto al lavoro e la tutela della persona. Il sottoscritto non è mafioso, non è sottoposto a misure di prevenzione personale, ha una condotta di vita specchiata, non frequenta pregiudicati, è incensurato, rispetta la Legge, ripugna la mafia, ha scelto di vivere onestamente e quindi, consapevole delle difficoltà inerenti il cognome, si è costruito un percorso di vita modesto ma limpido e nonostante tutto è penalizzato con considerazioni fuori di luogo che ledono l'immagine e compromettono la legittima aspettativa di avere il rinnovo dell'incarico presso il Wwf.
Ragione per la quale - è la conclusione di Leonardo Caruana - se a causa delle polemiche montate sulla stampa, con sospetto tempismo e dal sapore politico, il sottoscritto non dovesse riavere il rinnovo sarebbe violato il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge oltre il diritto di avere una vita dignitosa e una retribuzione adeguata". Come dire, fate tutti gli accertamenti che volete, ma se sono pulito, tacete per sempre.

leggende urbane , morte , ed altre sciochezze


da   facebook Albero piegato dal vento, Yosemite National Park, California, c. 1940
Fotografia di Ansel Easton Adams (1902-1984)

Molti di voi  mi fanno i complimenti (  chi sinceri chi ruffiani )    e mi  vantano  per  le  storie  e  gli argomenti  che tratto nel blog o di conseguenza   , dove  ho configurato il mio  ( ma  anche  vostro    che mi leggetre  e che  ci scrivete  ) su  : 1)  facebook , twitter ,linkedin . 
Soggetto e sceneggiatura: Giovanni Di Gregorio
Disegni: Ugolino Cossu 
Copertina: Angelo Stano
Ma   a volte  la vita  è assurda  che spesso <<  le  spiegazioni  più assurde  sono anche le  più probabili  . D'altronde  è cosi   difficile   capire >> come giustamente  dice   Dylan Dog  in leggende  Urbane (  copertina  a destra  )   << cosa  esista  e cosa  no ... . >> A  vote  non mi ci raccapezzo , leggendo  storie  che  qui riporto  ,  neppure  io  che  possa succedere  cose  del genere  . Il fatto   che  certe cose  esistano o meno   non significa   che  possiamo  fare  come se  non esistessero . Noi  tutti   non siamo altro che lo specchio delle paure    e delle necessità  più  profonde  dell'uomo moderno  << Cosi come   >>   sempre  Dylan Dog  << in miti  antiche , le  favole , le tradizioni contemporanee  lo erano per i loro contemporanei . Viviamo  sulle vostre bocche  e nelle vostre orecchie   , nei libri  e  tra i canali televisivi [...] >>.L'umanità  ha  bisogno di racconti, e  farne  a meno  non  è semplice ed  quasi  utopistico,ecco perchè bufale  e catene  ( alcune simpatiche  , alcune noiose  e cattive perchè  come   nella  storia  di  Dylan  Dog    SPOILER   illudono i parenti  di un morto   SPOILER   ) , proprio come ha  bisogno di cibo e sentimenti .
Infatti  proprio mentre  scrivo questo  post  , mi è arrivata  una  email , vado  ad  aprirla  e  cosa  vi  trovo  la solita  catena  di  una vedeva  che  ha   ricevuto dal marito  una  reredità ,ma   lei  non ha  bisogno di tutti quei soldi e  vuole regalarteli  , ma  però per  poterli avere devi pagare  le spesse  bancarie   del conto  .Bah storia assurda    come se  non  fosse  sufficiente  la  dura  realtà  a rendere fole  questa  vita . Ma  << in fondo   la  vita  non è  altro   che una storia  senza  ne  capo  ne  coda   il cui finale  è  sempre   quello ed uguale per  tutti  
 Aveva  ragione Luigi Pirandello(1867-1936) le  assurdità della vita non hanno  bisogno di parer  verosimili  è perchè  sono vere  . 
Concludo  e  cosi rispondo  ad  un amico  che parafrasando una famosa  canzone   dei  Nomadi \ Guccini  si chiede  per la morte   di  un suo parente  : << vorrei sapere a che cosa è servito vivere,amare soffrire,spendere tutti i tuoi giorni passati se cosi presto sei dovuto partire (...)  >>


Caro   ***** . la  risposta  è  :1)   nel resto  nella  canzone in particolare   in questo verso  :<< voglio pero' ricortati com'eri  (....)  >>E poi tutti  presto o  tardi  dobbiamo purtroppo speriamo il più tardi possibile, morire  è destino  . Ma  solo le  storie  (  e  il ricordo delle  persone  care  e degli amici   o   dei nemici  )  non muoiono mai    quelle  vere , a volte   storie   speciali  per  gente  normale    storie normali per  gente  speciale per  parafrasare  un'altra  canzone   famosa    stavolta  De Andreiana  



 a volte    quelle finte  , assurde  e verosimili , quelle  tristi , allegre  ( come quella  che  ho riportato qui in un precedente post  )  non cesseranno d'essere  raccontate  o ( nel caso delle catene  e\o leggende  urbane-metropolitane  )  raccontante  nel  web e  tramite il vecchio metodo del passaparola  .  Le   ritroveremo  ancora  , leggermente  cambiate  o sempre  uguale  a se stesse  pronte , chi sa  a raccontarci nuove  emozioni  o incazzature   arrabbiature  e magari  ad  essere    messe  o  in musica  o  raccontate  come  ha  fatto  La  storia  di  Dylan Dog   citata  in questo  post  .  

basta essere omonimi di Beppe Grillo è la pagina sul social network è diventata inaccessibile perché sommersa da valanghe di messaggi e da centinaia di richieste di amicizia indirizzate al comico-politico

la  vita  è fatta  di cose  starane   .Eccone una   da  repubblica  online del 3\3\2013

"Facebook è diventato un inferno
perché mi chiamo Giuseppe Grillo"

L'omonimo del leader di M5s è un impiegato 39enne di Milano la cui pagina sul social network è diventata inaccessibile perché sommersa da valanghe di messaggi e da centinaia di richieste di amicizia indirizzate al comico-politico

di LUCIA LANDONI



Lo ammira e la settimana scorsa gli ha dato il suo voto, ma non è certo disposto a regalargli il suo profilo Facebook e la sua vita sociale, almeno quella che passa attaverso il web: Giuseppe Grillo, impiegato 39enne, è abruzzese d'origine ma ormai da anni milanese d'adozione e - ci tiene a ribadirlo - non ha nulla a che fare con il fondatore del Movimento 5 Stelle, ma negli ultimi giorni sta scoprendo quanto possa essere difficile convivere con il nome che porta.
Giuseppe Grillo con la moglie

"Seguo Grillo fin dai tempi in cui era ancora solo un comico e finora questa omonimia era stata persino piacevole - racconta - Ma dalle elezioni la situazione sta diventando decisamente difficile da gestire".
Da quando il voto ha segnato il trionfale ingresso del Movimento 5 Stelle in Parlamento, la pagina Facebook di Giuseppe Grillo è stata subissata di richieste di amicizia - "400 solo negli ultimi tre giorni" - e complimenti, andando in tilt. "Sul mio account, a cui per inciso non riesco più ad accedere, avevo già specificato di non essere il famoso Grillo - continua - Tra l'altro, lui su Facebook è registrato semplicemente come Beppe. Eppure non è stato sufficiente".
Del resto, l'esperienza di Giuseppe Grillo sul social network è sempre stata connotata dall'ingombrante presenza del celebre omonimo: "I miei amici mi chiamano da sempre Peppe e quindi quando mi sono registrato su Facebook, ormai tre anni fa, ho pensato di usare quel soprannome e di iscrivermi come 'Peppe Grillo' - spiega - Ma poi, proprio  temendo confusioni con il Grillo nazionale, ho optato per il nome per esteso. E' servito a ben poco". Non appena la sua identità virtuale ha debuttato sulla rete, è iniziata la raffica di richieste d'amicizia - "molto più numerose di quelle ricevute da tutti i miei conoscenti" - e in seguito, con l'intensificarsi dell'impegno del comico genovese in politica, sono arrivati i messaggi di sostegno e incoraggiamento, provenienti da tutta Italia.
"Senza volerlo, ho avuto l'opportunità di svolgere una piccola indagine sociologica, raccogliendo i pensieri e le proteste di tanti connazionali - prosegue - Mi scrivono cose tipo 'Continua così' o 'Mandali tutti a casa questi buffoni'. E sono rimasto molto colpito dal fatto che non ho mai ricevuto insulti. Sempre e solo manifestazioni di grande apprezzamento". Dalla sua posizione di osservatore privilegiato del popolo dei grillini, Giuseppe aveva previsto il successo del Movimento 5 Stelle alle elezioni, ma non se lo sarebbe mai immaginato così travolgente: "Sto addirittura pensando di candidarmi anch'io la prossima volta - scherza - Ormai godo di una grandissima popolarità, anche se di riflesso".
Nel frattempo ha scritto a Facebook, nel tentativo di recuperare la propria identità sulla rete: "Credo che il problema non sia solo mio, ma di tutti gli omonimi di Grillo - conclude - Sto aspettando che mi facciano sapere qualcosa sulla possibile soluzione del problema. Sono anche disposto a cambiare account. Voglio tornare ad essere semplicemente Peppe".

2.3.13

Cecilia, 4 anni, in attesa di un trapianto ha potuto riabbracciare nella sua stanza del “Regina Margherita” il suo Black Torino, il cane di famiglia ammesso in ospedale strappo alle regole per una bimba cardiopatica

Speriamo  che  caèpitano  più  spesso queste eccezioni \  strappi alla regola   e che  diventi  la  norma   .
 
fonte   repubblica  del  2\3\2013 
di  VERA SCHIAVAZZI
TORINO 
C’è un attimo magico  quando gli occhi di Cecilia, 4 anni, incontrano quelli di Black,7 anni presunti. La bambina cardiopatica che da dodici mesi vive grazie a un cuore artificiale è seduta nella sua stanza bianca e  piena di macchine e ha davanti un tavolino di plastica rosso della sua taglia, con sopra i pezzi di un  puzzle. Il cane, un meticcio nero col pelo ruvido e le zampe bianche, mite e un po’ timido, è il suo cane, quello con cui Cecilia è cresciuta insieme alla sorellina Sofia, pettinata come lei,che le siede accanto come in tanti altri giorni passati in ospedale.

E il luogo è la stanza 18 del reparto di cardiologia del Regina Margherita di Torino.E’ la prima volta che un cane “forestiero” sale sull'ascensore di un grande ospedale ed entra in una camera sterile. Altri cani prima di lui hanno giocato all'esterno con i piccoli ricoverati o li hanno aiutati a reimparare a camminare nel reparto di ortopedia:erano però i quattro “specialisti” della pet therapy, addestrati e selezionati. Black no,Black è il cane di famiglia, quello che viveva già in casa con Maria e Guillermo, i genitori di Cecilia,
e con Sofia, la primogenita. Da mesi Cecilia chiedeva di vederlo,e giovedì papà e mamma le hanno detto «domani ci sarà  una sorpresa». Ieri all’una la sorpresa è arrivata sulle sue quattro zampe, il cane e la bambina si sono  riconosciuti con uno sguardo,si sono parlati e capiti in un linguaggio sconosciuto agli adulti umani, poi Black si è accucciato ai piedi del tavolino, un po’ disturbato dai flash e dagli  sconosciuti che si davano il turno nella piccola camera di ospedale.
Un po’ disturbata lo era anche  Cecilia, che però ha mostrato tutta la sua forza: sorrisi, carattere e humour, come quando  ha chiesto una ciotola d’acqua  per il suo cane, o gli ha raccomandato di non sporcare per terra.I genitori - Guillermo italiano di origini guatemalteche, e Maria - sono entrambi infermieri a Pinerolo, 40 chilometri da Torino.
Quando alla loro seconda figlia è stata diagnosticata una grave patologia cardiaca, la bimba aveva soltanto otto giorni di vita. La loro è una storia di dolore e di speranza, uguale a quella di tante altre famiglie, ma vissuta col coraggio speciale di chi conosce la malattia e la lotta per sopravvivere. Non hanno paura dell’ospedale, hanno chiesto e ottenuto che anche Sofia possa restarci a dormire, due o tre volte al mese, per portare la casa dentro la camera numero 18 e le risa tra bambine che ieri si sentivano a ogni movimento del cane, a ogni scatto dei flash.
 Loro fanno i turni a Pinerolo per poi correre al Regina Margherita e condividere l’attesa del trapianto che guarirà Cecilia, un giorno dopo l’altro. «E’ stata dura per noi ottenere la legge 104 -- racconta Guillermo riferendosi ai permessi ai quali hanno diritto i familiari di un malato grave -- ma ce l’abbiamo fatta. Ora speriamo che arrivi il trapianto. 
A mia figlia serve il cuore di un bambino, e non c’è ancora abbastanza conoscenza e sensibilità su questo tipo di donazioni.Lo capisco: quando il cuore di un bambino batte ancora, anche se c’è morte cerebrale, è difficile dire sì all’espianto. Ma guardatela, guardate come è serena, sveglia e tranquilla, nonostante tutto. Non vorreste farla vivere?».

non è vero che l'ozio\ il cazzeggio sia cosi negativo

da  http://www.lospiffero.com/attico

Il cazzeggio è un’arte

Scritto da Elisabetta Stefanelli
Pubblicato Domenica 24 Febbraio 2013, ore 7,00

Non bisogna sentirsi in colpa per aver rimandato a domani una cosa importante. Un filosofo spiega perché i rimandatari cronici sono individui produttivi ed efficaci, il cui potenziale può essere migliorato stimolando proprio la loro tendenza a “non fare”.

“Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi”, è un vecchio adagio che spesso ci siamo sentiti ripetere, ma molti di noi lo hanno trovato e continuano a trovarlo incomprensibile. Perché non farlo domani? Sono i procrastinatori di professione, una folla impressionante di persone che non è detto non raggiunga o abbia raggiunto il successo, non si tratta di fannulloni ma di uomini e donne che di fronte ad una scelta netta vorrebbero sempre poter applicare l’arte della fuga. Ora in un delizioso libretto di stile anglosassone che attrae già dall'ossimoro del titolo, La nobile arte del cazzeggio, John Perry colto professore emerito di filosofia alla Stanford University e co-conduttore del programma radiofonico Philosophy talk, cerca di analizzare questo modo di essere e di trovare delle razionali soluzioni per gestire al meglio le situazioni di difficoltà che pure possono nascere dall’eterno procrastinare.
Funziona, spiega Perry, che ci viene dato un compito da svolgere, ci vengono dati dei tempi da rispettare e noi accettiamo. Poi iniziano a scattare le fantasie, immaginiamo di portare a casa quel compito in tempo brevissimo e in modo perfetto, impeccabile, con un risultato utilissimo e meraviglioso per chi ce l’aveva richiesto. Ma per raggiungere quel risultato ci mancano una serie di obiettivi intermedi che iniziamo a cercare in una indiscutibile ossessionante perfezionismo. 
“Secondo me - non nega Perry - è il perfezionismo a produrre la tendenza a rimandare”, anche se mai un procrastinatore di professione in realtà si sente un perfezionista perché “crediamo - erroneamente - che essere un perfezionista significhi avere portato a termine qualche volta, o almeno una, un incarico alla perfezione, ma in realtà questo equivoco è alla base della mancata comprensione delle dinamiche del perfezionismo”. Allora, per rendere meno spaventoso il compito da portare a termine, per il professore bisognerebbe ad esempio scomporre obiettivi che potrebbero intimidirci in altri più piccoli, meno scoraggianti, ed “è cruciale in quelle occasioni - rare ma davvero tremende - in cui il sistema della procrastinazione strutturata va in crisi”. E in questo, a suo avviso, è utilissimo internet, sempre che non ci perda dietro a mille ricerche intermedie. Non bisogna però alla fine pensare che procrastinare sia una virtù, perché “è un difetto”. L'obiettivo, aggiunge “non è elaborare una filosofia di vita che faccia dei procrastinatori degli eroi”.


John Perry
La nobile arte del cazzeggio
Un programma geniale per risolvere tutto rimandando all’infinito
Sperling & Kupfer, Milano 2013, pp. 146, € 15,00

1.3.13

anche un piccola cosa può essere rivoluzionaria in un paese troppo abitudinario

Questo post  è dedicato  a  tutti\e  coloro  che  dicono  che  non cambio  mai  .  E pretendono che cambi tutto subito   quando il cambiamento (  è questo articolo  lo dimostra )  è , specialmente  quando  si è molto abitudinari e refrattari  ,  è lento   e graduale . Vi faccio  l'esempio  ,  che mi  fa  il mio analista  ,   immaginate  una pentola    piena  d'acqua  sul   fuoco  ,  all'inizio  non succede  niente , poi una  prima molecola si libera  , poi un altra poi  un altra  ancora  ,  cosi s'arriva  al punto  d'ebollizione  dell'acqua  .

La  canzone    in sottofondo   THE TIMES THEY ARE A CHANGIN'  di bob  dylan    ( qui il testo con traduzione  ) lo dimostra   . Ma  ora  bado alle ciance  ed  ecco a  voi l'articolo di cui intendevo parlarvi

da  repubblica  del  28\2\2013


Per la prima volta da un
decennio, una ricerca federale certifica che
i ragazzini assumono meno calorie: l’America
può vincere la battaglia contro l’obesità


NEW YORK
LA VITTORIA ora è piccola,ma la certezza della matematica autorizza a celebrarla: per la prima volta negli ultimi dieci anni una grande ricerca federale prova che i ragazzini iniziano ad ingurgitare meno calorie. Un’inversione di tendenza per gli Stati Uniti.

Un’inversione di tendenza,racconta il New York Times, che non significa aver già sconfitto il nemico
ma è la prova che il timone ora punta sulla rotta giusta, anche se un transatlantico (come il popolo
americano) ha bisogno di tempo e di un equipaggio numeroso per virare.
I numeri prima di tutto. Per i ragazzi le calorie sono calate del 7per cento dal 1999 al 2010 portandosi
a quota 2100. Le ragazze le hanno ridotte del 4 per cento con una razione giornaliera di 1.755.
Dati migliori per i maschi tra i due e gli undici anni, mentre le teen-ager sono le più brave nelle rinunce. Tra i gruppi etnici vanno bene i bianchi e gli afroamericani, mentre gli ispanici sono ancora in ritardo.Ma la cosa che ha colpito l’attenzione dei ricercatori non sono tanto i dati aritmetici ma la loro qualità.
Infatti la frenata delle calorie è legata alla riduzione di carboidrati e zuccheri: il famigerato zucchero,
che invade in dosi massicce merendine,snack e bevande gassate,il principale imputato del vertiginoso
aumento dell’obesità infantile negli anni scorsi.
«Le cifre sono ancora troppo piccole per far festa, ma provano senza dubbio che c’è una trasformazione
importante in atto», dice la docente di scienza alimentare Marion Nestle (il destino nel nome) che ha curato insieme ad altri la ricerca. In molte città prese inesame il calo si nota ancora di più e,se la media nazionale resta bassa, i focus sulle singole aeree danno risultati molto più marcati.
«La cartina è a macchia di leopardo: ci sono posti come New York dove le statistiche sono incoraggianti e altri dove invece siamo ancora indietro con il lavoro»: dice in un’intervista al New York Times Brian D. Elbel della Nyu che ha studiato a lungo il lavoro dei colleghi.
Poi aggiunge: «Quel che conta è  che abbiamo iniziato a muoverci.Questo è l’aspetto più forte, quello
che ci deve far sperare».Ed è più culturale che scientifico l’altro dato che ha stupito positivamente
i ricercatori: il calo delle calorie consumate dagli adulti americani nei fast food: «Siamo passati dal 12,8 per cento all’11,3. E sono gli uomini e le donne tra i 40 e i 59 anni ad avere cambiato per primi
le loro abitudini», spiega Cynthia L. Ogden che ha guidato lo studio condotto con sondaggi
in tutto il paese.
È proprio sulla rivoluzione culturale che Michelle Obama punta per vincere la crociata che si è scelta
tre anni fa quando ha lanciato il suo manifesto per la salute e la corretta alimentazione, Let’s Move. E
ora nel terzo anniversario del programma parte in un viaggio di due giorni per festeggiare i primi risultati e dar loro nuovo impulso. Un tour che, non a caso, passerà dal Mississippi dove grazie a regole innovative  sull’alimentazione e alla  nuova campagna l’obesità infantile è calata del 13% dopo essere stata a livelli record. Ma la First Lady non si ferma e in questi giorni domina completamente la scena (Oscar a parte): video su youtube dove ride e scherza con Big Bird,l’uccello giallo dei Muppets. Apparizioni televisive come l’ormai virale «nuova danza della mamma» nello show di Jimmy Fallon. Un accordo firmato nei giorni scorsi con le più grandi società di media americane a Condé Nast a Hearst che si sono impegnate a dare risalto sui loro siti tutte le notizie di Let’s Move.
E, ovviamente, interviste televisive (che il Washington Post riassume in un blog) usate per ribadire la
propria filosofia: «Dobbiamo impiegare il nostro tempo per insegnare  ai bambini e ai ragazzi l’importanza del mangiare sano, del mangiare bene. Dobbiamo spiegarlo ai genitori, partire da loro. Incoraggiare il movimento, l’attività fisica. Dobbiamo essere consapevoli    che una giusta alimentazione oltre ad essere vitale per la salute ti  dà la possibilità di ottenere ottimi
risultati a scuola, nelle università ed avere così un futuro migliore.
Stiamo tutti lavorando per questo e la cosa che mi rende felice è vedere che arrivano i primi risultati, che la tendenza si è capovolta e che possiamo sperare di fare un grande regalo ai nostri figli».
Ma nel paese dove il 35,7 per cento della popolazione è obesa e soprattutto nel paese dove i numeri
sono dollari (per capire: gli americani spendono circa 168 milioni nei fast food), la “rivoluzione culturale”ha ancora molta strada da fare.
E qualche ostacolo da superare.A partire dalle giganti che dominano il mercato alimentare, fotografati
in maniera spietata e documentata nel servizio di copertina del magazine del New York Times.
La scena è da film: fila di limousine nere, i manager più potenti (dalla Nestlé alla Procter&Gamble)
tutti assieme nella stessa stanza più o meno segretamente per discutere su come affrontare i pesanti
e sempre peggiori dati sull’obesità. Lunghe discussioni. Proposte.Analisi tecniche e ore di grafici
proiettati sugli schermi del meeting.Interventi choc come quello del vicepresidente della Kraft Michael
Mudd che, facendo allibire tutti i presenti, paragona la loro situazione a quella che hanno dovuto
affrontare le aziende produttrici del tabacco. Il risultato della riunione ? Zero, nessuno. Anzi l’opposto
delle premesse: studiare con sempre maggior perizia, unendo scienza e psicologia, come catturare
quote ancora maggiori di mercato,come “spartirsi al meglio gli stomaci”. La data della riunione?
L’8 aprile del 1999. Quattordici anni sprecati sulle pance degli americani e non solo.
Quattordici anni sono dovuti passare perché anche in questo campo qualcosa inizi a cambiare. E infatti
adesso alcune big company stanno cominciando a modificare strategia e atteggiamento e trasformano
piano piano i loro prodotti.L’ultima invenzione è uno snack la cui confezione e pubblicità sembra quella di un junk food:in realtà è una carota.Per la gioia di questi bambini e bambine che ballano felicemente scoordinati. Cantano rap e vecchi musical insieme agli attori di Broadway messi insieme da Helen Butleroff Leany, l’ideatrice del progetto (ovviamente benedetto da Let’s Move). Una donna piccola,quasi spersa in mezzo a tanta energia,ma con un’idea che forse così visionaria non è più: «È incredibile vedere come reagiscono i ragazzi.Prima si divertono ovviamente in maniera inconsapevole, poi capiscono e diventano parte attiva dello spettacolo. Ma soprattutto spiegano ai genitori  cosa  hanno imparato e cambiano dieta. Io torno spesso nelle stesse scuole ed è incredibile vedere il riscontro positivo che trovo. Più della metà mi raccontadi aver scoperto quanto siano buone frutta e verdura».Sul palco le due attrici bambine si svegliano dal loro sogno incantato: «Vuoi andare a giocare a basket? », chiede la più piccola all’altra. «Certo, basta patatine. Muoviamoci ». E fuori dalla scuola di fianco al muro di mattoni rossi il campo in cemento è pieno di ragazzi che sfidano il freddo a colpi di canestro. Helen si incammina veloce verso la metropolitana sorridendo piano.

intervista a Roberto Chiapella autore della prima biblioteca di condominio

 Mi ha  molto  stupito  l'iniziatica  di Roberto Chiapella e Mario Mura    perchè pur  nella  sua   semplicitàè  una di quella  cose  che  fra  dire  ed  il fare  c'è di mezzo il mnare  . Infatti  << Ci sono posti di cui ti innamori a prima vista. E magari capita in un sabato mattina in cui non hai tanta voglia di fare, ma hai deciso che saresti andata sul posto, avresti visto com'è perché “dal vivo è sempre meglio”.Poi ti ricredi e non solo perché sei circondato da libri, ma perché l'atmosfera che si respira è a metà tra quella del bar sotto casa dove vai da anni e quella di una casa vera e propria. Ed invece è una biblioteca, nata all'interno di un condominio milanese, in via Rembrandt 12, in una zona, che, come racconta Roberto Chiapella, racchiude ancora al suo interno tanti aspetti di quella che era la vecchia Milàn .[...]>> (  continua  qui )  . Ed  ecco   che  ho deciso  di fare mie 
l'emozioni   suscitate  dalla   vicenda  di  via  Rembrandt 12   e  da   questi  due   film  :  1) condominio  1990  di REGIA: Felice Farina SCENEGGIATURA: Felice Farina, Paolo Virzì, Francesco Bruni, Gianluca Greco .,  2 )  Il riccio (Le Hérisson), liberamente ispirato al testo   L'eleganza  del riccio -- ne trovate la copertina  a destra  -- di Muriel Barbery , Diretta da Mona Achache, 3)  le opere letterarie  non ancora lette  di   :  Il senso dell’elefante di Marco Missiroli, finalista al Campiello 2013. Oppure   se preferite uno sguardo femminile, Le luci nelle case degli altri di Chiara Gamberale.
Ebbene  ho deciso  di  bloccare  le mie  emozioni  ,  che    sono evidenti  anche  se  non   appaiono subito all'occhio   , espresse nel mio  post  precedente   :  nasce la prima  biblioteca  di condominio (reprise) ho deciso dìintervistare  via  web  Roberto Chiaparella  


 a  giuseppe scano" <redbeppe@gmail.com>
Ogetto Re: intervista per http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com

 1) la tua proposta nata << Quasi per caso. E adesso nel suo palazzo, al posto della portineria, c’è la prima biblioteca condominiale di Milano.>>( http://standbymi.wordpress.com/2013/02/19/biblioteca-condominio-via-rembrandt-12/ ) è piaciuta subito a gli altri condomini ohaiavuto qualche resistenza o titubanza ?

E' piaciuta a parecchi che hanno poi contribuito dando dei libri,altri sono restati indifferenti e credo lo siano anche ora,persone indifferenti croniche a tutto cio' che accade intorno,penso a una patologia.

2) c'è stato qualche ripensamento tra i condomini che hanno opposto resistenza e\o se ne sono fregati ?
Questa e' una risposta difficile da dare perche le persone mutano i loro pensieri e le loro idee con il chiacchiericcio e il pettegolezzo che condito con un po' di cattiveria potrebbe cambiare aspetto.in poche parole il tempo ci dara' la risposta.Nel caso i mutamenti li publichero
3) il proprietario dello stabile come l'ha presa ? 
siamo tutti proprietari,e' un condominio 
4)) come fate a sapere a chi prestate un ( magari di più ) libro a quelli che non sono del condominio? Li scriviamo per ora  su un registro,se il tutto si evolvera'come spero useremo un compiuter. 
5) ) avete anche libri scolastici e per bambini e fumetti ? Qualche libro scolastico,un po' per i bambini,e qualche fumetto che se ne volessimo arriverebbero a valanghe.
 6 ) tra il pubblico solo anziani e vecchi o anche giovani d'età scolare e non ?
Piu' anziani o di mezza eta' che giovani,forse hanno poco tempo o sono distratti da altre cose.Pero' se vai nelle grandi librerie pullulano di giovani quindi e' difficile dire il perche. 7) per chi decidesse di seguire il vostro esempio qual'è l'iter burocratico \ aministrativo che si deve seguire ?
Prima lanciare l'idea,vedere se piace,cominciare a costruirla perche' solo cosi' hai il termometro della situazione.Dopo segue la nota dolente(la temuta assemblea di condominio,dove per fare entare gli esterni ci deve essere unanimita',per chi ci abita la meta'piu' uno)questo sara' lo scoglio che  troveremo il 14 marzo.Certi che troveremo chi non e'contrario ma abbiamo fede.
8) come organizate i turni d'apertura e di chiusura ?
Nel pomeriggio ci facciamo trovare per ora,dopo l'assemblea decidero gli orari in base alle decisioni.9) qualcosa d'aggiungere e\o da retificare ?E' stata una iniziativa che non pensavo avesse un'impatto straordinariamente mediatico,a me' che l'ho diciamo ideata mi sembrava una cosa normale  costruire un luogo dove gli inquilini del palazzo potessero trovarsi per socializzare tra' di loro,quindi i libri sono stati un veicolo straordinario,abbiamo organizzato anche cose per i bambini dello stabile con successo.Tutto questo clamore intorno a noi a attirato l'attenzione  anche a livelli alti,quindi chissa'!Spero di essere stato  esaustivo.In tutti i casi sai dove trovarmi.Continua a seguirci perche penso che ne vedremo delle belle. 

28.2.13

bari "Una sepoltura anche per gli embrioni" scontro sul cimitero dei bimbi mai nati

ho già  chiarito  le mie posizioni  sul'aborto e  sulla procreazione  assistita  \  sull'embrione  ( vedere  archivio blog  o  cercate   quando aprite il blog  diretto  con il motorino di ricerca  )  . Ma   qui pur  dando ragione  al medico \  ginecologo  : <<  Una cosa ridicola  -  la bolla subito Aquilino  -  perché prima dei 90 giorni il prodotto abortivo non è fisicamente individuabile, ma è composto da liquido amniotico, embrione e corion. Non sappiamo come comportarci con le interruzioni mediche perché in quel caso di solito le donne espellono il materiale nel water. Come facciamo a raccoglierlo? È ridicolo, soprattutto perché si considerano degli embrioni al pari di bambini". >>.non mi sento  di proibire   una  cosa  del genere ( vedere  articolo sotto ) 
  fonte  repubblica  di bari  27\2\2013

"Una sepoltura anche per gli embrioni"
scontro sul cimitero dei bimbi mai nati

A Monopoli le donne devono firmare il consenso per seppellire i feti espulsi prima dei 90 giorni: polemiche per la convenzione con il Movimento per la vita. Il primario: "Non si può applicare" 
di ANTONELLO CASSANO


"La sottoscritta, presa visione del protocollo di intesa acconsente al 'seppellimento' del proprio prodotto abortivo". È quanto recita il Consenso al "Seppellimento dei bambini mai nati", il documento che, a partire da gennaio, ogni donna che abortisce nel reparto di ginecologia e ostetricia dell'ospedale San Giacomo di Monopoli, è obbligata a firmare per dare o negare il consenso al seppellimento del feto in una zona riservata del cimitero di Monopoli. Nel giro di un mese già sette donne hanno praticato l'aborto al San Giacomo e hanno firmato il Consenso informato. Tra queste anche delle minorenni. 

Una manifestazione anti abortista 

Il progetto è noto fin dal maggio dell'anno scorso. Il nostro giornale riportò la notizia di un contestato protocollo d'intesa tra Comune, Asl di Bari e Movimento per la Vita ( associazione cattolica antiabortista ) promotrice del progetto) per riservare uno spazio nel cimitero Romani ai feti con più di 40 settimane, frutto di aborti spontanei o terapeutici.                         E fin qui nessuno problema. "Nelle interruzioni terapeutiche per malformazioni oltre il terzo mese  -  dice il primario del reparto di ginecologia e ostetricia, Pasquale Aquilino - la donna vive l'interruzione come un vero e proprio lutto che in alcuni casi è necessario elaborare tramite il rituale del seppellimento, che viene richiesto ed effettuato senza problemi".Ora però su ordine della direzione sanitaria dal 26 gennaio scorso il cimitero non accoglierà solo i feti con più di 40 settimane, ma tutti i prodotti abortivi, anche quelli prima dei 90 giorni. "Una cosa ridicola  -  la bolla subito Aquilino  -  perché prima dei 90 giorni il prodotto abortivo non è fisicamente individuabile, ma è composto da liquido amniotico, embrione e corion. Non sappiamo come comportarci con le interruzioni mediche perché in quel caso di solito le donne espellono il materiale nel water. Come facciamo a raccoglierlo? È ridicolo, soprattutto perché si considerano degli embrioni al pari di bambini".La disposizione della direzione amministrativa è chiara e stabilisce compiti e orari. Nell'articolo 1 si descrive l'esistenza di un contenitore fornito dal "Movimento per la vita" con tanto di coperchio e chiusura ermetica che contiene gli aborti. Questi contenitori vengono trasportati nel cimitero del paese "ed ivi conservati secondo la normativa vigente". Poi saranno i volontari del movimento a provvedere al ritiro dei contenitori "ogni 25 del mese". "Ho cercato di manifestare tutti i miei dubbi al riguardo  -  afferma ancora Aquilino  -  ma non c'è stato niente da fare. Dovrebbe intervenire l'Asl di Bari". 
la  situazione  è facilmente  risolbile  , cosi sin tagliano  la  testa al toro ,  basterebbe  che il  comune  è  la  asl  aplicassero lo stesso regolamento    cioè  far  scegliere  alle  donne  \ ragazze   che   siano  ricoverate o che si  rivolgono al consultorio   per  abortire  prima  dei  90 giorni   se   firmare  il    foglio del consenso\assenso      ( perchè per  un aborto  , almeno  che non si vada   ancora   dalle mammane   o in ambulatori clandestini  )    a   depositare   il "  risultato "  dell''aborto precedente a tale  data   e  seppellirlo  come uin normale  aborto  . 


27.2.13

Occasione

Il mondo è un ragazzo
spettinato, glabro,
che scruta
con occhi curiosi
acrobazie di case,
veloce nell'aria gelida
d'un mattino senza libri.
Le piazze, corpi deserti,
s'aprono a piedi
anelanti di gioventù.


(Foto: Stefania Palma)

26.2.13

nasce la prima biblioteca condominiale ( reprise )

Poiché  copiare  il file  da repubblica  repubblica  sera   crea  uno scompaginamento del template    ho cancellato il post precedente  . Ma   potete  o  saperne di  più      tramite  la loro pagina facebook  o  scrivendo alla loro email bibliorembrandt12@gmail.com Oppure leggendo  gli articoli   qui   sotto  in una versione più leggibile  ed  eventualmente  citabile   (    copia &incolla )  da uno dei tanti    forum online  più precisamente  questo     http://lariserva.forumcommunity.net/?t=53758801


biblw



Una portineria in disuso attrezzata con scaffali, poltrone e una macchinetta automatica del caffè per rendere più piacevole la lettura. Con gli inquilini di otto piani di appartamenti a darsi il turno per gestire mille libri arrivati da mezzo quartiere. Fra schedature, registri per segnare i volumi in prestito e scadenze da far rispettare.


bibl1



È la prima biblioteca di condominio, in via Rembrandt a Milano, gestita in tutto e per tutto dalle 72 famiglie che vivono nella palazzina e aperta anche al pubblico. "Tutto è nato per caso tre mesi fa - racconta Roberto Chiappella, 66 anni, che abita al sesto piano da quarant'anni - quando abbiamo trovato una decina di libri praticamente nuovi buttati per terra accanto a un bidone della spazzatura".


bibl2



I volumi sono stati trasportati nel vecchio bilocale della custode al pianterreno - ormai disabitato da quando in assemblea si è deciso di prendere un portinaio a mezzo servizio - in attesa di una nuova collocazione. E lì, ecco l'idea: "Nei condomini ci sono dinamiche strane che tutti conosciamo - prosegue Chiappella - si può vivere per anni a pochi metri di distanza senza scambiarsi nemmeno una parola. Volevamo tutti trovare anche il modo di condividere qualcosa, di avere uno spazio per socializzare". E allora, perché non realizzare una biblioteca di condominio? Il via libera al nuovo uso della portineria è arrivato all'unanimità. E i dieci volumi 'salvati' sono stati solo il punto di partenza, come mostrano queste immagini. Prossimo passo: aprire la struttura all'intero quartiere

Tiziana De Giorgio per Repubblica




cattura  immagine dalla  galleria di
 http://milano.repubblica.it/cronaca/2013/02/02/
Ci sono posti di cui ti innamori a prima vista. E magari capita in un sabato mattina in cui non hai tanta voglia di fare, ma hai deciso che saresti andata sul posto, avresti visto com'è perché “dal vivo è sempre meglio”.

Poi ti ricredi e non solo perché sei circondato da libri, ma perché l'atmosfera che si respira è a metà tra quella del bar sotto casa dove vai da anni e quella di una casa vera e propria. Ed invece è una biblioteca, nata all'interno di un condominio milanese, in via Rembrandt 12, in una zona, che, come racconta Roberto Chiapella, racchiude ancora al suo interno tanti aspetti di quella che era la “vecchia Milàn”.

Chiapella, ( foto  a sinistra   presa  da   repubblica   edizione  di milano )  insieme a Mario Mura e altri abitanti del palazzo che risale agli anni ‘50, ha avuto la bella idea di creare una vera e propria biblioteca al piano terra di un condominio. Se vi rimanda a qualche articolo che avete letto in cui si dice che a New York si fa così per rendere più appetibili le case da comprare, sappiate che siete assai lontani dal vero. 

O meglio, l’idea ha poco a che fare con il mercato immobiliare, anzi come spiega Roberto: "Il nostro obiettivo è di creare relazioni, incentivare i rapporti veri non solo tra i condomini, ma anche tra chi si trova a passare da qui. Neanche sapevamo cosa si fa in America... Se ci pensa, tante gente che vive nello stesso condominio non si conosce… E se c’è chi in effetti, per indole, temperamento, magari non ha voglia di andare oltre il saluto, c’è chi si ritrova qui a scambiare quattro chiacchiere ben volentieri.  Il libro è solo un veicolo, uno strumento", mi dice mentre siamo seduti al tavolo della stanza arredata con mensole piene di volumi (1400 finora quelli a disposizione, una trentina quelli presi in prestito), alcune realizzate dagli stessi condomini, in altri casi recuperate qua e là.


Del valore ancora attuale dei libro Chiapella era convinto anche due mesi fa quando ha cominciato a pensare di creare questo spazio comune. Colpa o merito di chi ha buttato dei testi in un cassonetto: “Li ho trovati, li ho recuperati e così è nato il tutto. Ho coinvolto lui (indica Mura seduto con noi al tavolo) e gli altri condomini e così questa ex casa del portiere è diventata una biblioteca condominiale”. L’unica a Milano e dintorni. Tra libri trovati in un cassonetto a quelli recuperati tramite i condomini, ma anche gente che viene da fuori, questo spazio non ha niente da invidiare alle biblioteche “tradizionali”. 

“Il prestito è gratuito e dura un mese, ma è possibile anche rinnovarlo” continua Roberto, guardandosi intorno. “I libri sono tutti catalogati per tipologia, anche se abbiamo per lo più romanzi. D’altronde è questo ciò che la gente legge con più piacere”. 

La biblioteca è ancora in forma “embrionale”. “Essenzialmente è aperta agli abitanti del palazzo, ai vicini e alla gente che conosciamo o che qualcuno di noi conosce, gli orari saranno resi noti dopo l’assemblea condominale, nel frattempo visto che la portineria è aperta solo la mattina diciamo che questo è il momento in cui possiamo assicurare il prestito.


trattitiva con la mafia ante litteram un inedito di Leonardo sciascia sulla mafia SULLAMAFIA L’INEDITO DI SCIASCIA UN SAGGIO DIMENTICATO PER CAPIRE COSA PENSAVA DAVVERO LO SCRITTORE SU COSA NOSTRA

  fonte  il  venerdi  di repubblica  n 1301  del 22  febbraio  2013  

UN SAGGIO DIMENTICATO PER CAPIRE COSA PENSAVA DAVVERO LO SCRITTORE SU COSA NOSTRA.
RIEMERGE UN SAGGIO DEL 1972 NEL QUALE LO SCRITTORE DI RACALMUTO RACCONTAVA
I RAPPORTI TRA POTERI PUBBLICI E POTERI ILLEGALI. QUASI UNA PREISTORIA
DELLA FANTOMATICA «TRATTATIVA», OGGI AL CENTRO DI CRONACHE E POLEMICHE

PALERMO. La storia della mafia di Leonardo Sciascia  (  foto a  destra )  fu pubblicata nel 1972 nella mondadoriana rivista Storia illustrata.
Da allora era dispersa. Appena 35 pagine, che diventano 65 con l’intervista di Giancarlo Macaluso a Stefano Vilardo (amico di Sciascia dal ‘36) e un’analisi di Salvatore Ferlita. L’operazione di recupero la si deve alla casa editrice Barion, resuscitata dalla «pancia» della storica
Mursia. È un tesoro nascosto.Sciascia, anzitutto, scopre nel suo studio che la parola mafia già appare nel primo vocabolario siciliano di Traina (1868) come importata dal Piemonte, sulle ali della spedizione
dei Mille di Garibaldi. Tuttavia, spiega lo scrittore, per lo studioso di tradizioni popolari Giuseppe Pitrè era solo «una ipertrofia» dell’ego ribellista. Poi arriva Giuseppe Rizzotto. Nel 1862 scrive I mafiosi di la Vicaria (una prigione di Palermo) e la mafia diventa «associazione».
Ma, annota Sciascia, sarà un procuratore,Alessandro Mirabile, che nelle sue requisitorie parlerà di  setta».Sciascia, a questo punto, sottolinea:«Alcuni, anche in buona fede,credono che applicando la parola
alla cosa si tenda a creare un pregiudizio». È ingiusto,affermano costoro, che a Milano una banda di rapinatori sia una semplice banda, mentre in Sicilia diventa cosca («la cosca» ricorda «è la corona
di foglie del carciofo»).

Sciascia, su questo, è netto: «La parola mafia è stata applicata alla cosa, o la cosa  ha preso quel nome, in forza di una distinzione  qualitativa... questa distinzione già vien fuori nel 1838 da una relazione di
don Pietro Ulloa, allora procuratore generale a Trapani». E cosa scrive Ulloa nel 1838? Parla di «oscure fratellanze», «sette segrete che diconsi partiti», un popolo che le fiancheggia, magistrati  che le  proteggono. E «al centro di tale dissoluzione c’è una capitale col suo lusso e le sue pretensioni feudali in mezzo al secolo XIX». Commenta Sciascia:«Leggeremo mai, negli archivi della commissione parlamentare antimafia,una relazione acuta e spregiudicata come questa di don Pietro Ulloa?».
Sciascia sposa la tesi dello storico inglese Eric Hobsbawm: in Sicilia la «rivoluzione francese» l’ha fatta la mafia. Ifeudi passano di mano, dai baroni ai borghesi.
I contadini promossi campieri ne diventano l’esercito. E rilegge (altro punto importante) Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in chiave «antimafia ». Il passaggio epocale, spiega, è chiaro nel personaggio di Calogero Sedara e nella famosa frase del principe di Salina: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno le iene e gli sciacalli».Iene e sciacalli, per Sciascia, si annidarono tanto nella spedizione dei Mille quanto nella «neutralità» verso il fascismo.
Anzi, vista la presenza del prefetto Mori, inviato dal Duce in Sicilia a combattere la mafia, se ci fosse stata una Resistenza nell’Isola, «i boss sarebbero stati partigiani». Sempre iene e sciacalli si alleeranno con gli americani per favorirne lo sbarco in Sicilia, ancora loro faranno sparire nel ’70 il cronista dell’Ora Mauro De Mauro e uccideranno il procuratore Pietro Scaglione nel ’71. Non  mutano mai pelle, i picciotti di Cosa Nostra. Per farli vedere bene agli italiani, lo scrittore li paragona ai bravi dei Promessi Sposi di Manzoni. Infine, la famosa «equazione» di Sciascia su Cosa Nostra: «La mafia è una associazione per delinquere con fini di illecito arricchimento... che si pone come intermediazione parassitaria,con mezzi di violenza, tra proprietà e lavoro, produzione e consumo,cittadino e Stato».
Leonardo Sciascia, deputato nelle liste radicali tra il 1979 e il 1983, espresse diciannove volte il suo pensiero in Parlamento.
Tre volte parlò di mafia e utilizzò la sua Storia della mafia come base per i suoi interventi. Grazie ad Andrea Camilleri,che li ha riordinati di recente, sappiamo che nel primo intervento (20 febbraio 1980) disse che diciotto anni dopo le sue denunce «il fenomeno anziché diminuire» lo avevano visto crescere. Nel secondo (6 febbraio ’80) accusò i colleghi: «Tutti avete detto che la mafia insorge nel vuoto dello Stato. E invece insorge nel pieno dello Stato!».
Nel terzo (27 gennaio  ’83), dopo l’omicidio del giudice di Trapani Ciaccio Montalto, tuonò verso il ministro dell’Interno,Virginio Rognoni:«Lei parla della mafia come di un fatto fisiologico. Ritengo invece che bisogna guardarlo come un fatto patologico,e lei che è ministro dell’Interno deve guardarlo da medico internista».
Che voleva dire? Se cercate la malattia  mafia, dovete curare il cuore dello Stato. Il saggio di Leonardo Sciascia, che  salta fuori dal lontano 1972, riporta  nell’attualità quegli interventi in Parlamento. Il libretto  è importante per parecchi  motivi. Intanto, è l'unico  saggio «organico» sul tema  firmato dallo scrittore di Racalmuto.
Poi contiene per la  prima volta la sua celebre «equazione» sulla mafia, che lui non abiurò fino alla morte e che citerà apertamente nei suoi interventi parlamentari.
Non solo. Ne citerà anche altri passi, tra cui la relazione del procuratore di Trapani Pietro Ulloa del 1837, che lo  scrittore ritenne sempre attualissima: «Descriveva la mafia come l'abbiamo conosciuta
noi, ed era una mafia di procuratori del re, di segretari comunali e di preti», dirà nella solennità del Parlamento.
La sciasciana Storia della mafia ci restituisce un intellettuale per intero, lo  scrittore che «contraddisse e si contraddì », come ebbe a definirsi, non limitandosi a impiccarlo all’articolo sul Corriere della
Sera del 10 gennaio dell’87 contro «i professionisti dell’antimafia». In quell’intervento,
come noto, Sciascia criticò (senza nominarlo) il «protagonismo» del sindaco di Palermo (oggi rieletto) Leoluca Orlando, ma soprattutto sparò a zero contro la decisione del Csm di promuovere  Paolo  Borsellino procuratore di Marsala,in barba ai criteri di anzianità fin lì seguiti. Successivamente spiegò che,quando aveva redatto il suo intervento,non sapeva nulla di Borsellino, ma aveva criticato «l’assenza di regole» da parte del Csm, arma poi usata in senso inverso,per bocciare la candidatura di Giovanni Falcone. Soprattutto, Sciascia chiarì che aveva scritto sull’onda di eventi traumatici.
Il primo, pur rimasto sottotraccia, è il caso di Enzo Tortora, il presentatore tv arrestato nell’83 e coinvolto nel processone di Napoli contro la camorra.
Per inciso, Giovanni Falcone pensava che non avere stralciato la posizione di un personaggio così famoso da un processone contemporaneo al maxiprocesso di Palermo contro la mafia fosse «una trappola ben organizzata» a Napoli per scatenare «pretese di impunità» per i boss anche a Palermo. Il secondo trauma,dichiarato invece apertamente:il suicidio del segretario della Dc siciliana Rosario Nicoletti, rimasto un mistero.Quanto a Borsellino,dopo la
pubblicazione dell’articolo, i due si riappacificarono e, successivamente,rimasero in contatto. Il giudice si disse certo che qualcuno «che gli voleva male» aveva giocato il ruolo del suggeritore. Tuttavia non replicò mai allo scrittore. «Ho amato troppo i suoi romanzi sulla mafia, ci sono cresciuto». Ma di quell’articolo resta la carta e il piombo, per una volta solo tipoche avvolge una tragedia siciliana. Si ha un bel dire che Sciascia e Borsellino si chiarirono. Il giudice, nel suo ultimo intervento pubblico prima di sacrificarsi in via D’Amelio, disse che Falcone aveva cominciato a morire il giorno della pubblicazione dell’atto d’accusa di Sciascia. Il  che da solo dovrebbe bastare a spiegare gli «eroici furori» di chi ha utilizzato in questi anni Sciascia in esclusiva chiave  antimagistrati. Ma la vedova di Borsellino, Agnese, ha detto di recente che Sciascia «aveva  capito tutto vent’anni prima».La figlia dello scrittore, Anna Maria, ha sottolineato che il padre non voleva colpire Borsellino,ma che mal sopportava «una certa retorica dell’antimafia ». Disonesto sarebbe però anche affermare che l’articolo sarebbe
stato scritto «sotto dettatura». O che fosse incoerente. La faccenda, comunque la si giri, resta complicata. E tragica. La simbiosi. La metastasi. La peste.Resta il fatto che Sciascia vede incubare un’Italia futura «mafizzata», con quello «sguardo distaccato di un entomologo» che gli attribuisce, a ragione, l’amico Vilardo.
A 23 anni aveva assistito all’omicidio del sindaco di Racalmuto, Baldassare Tinebra. Poi aveva visto, a Caltanissetta,il popolo far ressa per baciare la  mano al boss don Calò Vizzini. Nel 1965  aveva intervistato Giuseppe Genco Russo,padrino di Mussomeli. E aveva studiato,«osservandolo» mentre si occupava del caso De Mauro, il capo della squadra Mobile, Boris Giuliano, ucciso nel luglio del’79. Freddo non per cuore duro,ma per «osservare» bene. Confidava all’amico Vilardo: «Quando la mafia si arricchisce,e ci vuol poco con la ricchezza che muove, sforna avvocati, medici, imprenditori,professionisti. Colletti bianchi. Cambia la forma del mafioso, ma la sostanza resta sempre quella».
L’entomologo Sciascia divenne, con timore,quasi un profeta. In Todo Modo descrisse la futura dissoluzione della Dc e il caso Moro. «Ho paura di dire cose che possono avvenire» spiegava. Di più. Nel’72, l’anno in cui scrisse La storia della mafia (aprile), a febbraio aveva licenziato Il contesto. Lo aveva tenuto fermo due anni.
Ne aveva paura. L’ispettore del romanzo, Americo Rogas,sembrerà a tutti Boris Giuliano,l’amico poliziotto ucciso. E la trama? Un complotto per occultare omicidi eccellenti,in nome della «ragion di Stato ». Dentro ci sono tutti, anche l’opposizione. Questo valse a Sciascia una raffica di sei articoli di critica sui giornali di area comunista (dall’Unità a Rinascita). Ma era ben peggio il vaticinio finale del suo ispettore: «Il potere in Sicilia, in Italia, nel mondo, sempre più degrada nella impenetrabile  forma di una concatenazione che approssimativamente  possiamo dire mafiosa ». Sembra che si parli delle inchieste sulla trattativa tra Stato e mafia. Leonardo Sciascia, nel 1986, ascoltò la  deposizione del pentito Tommaso Buscetta al maxiprocesso di Palermo. Ne  uscì sgomento. Ma poi, dopo la sentenza,scrisse: «Il verdetto cancella l’impressione di allora. Vi si intravede quell'osservanza del diritto, della legge, della Costituzione  che i fanatici vorrebbero far cadere in desuetudine».
Non capì la nuova Cosa Nostra. Non poteva sapere che il mostro che lui aveva avvistato tanti anni prima, quei picciotti sempre uguali, le iene e gli sciacalli di  ogni tempo, stavano tornando sotto forme nuove. Dopo la breve parentesi della  mafia corleonese di Totò Riina, che dichiarò guerra allo Stato, dalle sue ceneri sono risorte, all’ombra delle grandi corruzioni e di equilibri impenetrabili, le mafie invisibili, aristocrazie più simili a quelle dei primordi. Muovono un fatturato annuo (secondo lo studioso Francesco Barbagallo) di 70 miliardi di euro. E, dopo  il tramonto dei corleonesi, hanno ripreso a vivere all’ombra delle istituzioni.
                                              PIERO MELATI

Tigri romantiche, trapianti suini, bestemmiatori fatali, smemorati fedeli, babbi Natale atletici, docenti truffaldini e omicidi su Google

Il prof di Economia si laurea in Fisica sfruttando un errore e gli esami di un omonimo L’accademico dell’anno è il prof. Sergio Barile, doce...