22.6.19

è ancora possibile fermare l'odio e gli odiatori ? se si seguono tal esempi si .Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. ed altre storie



In un clima   d'odio    come quello Italiano e  d'analfabetismo funzionale  in cui questa  frase 


Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.                                                                                                                                             Antonio  Gramsci  (  1891-1937 )
 è sempre   più   veritiera  ed    a passo con i tempi   soprattutto  dove   un ulteriore  caccia  alle  streghe   andata  in crescendo  dopo  l'11  settembre  2001    fatti   come questi   ,  ormai sempre   più radi ,  testimoniano di  come   che  ancora  ci sono   degli esempi     \  punti di riferimento  a  cui  aggrapparsi  e prende  spunto   in tale  lotta   contro l'odio   .  
Rispondendo    alla domanda     che  mi  sono posto  nel  titolo  dico che  : si può e si deve . Infatti oltre alla toccante storia ( a cui rimando il miei due post precedenti I II ) di Maria Grazia Carta mamma di Davide Marasco investito ed ucciso da un Albanese ubriaco e che fermamente s'è opposta e s'oppone ad ogni strumentalizzazione ed uso politico \ ideologico da parte di CasaPound ed affini della sua vicenda ci sono delle storie sia in ambito sportivo che in ambito culturale che qui mi accingono a riportare e commentare . 
La prima è quella di Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. 
Apro la solita rassegna stampa dei miei aggregatori di notizie per smartphone e leggo


E’ morto all’età di 63 anni, dopo lunga malattia, Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. In carriera il bolzanino ha vinto dieci scudetti e una Alpenliga. Poche settimane fa, durante una toccante cerimonia in sua presenza, nel Palaonda di Bolzano era stato dedicato un posso fisso alla sua maglia con i mitico numero «33». Grande la commozione dei tifosi sui social media.

Infatti per  curiosità  ,  consulto   il motore  di  twitter  , dove  i numerosi  post     di commozione     confermano     questo  breve e sintetico    post  . Cerco qualcos'altro   visto   che    si parla  di lui     come  uno di quelli   che   oltre  a lottare  contro  un male incurabile    ha  lottato con la sua attività sportiva  contro    l'odio ,   la  violenza  etnica   , nazionalistica  ,  e politica    dal  1945\6\ -1990   fra  tedeschi ed  italiani     fatta    di bombe  e di sangue  in Alto Adige  . Ecco   un articolo di repubblica  d'ieri   21 Giugno 2019



Il campione Gino che cancellò l'odio giocando a hockey

Bolzano in lutto per Pasqualotto: il tifo per lui unì italiani e tedeschi negli anni del terrorismo

Risultati immagini per gino pasqualotto
da  radionbc.it
Costruire una bomba è questione di chimica, e fisica. Per costruire l’odio ci vuole meno. Bastano le parole. L’odio etnico ne richiede pochissime, lo sappiamo. L’Italia ha conosciuto solo marginalmente il conflitto etnico, in un lembo di terra buffo a partire dal nome: Alto Adige Südtirol. Chi, oggi, conosce l’Alto Adige lo fa perché lo trova un luogo in cui passare le vacanze, farsi un selfie con una mucca o abbuffarsi di strudel, in cui l’odio etnico è roba da nostalgici fuori tempo massimo e libri di storia. La bomba non c’è più. È stata disinnescata con piccoli gesti che quasi mai si sono svolti sotto i riflettori. Tranne in un caso. Quelli del vecchio palazzetto del ghiaccio di via Roma, a Bolzano. Lì, di riflettori ce n’erano parecchi, tutti puntati sulla maglia numero 33, quella di Gino Pasqualotto, l’assassino che aveva un sorriso per tutti e che ha insegnato a un’intera città come si disinnesca la bomba dell’odio. 
Se cadevi, e giocando a hockey è facile farlo, Gino era pronto a rialzarti. Anche (e soprattutto) se gambe all’aria era stato lui a mandartici. Era uno che non le mandava a dire, il capitano. Riconoscibile per due motivi: per i baffoni e perché detestava il gioco sporco. L’hockey è uno sport duro, ma ha delle regole. Se le infrangi non sei un “furbo”, rischi di mandare all’ospedale (o peggio) il tuo avversario. Ma di furbi il mondo è pieno e se qualcuno andava troppo oltre le righe, dagli spalti di via Roma partiva il coro. «Gino! Gino! Punisci l’assassino!» da cui, per contrazione, il soprannome: Gino l’assassino. 
La sua carriera (dieci scudetti, più Mondiali e Olimpiadi) a cavallo fra gli anni Ottanta e primi Novanta si sovrappose al colpo di coda dell’odio etnico che colpiva Bolzano attraverso gli ordigni di Ein Tirol. Per Gino, che aveva esordito in serie A a 16 anni e a 17 aveva vinto il suo primo scudetto, esisteva solo l’hockey, se ne fregava dell’odio: Gino aveva avversari, non nemici. Se cadevi, lui ti alzava. E quando ti prendeva a spallate (a sportellate, come diciamo da queste parti) non chiedeva il certificato di nascita. Gino non lo sapeva, ma a un certo punto, sugli spalti, iniziarono a sentirsi lingue diverse. Tutti volevano vedere Crazy Horse, l’altro suo soprannome, in azione. 
E così, senza che nessuno se ne accorgesse, l’Hockey Club Bolzano divenne la squadra di tutti. La bomba era stata disinnescata da un tizio con i baffoni che, chiusa la carriera sportiva, divenne l’unico ausiliario del traffico al mondo a non aver mai ricevuto un insulto: chi si beccava la contravvenzione la teneva, felice di avere il suo autografo. Pochi mesi fa la sua maglia, la 33, è stata ritirata. Il 20 giugno, a soli 63 anni, anche Crazy Horse se ne è andato. Che poi, a pensarci bene, sembra quasi di sentirlo «Che dici bocia? Guarda che io giocavo a hockey, mica facevo politica». E infatti questo non è un necrologio, è un promemoria. Le parole che servono per costruire l’odio sono così poche da stare tutte in un tweet. Si disinnescano facile. Ce l’ha insegnato Gino l’assassino.




Luca D’Andrea è uno scrittore. Il suo ultimo libro è “Il respiro del sangue” (Einaudi 2019)


 le  altre  due   simili 







da   repubblica 


L'incoraggiamento è arrivato dai nipotini. "Capita la sera che leggiamo insieme delle storie - il sorriso di Domenico è intimidito dall'intervista inaspettata - E mi piace l'idea che ora siano orgogliosi di me e dei miei miglioramenti". L'ultima volta di Domenico Di Bartolomeo tra i banchi risale a quasi ottant'anni fa. "All'epoca si stava in quattro in un banco e si usava il calamaio al posto delle penne", ricorda il pensionato di Corato, che ha affrontato gli orali insieme ai suoi compagni di classe.
Licenza media a 83 anni per nonno Domenico: "Peccato non poter fare concorsi"
Obiettivo: conquistare a 83 anni la licenza media. "In una scuola, come la nostra, davvero speciale, che accoglie tutti", è la soddisfazione di Maria Pansini, docente di lettere di Domenico e dei suoi compagni di classe del Cpia 1 di Corato. In effetti il colpo d'occhio della foto di fine anno riscalda il cuore e riaccende le speranze. Nella scuola statale che garantisce a cittadini italiani e stranieri servizi e attività per l'educazione in età adulta, Domenico ha studiato italiano, matematica, scienze, francese e tecnologia, tutti i pomeriggi per un anno, dal lunedì al venerdì.
Il motto del Cpia 1 di Bari e delle sue sedi distaccate di Corato, Terlizzi, Bitonto e Molfetta, è infatti non solo alfabetizzare studenti adulti, ma promuovere la loro crescita personale, culturale, sociale e (perché no) anche economica, attraverso corsi di intregrazione linguistica e sociale e percorsi finalizzati all'acquisizione della licenza media. Per Domenico la licenza media è un traguardo e una nuova partenza. "Sto già affrontando qualche acciacco per l'età - ammette - non voglio che ceda anche il cervello, voglio tenerlo in funzione e sempre in allenamento". Quando ha bussato alle porte della scuola, Domenico aveva in tasca la licenza elementare e un passato da autista e da manovale, con una parentesi di vita in Germania.
"Non mi andava di passare tutte le sere a giocare a carte con gli amici - ricorda - ecco perché ho cominciato a studiare, quasi come un capriccio. Poi mi sono affezionato alla classe e alle insegnanti, che si sono dimostrate davvero comprensive". Un nonno, d'altronde, deve mettersi al passo coi tempi per stare dietro ai quattro nipotini, nativi digitali. "I bimbi di oggi sono tutti peperini - rilancia Domenico - e io non voglio essere da meno. Sono orgoglioso di sentirmi dire che sto migliorando nella pronuncia e coi verbi: non sarò diventato un professionista, ma almeno ora mi difendo".
Domenico è circondato dai colori di tutto il mondo. "Il primo della classe è Pepejean, uno studente universitario scappato dalla Costa d'Avorio - racconta la prof Maria Pansini - C'è una signora che è tornata a Corato dal Venezuela dopo i recenti disordini. E ancora, c'è Eduard che sa scrivere con ironia, c'è Aldo che ha 17 anni e ha scritto un tema simpatico descrivendo sua madre e Arcangela che ha scritto una toccante lettera a suo nonno che non c'è più. Ci sono Anna, Mario, Savino, Maria e Filippo che da genitori si sono messi in gioco ad una età non semplice per tornare tra i banchi di scuola. Donason e Abdul se la sono cavata con un italiano ancora incerto ma con l'impegno di chi vuole migliorare, Vincenzo è venuto a scuola con le mani screpolate dal duro lavoro in campagna, Tommaso arrivava dopo il turno in fabbrica, Giuseppe e Raffaele ora sperano in un lavoro migliore, più stabile. La sola nota stonata è stata non poter ammettere agli esami Yaya, purtroppo aveva il permesso di soggiorno scaduto".



da  https://www.coratolive.it/news/ giovedì 20 giugno 2019 di La Redazione
Prende la licenza media a 83 anni. Nonno Domenico: «L'ho fatto per i miei nipoti»
La storia - che arriva dalla sede distaccata del Cpia1, a Corato - ha fatto il giro del web






                              Nonno Domenico al centro della sua classe © n.c.


Una storia che scalda il cuore e che, in poche ore, è stata ripresa da diverse testate nazionali. L'ha raccontata Silvia Dipinto de La Repubblica, e riguarda il coratino Domenico Di Bartolomeo.
Nonno Domenico ha affrontato gli orali dell'esame di terza media alla veneranda età di 83 anni. Il motivo? Leggere le storie ai nipoti, ma non solo. «Non mi andava di passare tutte le sere a giocare a carte con gli amici - ha raccontato alla giornalista - ecco perché ho cominciato a studiare, quasi come un capriccio. Poi mi sono affezionato alla classe e alle insegnanti, che si sono dimostrate davvero comprensive».
A scuola c'era stato «quando si stava in quattro in un banco e quando al posto delle penne usavamo il calamaio». Dopo la licenza elementare ha cominciato a lavorare come manovale e come autista, passando parte della propria vita anche in Germania. Dopo la pensione è arrivata la voglia di migliorarsi. Ha studiato italiano, matematica, scienze, francese e tecnologia per un anno, fino agli esami.
Domenico sta conseguendo la licenza media a Corato, in una delle diverse sedi distaccate del Cpia 1 (Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti) Bari, scuola statale. Un luogo dove si recupera il contatto con le lettere, le scienze e le arti e dove è possibile portare a termine il proprio percorso di studi. Il Cpia è anche uno scrigno pieno di storie da raccontare, come quella di Domenico.
Maria Pansini, terlizzese e insegnante di lettere, ha spiegato: «Siamo una scuola davvero speciale, che accoglie tutti». Nella classe con il signor Di Bartolomeo ci sono ragazzi che scappano da fame e persecuzioni, adolescenti, genitori che tornano a scuola per dare qualcosa in più ai loro figli, lavoratori che si mettono a studiare dopo aver passato un'intera giornata in fabbrica o in campagna o chi, dopo una vita di sacrifici, ha deciso di continuare ad arricchirsi. Come Nonno Domenico.










la seconda sempre dello stesso tenore ma più stupefacente avvenuta nella mia regione



Nonno Felicino diplomato alle scuole medie a 98 anni con 10. "E ora vado in vacanza""Ha il corpo e la mente di un ottantenne", racconta la figlia 


                                           MONIA MELIS






ARBUS. Anche per lui, come per i compagni (più giovani, di 84 anni) sono finalmente iniziate le vacanze. Ieri mattina è uscito dall'esame con il massimo: 10 su 10 e l'agognata licenza media. Oggi, per Salvatore Piredda – 98 anni lo scorso luglio – è un giorno di riposo nella sua Arbus, paese minerario della costa verde, nel sud ovest della Sardegna. È a casa della figlia Sandra, 60 anni, che di mattina presto gli ha letto le cronache locali: pagine e foto che raccontano la sua impresa. Ancora emozionato, risente un po' della tensione delle ultime settimane. Ma è davvero orgoglioso e contento; Felicino, appunto, come è noto a tutti. È questo, infatti, il nomignolo che gli ha affibbiato il padre da bimbo nella loro Pula, trenta chilometri da Cagliari, dove è nato nel 1921.
Niente (o poca scuola) per lui: a 13 anni ha dovuto seguire il fratello più grande nelle miniere di Montevecchio, tra le montagne del Sulcis, a scavar galena per ottenere piombo. Nel sottosuolo il baby minatore ha trascorso poco tempo, subito è passato alle officine meccaniche, sua passione rimasta tale per tutta la vita. A vent'anni, poi, il salto: le trincee della guerra lontano dall'isola dove tornerà - alle sue officine – solo cinque anni dopo. Per il resto una vita tranquilla, con gli ultimi anni da lavoratore trascorsi in una fabbrica tessile dopo la chiusura delle miniere; in mezzo il matrimonio con un'impiegata delle poste di Buggerru, tre figli, tre nipoti e due bisnipoti. Sempre con un cruccio: studiare; e un desiderio: il diploma di licenza media. "È un centenario con un corpo e una mente di un ottantenne – racconta la figlia al telefono del suo ufficio di assicurazioni – fino a qualche mese fa passeggiava per un chilometro circa, da sempre poi legge, si tiene informato, discute di qualsiasi argomento d'attualità anche ora". Niente cellulare per i problemi alla retina, ma segue con attenzione la tv.



                            unione sarda


I suoi testi preferiti negli anni? Quelli scolastici, di matematica e geometria. Poi, lo scorso settembre l'iscrizione, grazie alla disponibilità dell'Istituto comprensivo "Pietro Leo", alla dirigente Maria Antonietta Atzori, ai docenti. Nessun intoppo burocratico per la presenza di Felicino in aula tre volte a settimana, anzi lo stimolo continuo di aver un testimone reale di un'altra epoca. I 18 compagni l'hanno seguito con affetto, incoraggiato e da lui hanno ricevuto consigli e aneddoti preziosi: "Una classe straordinaria, i ragazzi lo abbracciavano e lo chiamavano nonno", racconta la figlia. Anche per lui le tre prove con l'orale di ieri sulla seconda guerra mondiale e il funzionamento di una miniera. Uno sguardo al passato, uno al presente e al futuro prossimo. Passato il caldo Felicino riprenderà a uscire: praticamente assenti ad Arbus i suoi coetanei (solo una donna di 104 anni), ma lui parla con tutti: dagli ottantenni in giù. E non mette ostacoli particolari davanti a sè. Nel cassetto c'è pure il sogno del diploma di perito meccanico, ma prima un po' di riposo.



replica agli odiatori antivaccinisti e metodo hamer e ciarlatani [ Non sapevo che difendere la scienza ed il progresso fosse dittatura fasciosanitaria parte II ]

Risultati immagini per hatersLo  so che   dovrei    non rispondere   e lasciar perdere  e  quindi   evitare    di dare l loro spago  . Ma  in tempi come   questi   dove  gli haters  non  si fermano davanti a nulla   . Replico   agli : antivaccinisti specialmente quelli settari e acritici , ai ciarlatani , ecc che mi hanno riempito di 💩 e d'insulti anche pesanti e personali sulle mie condizioni di salute per il mio post https://bit.ly/2x9txhM critico verso di loro e verso i genitori di Eleonora Bottaro dico solo questo : io giustifico ed accetto le cure alternative hanno basi scientifiche e quando tutte la altre hanno fallito . ma soprattutto che la libertà di scelta fra i due tipi di cure è sacrosanta ma bisogna saperla usare e non imporla impedendo di scegliere quale seguire . 
E che e qui mi fermo non prima di    dire  loro  




 non vale la pena di abbassarmi al livello continuando a diffondere odio inutilmente . Ma soprattutto basta evitiamo speculazioni e strumentalizzazioni sulla povera Eleonora

21.6.19

Non sapevo che difendere la scienza ed il progresso fosse dittatura fasciosanitaria

Eleonora Bottaro, genitori condannati a due anni per non averla fatta curareDI COSA   STIAMO PARLANDO
Del caso di  Eleonora Bottaro,ragazza  morta  di leucemia per i cui  genitori condannati a due anni per non averla fatta curare con la  chemio  ma    con lo pseudo metodo Hamer di cui loro erano seguaci






come     ho già  avuto modo di scrivere  sul mio Facebook  :  << questo succede quando si ricorre ai ciarlatani anziché alla scienza 🔬. Infatti Secondo la procuratrice aggiunta Valeria Sanzari, che ha indagato subito madre e padre per omicidio colposo aggravato dalla prevedibilità dell'evento, la ragazza non ha mai avuto modo di costruire una propria libertà di scelta delle cure, in quanto sempre iperprotetta e "plagiata" dai genitori.  >>.
Tale    post  , oltre  le  consuete  email   (  all'email  del blog  redbeppe@gmail.com ) di  haters e  di fanatici  pro vaccinisti e  cure  (  o  pseudo cure  )     alternative  ha  creato un interessante  dibattito   che ivi   riporto



Eugenio Bisbabbo Crispo Giuseppe, e se fosse morta per la chemio ?
Mi piace· Rispondi
Giuseppe Scano Eugenio Bisbabbo Crispo tutto è possibile .. Pero almeno fin ora le statistiche dicono che ci sono più possibilità di giuarire ( la guarigione assoluta però non esiste ) con la chemio che con altri metodi scientifici o meno . tutto dipende da quando la s'inizia o meno . Avrei detto la stessa cosa se fosse avvenuta per paradosso nel caso inverso
Mi piace· Rispondi· 23 h
Antonio Bocco Una cosa è non farcela dopo aver provato con cure che cmq si sono dimostrate le uniche efficaci, un altra è morire perché qualcuno è convinto che si possa guarire con metodi senza nessuna rilevanza scientifica.
Mi piace1· Rispondi· 23 h· 23 h
Eugenio Bisbabbo Crispo Giuseppe Scano la stessa scienza dice anche che la chemio aumenta il rischio di metastasi....
Mi piace· Rispondi· 23 hGiuseppe Scano Eugenio Bisbabbo Crispo da quel che ne so dipende da caso a caso e da stato di malattia . niente è efficace al 100 % .
Mi piace· Rispondi· 23 hEugenio Bisbabbo Crispo Giuseppe Scano le variabili sono infinite.
A quei genitori non ha certo fatto piacere perdere la figlia. Le scelte si rispettano e non è imponendo che si risolvono i problemi. In medicina non esiste rischio zero e fintanto che esiste rischio non deve esistere imposizione.
Mi piace· Rispondi· 23 hGiuseppe Scano Eugenio Bisbabbo Crispo certo si rispettano . Ma si possono anche non condividere . soprattutto se provato quello che afferma il magistrato : << la ragazza non ha mai avuto modo di costruire una propria libertà di scelta delle cure, in quanto sempre iperprotetta e "plagiata" dai genitori. >>. Perché un conto è che tu decida in autonomia di ricorre al metodo scientifico o ad un metodo pseudo scientifico . un altro se non ti viene data tale possibilità .
Mi piace· Rispondi· 23 h

 Alle  risposte  aggiungo  ed  approfondisco   due  cose  . La prima  un conto  è  che   rifiuti per  motivi etici   o medici oppure    non ti  fidi  delle  cure  ufficiali    e  ricorri a quelle  sperimentali \  alternative   ma  esse  devono essere  scientificamente  verificate   altrimenti  diventa  sciacallaggio e  speculazione    oltre  che  creare  false    speranze  a chi   soffre  di  simili malattie   .  La  seconda che  tale  scelta  possa  avvenire  in piena   libertà  e  senza  nessun indottrinamento . Infatti  è  grave   se   e confermato   provato quello che afferma il magistrato : << la ragazza non ha mai avuto modo di costruire una propria libertà di scelta delle cure, in quanto sempre iperprotetta e "plagiata" dai genitori. >>.

e  voi che ne pensate  ?



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20.6.19

con questo clima assurdo anche i medici semplici prescrittori di terapie alla cannabis hanno paura ! È schifoso!

ringrazio per la segnalazione  l'amica
Dottor Cinquini LIBERO!!!!
Soft Secrets Italia
Questa è l'immagine della mamma del Dottor Cinquini mentre cura le piante della propria terapia. Pubblichiamo la sua foto perché il Dottor Cinquini è stato nuovamente intercettato dalle forze dell'ordine e a seguito di perquisizione è stato messo agli arresti domiciliari in attesa di processo.
Cosa gli hanno sequestrato?
82 chili di cannabis light ( Compolti, Fenola e Kc Virtus)
80 grammi di iceolator, terapia del Dottor Cinquini
280 grammi di infiorescenze secche di 707 California, terapia della madre del Dott. Cinquini da lui prescritta per Alzheimer.

19.6.19

opinioni maschili sul calcio femminile e l'italia ai mondiali : quella educata e signorile di ( Massimo Fini ) rozza e sessista ( Camillo Langone )


Da  tempo   non seguo più molto  il calcio  né  in TV né sui media per ultras  , corruzione  , fanatismo dei genitori nel calcio giovanile   ,  ecc  .preferendone  uno sognato  \ idealizzato  .  Ma il tenace silenzio , migliore  risposta  farneticazioni   come  quella  che leggete  sotto  , da parte  delle  giocatrici  della nazionale femminile  ,   e le  risposte    degli amatori  e non solo   d'esso   veri  sportivi     . mi stanno facendo  cambiare idea   facendomi vedere il lato positivo .    
Capisco  ed  in  parte   non biasimo   il No   di noi uomini  ed in parte  di donne  (   vedere questi articoli    \  interventi   de  il  foglio    1 2 3  uno  dei giornalacci  della destra   nostrana    )   anche  se  dettato  da preconcetti  culturali.   come   questa  risposta ,su Oggi  della scorsa settimana   in cui  nella  rubrica  le  domande  d'oggi      ci  si chiedeva  : Il  calcio Femminile  e  un o sport    da  donne   ?   di Massimo fini   autore  di  "Storia reazionaria del calcio" (Marsilio Editori)


Valeria Palumbo    Giornalista presso RCS Mediagroup





 <<  [...] un Massimo Fini  >> - come fa notare anche IFQ in questo articolo -  << sempre in guerra con le donne. Su Il Giornale si discute se il calcio sia uno sport da donne. La risposta del “no” è sconvolgente, e tra le altre cose consiglia alle donne uno sport più gentile come la pallavolo (da qui si capisce che il tipo non conosce affatto quello sport che di “gentile” ha ben poco). Sconvolgente anche perché ripropone lo stereotipo del maschio violento più adatto allo scontro fisico e alla guerra, e quello della femmina gentile e addetta alla cura. Sessismo alla massima potenza.>>Ma   educato  e   non volgare    e  non rozzo   maniera   rozza  e  misogina    come quella   di  : 1)  Camillo Langone     sul  foglio  .  IL   cui intervento  ,   concordo   con    questo post della bella pagina  Facebook  Libere Sinergie ,    fa rimanere   (  proprio come me  )   :  <<  Senza parole. Rimaniamo senza parole di fronte a questo intervento pubblicato su Il Foglio. Riportiamo di seguito il testo, per non contribuire al clickbaiting >>


Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina? E allora perché voi maschi guardate il campionato di calcio femminile?

Bucate il pallone alle giocatrici di calcio
Un momento di Corea del sud-Norvegia al Mondiale di calcio femminile (foto LaPresse)

Che poi, oltre a disgustare Cristo, mancate di rispetto verso voi stessi. Io non avevo bisogno di Cecchi Paone per immaginare che molte calciatrici non avessero l’uomo in cima ai loro desideri. E quelle invece di nervi ben protesi, che certo esistono, brameranno giovanotti atletici, mica voialtri tifosi da birra e da divano... Non state sostenendo un gioco innocente, cari amici. In Francia non si stanno giocando i mondiali di calcio femminile bensì i mondiali del livellamento sessuale. Senza lo strapotere dell’ideologia gender non si spiega il successo di questi campionati che prescrivono alle ragazze di tutto il mondo modelli contronaturali di forza, aggressività e ambizione capaci di distruggere la più delicata femminilità. “Dietro alla nuova visione prometeica c’è il segno del diavolo”, dice il cardinale Sarah. State attenti, tifosi maschi, il pallone rosa è una tentazione, un’esca: invece di gonfiarlo, bucatelo
                               [Camillo Langone]



2 ) quello di Cristian Panarari. che ammicca al maschilista di turno e insulta le calciatrici tornando alla visione del culo. Gli indichi la luna e lui vede il dito, evidentemente.


Martedì sera io e il mio compagno guardavamo la partita Italia–Brasile e lui non riusciva a capire il perché di tanto astio nei confronti di queste bravissime giocatrici. Alla fine ha concluso che l’unica nota positiva è il fatto che probabilmente, nel caso in cui l’Italia vinca i mondiali, non ci sarà tutto quello strombazzare di clacson e atteggiamenti testosteronici per le strade della città.



La questione è semplice: c’è chi pensa che le atlete abbiano invaso un contesto maschile e che i maschi siano gli unici a poter praticare questo sport. Ma basta che le giocatrici mostrino la loro forza, il loro coraggio, e crolla tutto il castello di chi costruisce potere su una bugia.
Io auguro alle giocatrici di vincere, faccio il tifo per loro e spero che mantengano la stessa visibilità e che ottengano la meritata posizione che gli spetta nel contesto sportivo italiano. Quando ci abitueremo a vedere, ad esempio, partite di serie A di squadre al femminile ? Lasciamo , come   suggerisce  un mio amico e utente  Facebook  , perdere gli uomini di Neanderthals e i loro commenti sessisti,segno evidente del loro cervello rudimentale non ancora evoluto, e guardiamo invece i complimenti delle persone a delle atlete e sportive quali sono le ragazze della nazionale di calcio femminile
mi piace concludere con questa bella stupenda poesia di Anna Martinenghi e l'immagine di Victoria Semykina

LUCE DI GIUGNO


Nessuna descrizione della foto disponibile.

Luce di giugno
di lune sciolte
nei cortili
di ombre sui muri
a pelle 
sui panni stesi
bagli sul mare
finestre spalancate
fino a notte
Luce di giugno
a far rabbia
al muto risplendere
delle stelle
a fiotti
casca
da azzurri
incontenibili
pioggia trasparente
riversata a terra
È bellissimo
essere pesci
che si fanno
la doccia
nella brezza
della prima estate


@.marti2019


Immagine di Victoria Semykina











18.6.19

Faber è vivo": a Copenaghen il ricordo di Fabrizio de André a vent'anni dalla sua scomparsa.Presenti all'iniziativa tanti artisti ed emigrati sardi

forse il mercato italiano è saturo e non sanno più come vendere de andrè allora si ricorre al mercato estero #faber #fabriziodeandrè #20annifadeAndrè 



Un ricordo fatto di musica e parole, pensieri e emozioni e anche con la presenza di tanti artisti ed emigrati sardi. E con l'importante messaggio: "Faber è ancora vivo!", ribadito anche nel titolo dell'iniziativa "De André è vivo, viva de André", organizzata dall'associazione culturale Sarda "Incantos", l'Ambasciata Italiana in Danimarca, l'Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen e Claus Miller.A collaborare anche l'Istituto Fernando Santi e Pierpaolo Cicalò, la Fondazione Sardegna Film Commission, il Ristorante "San Giorgio" e la Trattoria "La Vecchia Signora", gestiti da una coppia di emigrati mogoresi, Olimpia Grussu e Achille Melis, la Fondazione Fabrizio De André e Arnaldo Bolsi.Due serate con un ricco programma e che hanno emozionato tutti gli ospiti anche grazie alla presenza dell'artista Dori Ghezzi, compagna di vita di De André.

Simone Grussu, fisarmonicista di Mogoro (foto Antonio Pintori)
Simone Grussu, fisarmonicista di Mogoro (foto Antonio Pintori)

"Sono passati vent'anni anni dalla scomparsa di Fabrizio De André. Tuttavia, chi con le sue canzoni ha riso e pianto, si è innamorato, arrabbiato e emozionato, chi grazie a lui ha scoperto l'impegno civile e politico non ha dubbi: Faber è ancora vivo!", hanno detto gli organizzatori. "Fabrizio De André è stato il primo artista che ha preso le distanze dalle canzonette italiane e ha proposto testi socialmente impegnati. Era uno spirito libero, un rivoluzionario ostinato e controcorrente, sempre dalla parte degli ultimi. Ha affrontato temi universali. Per questo i suoi testi hanno attraversato il tempo e restano attuali ancora oggi, parlando al cuore e alla testa di adulti e ragazzi".

L'EVENTO - Il via alla rassegna al cinema Gloria di Copenaghen, con la proiezione del film "Faber in Sardegna & l'ultimo concerto di Fabrizio De Andrè" del regista Gianfranco Cabiddu. Dopo il film, Dori Ghezzi e la presidente dell'Associazione Incantos, Olimpia Grussu, hanno invitano gli ospiti al ristorante San Giorgio, per un buffet tipicamente sardo e per asoltare "Volta la Carta" e alcuni degli artisti che poi si sarebbero esibiti al concerto.Il giorno dopo, nell'Istituto Italiano di Cultura Hellerup, la serata di musica e parole: "De André è vivo, viva De Andrè!". "Un grande omaggio a Fabrizio de Andrè, che ci ha emozionato tutti", ha confessato la stessa Olimpia Grussu. Sul palco gli artisti Margherita Canu, Feinschmecker Quartet, Alessandro Garau, Pablo Paolo Peretti, Simone Grussu, Gatto Rosso, Laura Spano, Baldovino, Beniamino Solinas, Manuela Mameli e Maria Ylenia Trozzolo.

Dori Ghezzi assaggia la carapigna (foto Antonio Pintori)
Dori Ghezzi assaggia la carapigna (foto Antonio Pintori)

La serata è iniziata con l'intervento di Dori Ghezzi, introdotta dall'ambasciatore Luigi Ferrari e intervistata da Emma Fenu. Al termine tutti gli artisti, insieme al pubblico, hanno intonato "Il pescatore". La serata si è conclusa con un buffet tipicamente sardo servito dal ristorante "San Giorgio" di Achille Melis. Graziano Pranteddu ha fatto degustare la carapigna e il torrone.LE EMOZIONI - Simone Grussu, fisarmonicista di Mogoro, uno degli artisti che si è esibito sul palco, ha detto: "È stato tremendamente bello esibirmi nell'Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen davanti agli occhi lucidi di Dori Ghezzi. Inoltre è stato motivo di grande orgoglio artistico e professionale aver avuto la possibilità di dividere il palco con artisti di grandissimo spessore. Sono inoltre felice che venga data la giusta importanza a eventi culturali di questo livello, perché investire sulla buona cultura è sempre un trionfo".
La stessa Olimpia Grussu, originaria sempre di Mogoro, ha concluso: "Due giornate indimenticabili. Abbiamo sentito la Sardegna vicina anche grazie al ricordo e alla musica di Faber".
IL VIDEO:


17.6.19

Avellino, famiglia adotta bimbo down: "Così Vincenzo ha cambiato la nostra vita" e L'ultimo desiderio esaudito di Vincenzo in malato grave: dalla Germania a Palermo per sentire ancora una volta il mare



Come potete   vedere  non racconto \  riporto   \  condivido  storie  tristi    e  brutte  . Eccovi  due  storie    speciali per  gente normale  \ normale  per  gente   normale parafrasi di una famosa  canzone 

Una storia    che  dimostra    che indica come  l'infelicità  puo' essere    felicità     e di come  :  l'impresa eccezionale, dammi retta\È essere normale (   un   altra parafrasi \ citazione musicale ) 

  tratte dal quotidiano   la  repubblica


la   prima 

Il piccolo è stato abbandonato alla nascita dalla madre. La nuova famiglia: "Noi speciali? No, non ci siamo girati dall'altra parte"

di PIERLUIGI MELILLO




Avellino. 
In un mondo in cui si innalzano muri e si chiudono i porti agli ultimi disperati, la loro storia apre il cuore alla speranza. Lui, è Maurizio Mauro, 53 anni, impiegato, che quasi per uno strano scherzo del destino dall'isola di Capri si ritrova nel cuore dell'Irpinia, ad Avellino, con la moglie Assunta, anche lei 50enne. Una vita normale. Hanno due figli grandi, una famiglia come tante che diventa speciale perché all'improvviso scopre Vincenzo, bimbo down di pochi mesi, abbandonato alla nascita dalla madre in una clinica avellinese. Che fare? Maurizio in quei giorni lavorava nella stessa struttura sanitaria, vede quel bimbo, solo e dimenticato. Ha già preciso in mente il suo progetto di amore e solidarietà.
"Dovremmo tutti recuperare - dice - il valore e la volontà di non girare mai il volto ai bisogni del proprio prossimo. Sono chiamate, sono segni veri, di una vita piena da vivere con amore, verso il prossimo". Allora Maurizio ne parla con la moglie. E scatta la scintilla. “Siamo credenti, Dio ci chiama per aiutare il prossimo”, racconta il super papà, che vede nella diversità di un bimbo di pochi mesi un motivo in più per non girarsi dall'altra parte e fare qualcosa per aiutare a disegnare un futuro migliore per chi sembra condannato a una vita infelice. “Noi una famiglia speciale? No, non credo”, quasi si giustifica Maurizio che aveva già due figli grandi quando ha incontrato il piccolo Vincenzo, sette anni fa, nel nido della clinica “Malzoni”, eccellenza della neonatologia nella sanità avellinese.
“I medici e le infermiere non gli facevano mancare nulla, ma quel bimbo aveva bisogno di altro, di una famiglia vera”, racconta Maurizio, che decise di avviare le procedure per l'affido di minori abbandonati. Ci sono voluti tre anni, ma alla fine la battaglia è stata vinta, con coraggio e determinazione. Ed è arrivata l'adozione per il piccolo Vincenzo, un bambino che ha sempre bisogno di attenzioni speciali. “Non dimenticherò mai quella telefonata. Stavamo uscendo di casa quando squillò il telefono. Rispondemmo: ci chiedevano se volevamo in affido quel neonato. Se fossi uscito esattamente minuto prima non avremmo avuto nella nostra vita il dono più grande: il nostro Vincenzo. Certo - spiega Mauro -, non lo abbiamo generato. Ma ogni figlio è un dono di Dio e ogni figlio è figlio di Dio”. Non se la sono sentita di cambiargli il nome, gli hanno lasciato quello scelto dalla madre naturale, che poi è sparita nel nulla: così Vincenzo è entrato a far parte della sua nuova famiglia in maniera automatica, senza particolari problemi. Ha trovato due fratelli ormai ventenni, Matteo e Martina, che lo adorano e lo seguono costantemente.
“Credo che ogni famiglia – racconta Assunta Russo, la moglie di Maurizio - dovrebbe avere una “diversità” nel proprio nucleo. Servirebbe a dare un senso in più alle cose vere, autentiche della propria vita”. Maurizio e Assunta sono membri del Progetto Affido da circa otto anni, con cui sono entrati in contatto tramite la Pastorale Familiare della diocesi di Avellino. L'incontro con Vincenzo è stato casuale. Ma il percorso è stato poi consapevole e coraggioso. Lo presero in affido all'inizio per un anno. Poi, in tribunale seppero che nessuno voleva adottarlo, così visto che avevano già maturato l’idea di tenerlo con loro, partì la procedura per l'adozione. "E siamo riusciti nel nostro obiettivo", conferma Maurizio. La loro storia ricorda quella di Luca Trapanese, il single napoletano che ha scelto di adottare Alba, la bimba down che nessuno voleva. Maurizio lancia un messaggio ai tanti genitori senza figli: “Consiglio a chi voglia adottare un bimbo con problemi di non partire con idea preconcetta ma di maturare con tempo e consapevolezza i sentimenti veri e giusti”

  la  seconda
la  cui lettura  avviene   sulle note  di   Questi posti davanti al mare - Fossati De André De Gregori






Dalla Germania alla Sicilia per riportare a casa Vincenzo, un malato grave ricoverato in un ospedale. La Croce Rossa di Susa ha risposto all’appello della famiglia e ha organizzato il trasporto del paziente in Italia. “Aveva chiesto di lasciare un finestrino aperto quando siamo arrivati in Sicilia perché voleva sentire l’odore del mare - racconta in un video realizzato dalla Croce Rossa Italiana Salvatore Intorre, volontario della Croce Rossa di Susa -. Quando siamo arrivati a Palermo la mattina presto è stato emozionante perché ci siamo fermati al bar come aveva chiesto Vincenzo per tutto il viaggio e abbiamo preso la brioche come voleva lui ”.
Sono stati i famigliari di Vincenzo a contattare per primi la Croce Rossa di Susa. “Avevamo deciso di tornare a Palermo perché ci dicevano tutti che la situazione era grave ma c’era una piccola speranza di poter fare la chemio, mentre in Germania ci dicevano che non si poteva più fare - racconta la cognata Sabrina Filippone - Così ci siamo informati per il viaggio, in aereo non poteva salire e anche la macchina era sconsigliata. Quando la croce rossa ci ha detto che si poteva fare ci siamo sentiti confortati”Ringraziamo Fabio Giammetta e tutti quelli della Croce Rossa che hanno riportato a Palermo mio nipote”, commenta lo zio Bartolomeo Leto. Era stato Fabio Giammetta a ricevere la chiamata della mamma quando la famiglia stava cercando di organizzare il viaggio. 



“Vederlo così speranzoso di tornare a casa ci ha dato forza nel viaggio - raccontano i volontari - Si crea empatia con i pazienti ma in questo caso è stato ancora più forte”. I volontari hanno percorso oltre 2000 chilometri con Vincenzo per riportarlo per l’ultima volta nella sua Sicilia. “Me lo aveva detto che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio”, racconta la moglie Rosanna Filippone. Vincenzo, nonostante le cure, non ce l’ha fatta e quello con i volontari di Susa è stato davvero il suo ultimo viaggio nella sua terra dove voleva tornare a tutti i costi. Il viaggio della croce rossa era stato organizzato a fine marzo, la famiglia di Vincenzo ha trovato soltanto in questi giorni, a distanza di qualche mese, la forza di raccontarlo per ringraziare tutti i volontari.

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