Vogliamo iniziare il 2016 parlandovi di una località di cui tutti conoscono la strada, essendo la più breve per arrivare a Sassari, temuta perché ricca di tornanti che mettono a dura prova gli automobilisti che la percorrono. La segnaletica che porta all’annessa località, situata ai confini con Bortigiadas, è poco visibile. Piu conosciuta quella che indirizza verso le serre di Marcello Scano. Per trovare la Fumosa e poterne apprezzare la bellezza, è opportuno farsi accompagnare da persone che la conoscono bene. Ci siamo pertanto rivolti al dott. Angelo Passaghe, medico veterinario, che ha fatto costruire la sua casa, su uno dei colli che dominano tutto il borgo e la campagna circostante. Di forma esagonale, le ampie finestre fanno da cornice allo scenario che si presenta dall’interno ed illuminano il percorso, per chi di notte, fa rientro a Tempio. Almeno una volta nel corso scolastico, sarebbe doveroso portare gli studenti a visitare il piccolo borgo, nato ai primi dell’800 e tenuto in vita dall’amore e dal sostegno dei suoi abitanti, come si suol dire pochi ma boni . Abbiamo sempre
sostenuto che le migliori guide sono i nativi, che amano la loro terra e la fanno amare ai visitatori. Cosi è stato per noi con il dottore: sentirlo decantare le bellezze del luogo, la pace e serenità che trasmette a chi ancora ci vive, fa bene al cuore. La nostra guida conosce ogni zolla che calpestiamo e si ferma di fronte a tutte le piccole case, per descrivercene gli interni, anche quando sono chiuse. La prima in assoluto che incontriamo è di frati Piga e purtroppo non essendo abitata, all’esterno è stata dipinta con colori attuali, per preservarla, con grande dispiacere del dottore. Quinto di 6 figli, il nome di battesimo è Angelo Sesto, in memoria della primogenita, venuta a mancare prematuramente. Sono rimasti 3 maschi e 3 femmine. La Fumosa qualche anno fà era più conosciuta come strada che come sito, coltivato a grano. Il terreno diviso da un grande masso, delimitava il confine da rispettare nell’alternarsi della semina: nella parte superiore e in quella inferiore. Vista la distanza dal centro più vicino e la mancanza di mezzi di trasporto adeguati, si potrebbe pensare che i genitori avrebbero indirizzato i figli ai lavori di campagna. La madre dei ragazzi volle che studiassero, a costo di grandi sacrifici da parte di tutti.
La scuola elementare veniva frequentata in loco. La maestra che veniva da Sassari, signora Vannina, abitava nel piano superiore del palazzetto (le case a 2 piani così erano chiamate) dei genitori del dottore che ne occupavano il piano terra. Sempre nel piano superiore era la stanza adibita alla pluriclasse. Nella casa vicina, che è della sorella del dottore e abita a Tempio, d’estate quando arrivano tutti, viene celebrata una Messa. Ricorda il bambino Angelo che durante la ricreazione la signora Vannina sguinzagliava tutta la scolaresca alla ricerca dei ciclamini e per tenerli più impegnati, raccomandava di trovare quelli bianchi. La sera si coricava presto per potersi alzare di buon ora, poiché anche i più grandicelli dovevano portare le mucche al pascolo, la scuola per loro iniziava alle 10,30. Le visite con i vicini venivano scambiate per parlare dell’andamento della giornata, della crescita del grano, poiché nel 1950 tutto il terreno ne era seminato. In seguito avendo lasciate queste coltivazioni, il bosco se ne
è impadronito. Per San Giovanni finiva la stagione detta pasturigghjà quando il mezzadro e il proprietario, fatti i debiti conti, decidevano di continuare o scindere il contratto. Angelo affronta gli esami di ammissione, allora molto difficili, in seguito gli daranno la possibilità di accedere al prestigioso Liceo Classico di Tempio. Studia sui libri dei fratelli maggiori e la carriera gli fa superare gli ostacoli logistici. Arriva così il momento del richiamo militare e viene mandato a Trieste, dove, in brevissimo tempo, si laurea in veterinaria. Torna a Tempio e al suo rientro trova una situazione favorevole per lavorare. Il giorno dopo il congedo ufficiale, viene chiamato in Comune, poiché il veterinario reggente, che doveva spostarsi fra 5 comuni, non riusciva più a controllare il territorio. All’epoca, i pastori preferivano uccidere gli animali malati, perchè il costo delle vaccinazioni era troppo elevato. Il giovane dovette combattere anche contro questa mentalità, con un opera di convincimento, data la grande passione per la professione scelta e per l’amore che lo lega alla terra, che lo aveva visto nascere. Continua gli aggiornamenti degli studi intrapresi e tutti i convegni nelle varie regioni italiane, lo vedono presente. Collabora con la scuola per spiegare alle giovani leve l’importanza dell’alimentazione, non solo degli animali. Si specializza nella cura sia degli animali piccoli che di quelli selvatici, frequentando ancora le zone di Torino, Trieste, Slovenia. Torna sempre alla Fumosa, dove si stabilizza definitivamente con la famiglia. La moglie, di Ivrea, si adegua volentieri al nuovo modo di vivere e si integra nel posto. Insegnante di inglese nelle scuole superiori, è conosciuta e stimata. Ci racconta che le prime case sono dei fratelli Passaghe e la prima in assoluto
è del ‘700 e appartiene alla famiglia Piga. In un punto della strada, lu Rutulzu, c’è lo spazio dove veniva posizionata la trebbiatrice, visibile dalle case poste sui tre colli che si guardano fra di loro. Veniva, quindi, sventolato un lenzuolo come segnale, ed i carri con il grano, si muovevano dalle loro postazioni per raggiungerlo. Per alcuni, il percorso non era facile, nella zona dove dovevano passare, due grandi massi ne impedivano il libero accesso e le corna dei buoi ne subivano le conseguenze (da qui il nome di Baldiscorre). L‘altra parte è chiamata Monti mancanti, poiché ne manca un pezzo e lì trovano rifugio le lepri. Le case sono in tutto 17, disposte fra l’Agliola Ruia, l’Aldióla, Fumósa e Pàmpana. Ispirandosi al luogo, Fabrizio de Andrè, scrisse Una storia sbagliata. Tutti gli abitanti erano imparentati: ricorrono quasi sempre i cognomi di Passaghe, Piga, Figoni e Deiana, perché i matrimoni avvenivano tra di loro. Il borgo ci ricorda la poesia del Carducci La nebbia agli irti colli piovviginando sale ; le persone che escono sulla porta per salutarci, sono vecchie amicizie conosciute a Tempio, che frequentavano per lavoro, e tutti volevano offrirci da bere. Il tempo che passa sembra non avere per loro importanza. All’interno della casa di Pitreddu, è stato valorizzato un antico arco in granito, ma niente è stato ritorto. Troviamo la madre di alcuni alunni, Antonella con studio a Tempio,
che ci porta a vedere i suoi fiori appartenenti ad una generazione antica, vengono scambiati fra le varie case e piantate per talea, da far sembrare così, un unico percorso. Il dottore ha scelto di costruire la sua abitazione nel punto più alto della zona, ma fa presente che il termometro quando a Tempio segna 10 gradi alla Fumosa arriva a 18 e la neve, che per la strada è già alta, arriva alle case, con notevole ritardo. Il clima è favorevole agli agrumi, poiché è sopra i 400 metri. Il piccolo borgo antico è stato visitato anche dal vescovo Mons. Meloni che esclamò “ Questa civiltà e queste case sono il frutto ed il lavoro dell’uomo ”. Scopriamo piccoli alberi, alti circa un metro e mezzo, che portano ancora alcuni frutti; pere e mele spiccano colorate fra il verde del fogliame. Dei Piga ricordiamo, perché escono a salutarci, Martino, Mario e Piero, poi Battista. Un palazzetto attira la nostra attenzione, perche la ringhiera del terrazzo e ogni cosa di ferro battuto è stata tinteggiata in color glicine. Ci dicono è stata comprata e rimessa a nuovo, da una signora inglese. Ricordiamo di averla conosciuta, essendo una delle prime insegnanti private di lingua madre, ad aver iniziato una scuola frequentatissima a Tempio, alla fine degli anni 70. Ci accompagnano nella visita uno dei figli del dottore, Alessandro, allegro e ciarliero, amante della musica, l’ascolta e suona a tutto volume, senza disturbare nessuno. È’ felice di abitare nel borgo!! Gina Figoni, ricorda come da piccola, veniva mandata alla Fumosa dai nonni e zii, dove ritrovava gli amichetti e la zona ricca di frutti, arance, limoni, ciliegie, bacche selvatiche saporitissime e dalle quali venivano fatte marmellate per i dolci con mandorle e anzi, era per lei, un paradiso. Un grande avvenimento era il momento dell’uccisione del maiale, del quale come sappiamo, non si butta niente: per questo i salvadanai vengono raffigurati, il più delle volte, con le sembianze di questo animale. L’acqua era sorgiva, raccolta e tenuta nella cagghjina e bevuta da l’uppu. Gli amici della cantoniera, arrivavano per la grande festa e per aiutare come pure, tutti i vicini, al momento opportuno, l’aiuto dato, veniva restituito. Cassandra Tamponi scatta foto a pieno ritmo, cogliendo i particolari più interessanti come è solita fare. È’ tardi per noi, quando lasciamo i nostri gentili ospiti. Le luci delle case iniziano ad accendersi e girandoci indietro possiamo immaginare e sarebbe bello poter allestire un piccolo presepe fra gli alberi secolari, le stradine che portano al grande masso dentro una stalla. Del resto la parola presepe deriva da stalla, lontano rifugio del bestiame. La nostra gita è finita. Ringraziamo il dott. Passaghe, Gina ed Alessandro per averla resa piacevole e con la nostra fotografa, torniamo verso Tempio dove il primo semaforo ci riporta allo scandire del tempo ed alla realtà odierna. ( segue ) ( foto di Cassandra Tamponi )