10.9.12

Un fabbro chiamato Francesca, i segreti di un lavoro da uomo la storia di francesca frau

Il ferro è un elemento ricco di fascino e magia, dall’aspetto duro e freddo, all’apparenza grezzo e semplice. Negli anni, grazie alla maestria di sapienti artigiani nascevano opere capaci di evocare eleganza e bellezza stimolando la creatività di chi le lavorava. Da qui anche la mia passione, portandomi alla scelta di seguire le orme di mio padre, intraprendendo un mestiere antico che non ha mai perso il suo fascino  (  da   http://www.francescafrau.it/  )
 

 


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 ecco dall'Unione sarda di 9\09\2012 l'intervista a Francesca Frau
di GIORGIO PISANO  ( pisano@unionesarda.it  )
uno dei  suoi lavori che
Sull'asse Bergamo-Torino ci sono, ammesso che si possa dire così, le università del ramo: gigantesche officine dove il mestiere, se hai talento e buona volontà, lo impari davvero. Francesca Frau ha sempre sognato di varcare la soglia di uno di questi centri di perfezionamento. Giusto un corso di sei mesi, quello che - per altre professioni - si chiama master. Non l'ha potuto fare per una ragione stretta stretta: non può lasciare la sua, di officina, manco per un giorno. Chi si occuperebbe dei clienti, della carpenteria, dei pezzi d'arredamento? E se anche si trovasse un sostituto, ci riuscirebbe a forgiare certe rifiniture con la precisione e la grazia d'una mano femminile ?
Francesca, che ha trentadue anni e la testa piena di cose concrete, fa il fabbro. Probabilmente è l'unica in Italia. Nel settore ce ne sono più di trecento operative in tutte le province ma solo lei svolge anche la parte manuale, solo lei insomma fa il fabbro davvero.Mani sottili e lievi, attraversate sui palmi da un labirinto di vene che segnalano il carattere forte e deciso, è una ragazza minuta dagli occhi scuri e molto profondi, sorriso aperto e coinvolgente. L'esatto opposto di come ci immaginiamo un fabbro, salvo qualche piccola bruciatura sulle braccia, inevitabile per chi batte il ferro a temperature che oscillano tra i 900 e i milletrecento gradi. Fa impressione vederla in assetto da combattimento: scarpe anti-infortunio, maschera protettiva con schermo interno che permette di vedere nitidamente il campo operativo mentre le scintille zampillano dappertutto, grembiulone di cuoio e guanti spessi. Se scopre il viso e copre i capelli sollevando la maschera, sembra uno strano robot dagli occhi enormi.
Perché lo fa? Perché le piace, perché questo è quello che voleva nella vita. Da bambina spiava suo padre nella fucina sotto casa, a Serrenti, proprio a ridosso della dorsale che unisce Cagliari a Sassari. Pochi ci crederanno ma il suo primo disegno alle elementari raffigura quella che a lei pareva un'officina con annessa scrivania. Ultima di tre figli, si è diplomata geometra, ha annusato Scienze Politiche ma neppure sei mesi dopo - durante il solito pranzo di famiglia - ha gelato tutti: babbo, io voglio fare il fabbro.
Nel 2004 suo padre Mario, che oggi ha 64 anni, è andato in pensione e le ha ceduto la ditta. Francesca, che fa tutto da sola (acquisti e lavorazione materiali), l'ha ripescato più tardi come collaboratore «perché a far niente si ammalava, in un anno è finito tre volte in ospedale. Appena rimesso piede in officina, è tornato sano».
Dice che il suo è un mestiere che «nessuno vuole più fare e poi nelle botteghe non ti prendono ad imparare». Lei ci è riuscita vivendo incollata al padre, apprendista e instancabile stregone che memorizzava saldature e forgiature con una passione che è rimasta intatta nel tempo. Ora che è diventata addirittura titolare, non si sente affatto arrivata. Dice d'essere appena agli inizi e avere ancora molto da imparare. Nel frattempo partecipa a fiere e rassegne, s'impegna - quasi fosse uno studio matto e disperatissimo - ad affinare una tecnica che sfiora l'arte.
Fabbro: il bello qual è?
«Ogni volta che lavori un pezzo non sai mai fino in fondo che piega prenderà. Certo, tu l'idea ce l'hai in testa ma c'è sempre qualcosa che va per conto suo. C'è sempre una differenza tra la realtà e gli schizzi, tra il disegno che vorresti seguire con precisione e il ferro incandescente che si trasforma sotto le tue mani. Ogni lavoro è una sorpresa».
Il brutto?
«Mi sporco più che se facessi l'impiegata? Pazienza, basta lavarsi. Lavoro troppo pesante? Perché, la campagna invece è per signorine? L'unica cosa che devi mettere in conto è qualche ustioncina. Ma scompaiono rapidamente».
Crisi?
«Si sente, ma senza esagerare. Negli ipermarket specializzati ti vendono un cancello tutto compreso a 230 euro. Io, con quella cifra, riuscirei a coprire a malapena le spese di materiale. E la manodopera? L'importante comunque è sapere che un cancello da supermercato non è lo stesso che ti fa un fabbro».
Nessuno l'ha sconsigliata?
«Ci hanno provato ma è stato tempo perso. Conosco la mia indole, non potrei vivere buttata su un divano aspettando chissà cosa. Non riuscirei a stare davanti a un computer: sono sicura che dopo un po' lo stipendio mi servirebbe per pagare lo psicanalista».
Il paese mormora?
«Un tempo dicevano che era tutta una finta, che non lavoravo io ma mio padre. Ora spero si siano arresi, che abbiano capito. D'altra parte non ci muoio su queste cose: col paese lavoro poco, la mia clientela arriva dall'esterno. L'handicap, vero e serio, era un altro ma l'ho superato».
Sarebbe?
«Sono asmatica. Soltanto dopo un severo controllo medico sono stata autorizzata a fare quello che desideravo: il fabbro».
In famiglia?
«Mio fratello non era interessato, mia sorella vive lontanissima da questo mondo. La fissa, in casa, ce l'avevo io».
Cattiverie mai, neppure di rimbalzo?
«Fiera campionaria di Cagliari. Nello stand dove campeggiava il mio nome, due signore osservavano certi ricami in ferro battuto e commentavano sotto i miei occhi: e allora, cosa ci vuole a fare quelle scemenze? Morivo dalla voglia di dirglielo: prima di tutto, cara signora, ci vuole l'idea; dopo l'idea, la capacità di farlo, venga in officina e provi».
Ha intenzione di fare questo lavoro per tutta la vita?
«Se posso, sì. Guardo con orgoglio una mia nipotina che pare interessata: piccoli fabbri crescono. Vabbè, diciamola tutta: non faccio programmi a lunga scadenza, non sai mai come gireranno le cose domani. Diciamo che vivo alla giornata anche se non è esattamente così. Ho poche certezze: non passerò la mia vita abbracciata a un pc o in un ufficio, di questo sono sicura».
Che faccia fanno quando scoprono che il fabbro è donna?
«Qualcuno ha mostrato stupore, in senso positivo. Mi hanno detto che si vede il tocco femminile dietro l'armonia di certi pezzi. Io produco sia il moderno, che è squadrato e lineare, sia il classico, che è baroccheggiante».
Quante ce ne sono come lei?
«Grazie a Facebook ne ho scovato una in Spagna che forgia insieme al padre. Sembra un copia-e-incolla della mia storia».
Tornasse indietro?
«Niente passi indietro. Non ne farei. Sono timida ma so quello che voglio, so molto bene dove spero di arrivare. Non vivo di illusioni, sono cosciente che questo è un momento difficile per tutti. Ci sono fabbri che chiudono, la zincheria di Villacidro che riduce il personale, la cementeria di Samatzai che non se la passa benissimo. Perché dovrei star meglio io?»
Luogo comune dire che il suo è un lavoro poco femminile?
«Sarà ma è qualcosa che mi scivola addosso. Il ferro non è pesante: quando lo forgi diventa tenero come il burro. Forse pecco di superbia o forse conosco fino in fondo le mie potenzialità, ma mi pare senza senso sostenere che il fabbro debba essere un uomo per forza».
Per forza no, certo.
«Tutti i lavori che faceva mio padre oggi li faccio io. Per sollevare barre molto pesanti si adopera la gru, l'idea del fabbro tutto muscoli è ancorata al passato. Le nuove tecnologie sono entrate anche qui. Oggi si lavora col laser».
Ci si campa?
«Per il momento, sì. Pago le tasse e vivo di stipendio che, come in qualunque lavoro artigianale, varia da mese a mese. Il fatto è che oggi comprarsi la casa è un lusso, e dunque figurati se pensano agli arredi in ferro battuto. Ogni tanto mi presento a un concorso ma lo faccio per un automatismo, non perché ci creda».
Che genere di concorsi?
«L'ultimo era alle Poste. Dopo che l'ho dato e non sono stata ammessa ci ho pensato sopra: meno male, mi sarei ammalata. Ognuno fa la sua scelta. Ho amiche che sono partite e devo dire che anch'io per un po' ho pensato di trasferirmi a Roma».
Perché Roma?
«Per trovare un'occupazione coerente col diploma di geometra. Mia cugina, che è ragioniera, è poi partita davvero. Io non ce l'ho fatta a salire sull'aereo. Non posso farci nulla: sono attaccata alla mia terra, al mio mare».
Qual è il confine tra un'opera d'arte e un pezzo in ferro battuto?
«Non so se esista un confine. Per la Fiera del tappeto di Mogoro ho realizzato una lampada da pavimento che credo sia bella, valida. Dentro di me qualunque cosa faccia è un'opera d'arte perché so cosa ci ho messo dentro, so di averla fatta col cuore».
Con l'aiuto di ceramisti e vetrai, Francesca realizza lavori molto particolari. In officina sta sfreddando una collezione di pesciolini e conchiglie di mare. Altri pezzi, sicuramente più importanti, li tiene in una sorta di casotto-vetrina sopraelevato rispetto alla strada statale per colpire l'attenzione degli automobilisti che sfrecciano nei paraggi. Sono classici d'arredamento: basi per lampade, bastoni per tendaggi, fregi floreali, portacatini, oggetti da salotto e da bagno.
Pentimenti?
«Vuol dire chi me l'ha fatto fare? La differenza rispetto a tanti ragazzi della mia età è che io ho scelto di fare questo lavoro. Che m'impegna di solito nove-dieci ore al giorno, qualche volta cinque ma all'occasione arrivo a dodici. Sono davvero fortunata».
Fortunata?
«Ha idea di cosa facciano i giovani della mia generazione in paesi come questo? Niente. Alcuni dicono che non trovano lavoro, altri che sì, qualcosina c'è ma se ne ricaverebbe troppo poco. Quand'ero ragazzina andavo coi miei amici a fare la raccolta di pomodori: mi ci pagavo il campeggio per l'estate. Oggi la raccolta dei pomodori la coprono gli extracomunitari. E i ragazzi? Aspettano non so cosa al bar».
L'arrivo di una donna ha ridotto la clientela?
«No. Anzi, con gli anni sono riuscita a ingrandirla».
Ha perduto amicizie importanti?
«Neanche una ma debbo dire che ne ho sempre avuto pochissime. Il nostro vecchio gruppo, salvo quattro-cinque emigrati, non è mai cambiato. E d'estate, quando torna chi lavora fuori, siamo al gran completo: una quindicina».
Ha mai colto disprezzo?
«Quest'anno in Fiera. La moglie di un fabbro mi ha ispezionato come un medico, voleva vedere cicatrici nelle mani e nelle braccia. Secondo lei, era l'unica prova che facessi davvero lo stesso mestiere del marito».
Non ha paura di farsi male, rovinarsi?
«Durante la lavorazione tutto il corpo è a rischio. Se parte la lama di una troncatrice, puoi solo sperare nel miracolo. Io, comunque, non adopero smerigli pesanti perché la tecnologia mi consente di utilizzare il plasma. Babbo impiega ore e ore a tagliare una lamiera, operazione che si può fare oggi in pochi minuti».
Nel tempo libero?
«Sono profondamente normale. D'estate, mare; passeggio con le nipotine, lavoretti nell'orto di famiglia, cinema. Discoteca? Funziona fino ai diciott'anni, poi stufa: meglio il pub».
C'è qualcosa che non può fare?
«Perché sono una donna? Fino alla settimana scorsa, sì: non avevo mai tagliato col cannello a ossigeno lamiere molto spesse. Ci ho provato, è caduto anche quel tabù».

8.9.12

quando l'incultura diventa cultura il caso dei lucchetti dell'amore di Moccia [ reprise \ parte 2 ] ]

Ringrazio vivamente marino niola per avermi mandato via email l'articolo di repubblica da lui scritto il 7\IX\2012 e precedentemente  citato tramite  collegamento ipertestuale   nel mio post precedente . Esso conferma   quello che  ho scritto  nel precedente  post


Via i lucchetti dell’amore da Ponte Milvio. Stanno meglio al museo. Il comune di Roma ha deciso di trasferire la ferraglia che appesantisce il celebre monumento per restituire dignità a uno dei luoghi più rappresentativi  di Roma. 


Fin qui tutto bene. Il problema è la destinazione scelta per ospitare la singolare collezione. E cioè lo storico museo Pigorini, tempio della preistoria, dell’etnografia e dell’arte primitiva. È una decisione che lascia più che perplessi. Perché per un verso considera i catenacci lesivi del decoro del ponte. E per l’altro li ritiene degni di entrare in un museo. Trattandoli dunque come oggetti d’arte. Delle due l’una. O i ferri sono delle testimonianze puerili. Delle forme oggettive di vandalismo, come dice chiaramente il codice. E allora il loro posto non è certo il Pigorini ma la fonderia. O sono arte. E allora perché non lasciarli là dove l’ingombrante installazione collettiva si è accumulata?
È l’ennesimo schiaffo al patrimonio artistico, all’idea stessa di bene culturale, in nome di una malintesa patrimonializzazione degli usi e costumi di una tribù giovanile. Neanche di tutte. Con questo criterio qualunque comportamento diventa una testimonianza da salvaguardare. Anche una moda. Anche una sottocultura. Rimosse in nome del decoro monumentale e promosse in nome dell’antropologia. Di un’idea malintesa dell’antropologia che invece è una cosa seria. E prima di parlarne alla leggera bisognerebbe aver letto più libri di quanti ne abbia scritti il simpatico Moccia. Altrimenti si rischia di nobilitare come cultura popolare quel che è semplicemente sottocultura. Che non va né blandita, né assecondata, ma chiamata col suo nome.
Oltretutto la musealizzazione dei pegni d’amore diventa la legittimazione ufficiale di un fenomeno incivile che molte amministrazioni cercano faticosamente di arginare. Come quella di Firenze che ha proibito tassativamente di catenacciare Ponte Vecchio. In questo modo si dà licenza d’uccidere ai futuri lucchettatori. Che torneranno in massa a ingombrare Ponte Milvio e altri luoghi d’arte sentendosi per di più esaltati come espressionisti dei sentimenti. Dei Duchamp del batticuore. Per guadagnarsi così una corsia preferenziale per il museo. Con l’avallo di autorevoli studiosi pronti a cavalcare l’onda giovanilista. E a riconoscere significato artistico e dignità culturale a qualsiasi esternazione adolescenziale.
Ma quel che stupisce non è tanto il popolo del lucchetto, che una sua ragion d’essere ce l’ha. Da che mondo è mondo i ragazzini fanno i ragazzini. E qualche volta i ragazzacci. Sono invece le autorità che non possono fare ragazzate. E usare il museo per risolvere cerchiobottisticamente una questione imbarazzante. E trasformare una istituzione gloriosa in una discarica. Mostrando di confondere l’arte primitiva con un’idea primitiva dell’arte.

a quando una legge merlin che proibisce il gioco d'azzardo

visto che ha bisogno di soldi a quando la riapertura delle case chiuse o quartieri a luci rosse ? Invece  incurante  delle dipendenze  e  delle  ludopatie    che  fa   legalizza il gioco  d'azzardo   
da   http://www.net1news.org/ 


Il 3 dicembre arriva l'autorizzazione per Slot machine on line
Primo via libera alle slot machine il 3 dicembre.


Mentre in TV e sui giornali imperversano le notizie che i giochi danno assuefazione al punto tanto da far inserire la ludopatia tra le malattie croniche e far allontanare le sale giochi dalle scuole per tutelare i giovani come disposto dal Decreto Balduzzi che limita i giochi d'azzardo, in sordina, senza che nessuno ne parli, arriva una notizia: il governo da via libera alle slot machine on line. Il primo via libera alle slot online avverrà il 3 dicembre, poi il 17 dicembre in base alla data di rilascio della licenza. Da dicembre quindi tutti al casinò, si potrà giocare on line alle Slot Machine con tanto di autorizzazione dell'AAMS (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato). Ma andiamo per ordine: le prime licenze per i giochi on line, i più diversi, sono state rilasciate nel 2011, da quel periodo si è potuto giocare al videopoker, blackjack, baccarà ed altri con il placet dello Stato. Mancavano solo le Slot Machine, un gioco tanto “simpatico” quanto subdolo che con la sua levetta e i suoi disegnini attrae milioni di giocatori, anche tra quelli meno incalliti. Tutto questo interesse a incetivare il nuovo gioco on line porterà al mercato dei giochi “legali” nuovi e interessanti introiti (si stima il 60% in più), con i casinò legali infatti si vuol fare emergere altro "nero". I giocatori ludodipendenti e non solo, per le loro giocate, per non rischiare in un anonimo casinò offshore, sceglieranno i casinò autorizzati e "garantiti dallo Stato" per giocare alle slot.

vai e capiscile le nuove generazioni specie sui social network


 Queste nuove  generazioni mancano di elasticità mentale  e  non riescono  a decontestualizzare  quando uno ironizza  ,  sul  filo del rasoio  . E  quando poi  chiedi scusa   non ammettono  scuse  e  ti danno    subito   senza   neppure  permetterti di replicare  ( dopo ok ,  è andata  mi  ha  cancellato \  bloccato  , pazienza  , e  un altro paio di maniche  ) . A scuola  ed  in famiglia  dovrebbero informarlo  cazzarola  
Il  caso  che mi  è successo  è  questo  : io   ho  fra i contatti di fb una  ragazza  di  17  anni   Ilaria Pittorru ( vedere  url e  foto  a destra  )   amica d'amici   -- se  non ho preso  una cantonata   parente    di un mio amico  che ha  lo stesso cognome  --  che   quando  per  i suoi  17 anni   gli  ho   scritto  : <<  auguri  bambolina   >> s'incazza  : << ma chi sei?? neanche mi conosci e mi chiami bambolina, brutto viscido non ti oermettere mai più ..fai solo schifo >>  e   poi  mi blocca\  mi cancella      non facendomi arrivare  la mia  replica  che  è  questa   : << ok  , scusa  era  una battuta  .  ok  scusa non volevo   ne essere  volgare   nè prendermi troppa  confidenza era  un modo  per  dire  ragazzina  >> . Posso anche   capire  la  sua  reazione . Ma   non : 1)  il considerare   senza  conoscere  una persona  ,  che lui  sia  un porco  o simili 2) il non dare  la possibilità di replicare  e di chiarirsi  . Ma  comunque  chi se  ne frega  gente  cosi ottusa e limitata  è  meglio perderla  che trovarla . Vuol  dire  che    ha ragione  un mio contatto di fb  (  credo che seguiro  il suo commento  , tanto  non sono nè genitore  nè zio   e quindi posso rinunciare  a capire  la generazione  dei bimbiminkia  ) appena  ha  letto   su fb  di questa  vicenda  : << ringrazia dio che non ti ha denunciato.. con quello che si succede in rete sono tutti allarmati..e soprattutto non accarezzare bambini e bambine ti scambierebbero per pedofilo... io per sicurezza guardo sempre la data di nascita prme di accettare o richiedere l'amicizia ..cmq fregatene è impossibile capire le nuove gnerazioni  smiley>>.
 Tutta questa  vicenda  ed  altre   che mi sono capitate   mi fa ritornare in mente   questa   canzone   di Gaber




 dedicarla  a lei  ( e  a tutte le  altre   )   , sperando  che   capiscano  , cosa  che  non sembra  visto quello  che  è successo  ,  l'ironia

P.s

Oltre le  scuse  lascio qui in modo  che  chi la  conosca  gli le  faccia  avere  , la  sua foto e il suo profilo di facebook   , se  lei  o  chi  per  lei mi chiede  di cancellarla  , sarà fatto  .

7.9.12

quando la rozzezza -l'incultura diventano cultura il caso dei Lucchetti dell'amore di moccia che finisco in un museo

  Ho letto   su   repubblica \ Agi    d'oggi

Lucchetti dell'amore finiscono al museo; Moccia, "soluzione temporanea"

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18:05 06 SET 2012 
(AGI) - Roma, 6 set. - Addio ai lucchetti dell'amore. Il Comune di Roma ha deciso che "per decoro" i chili e chili di acciaio lasciati negli anni dagli innamorati sul ponte piu' antico della citta', Ponte Milvio, devono sparire. Ma non finiranno in una fonderia: il municipio ha stabilito che meritano di far bella mostra di se' al 'Pigorini', il museo etnografico dell'Eur. Le operazioni, ha annunciato l'assessore ai Lavori Pubblici Stefano Erbaggi, inizieranno lunedi' alle 11.
La rimozione dei lucchetti di Ponte Milvio" dice, servira' a "ridare decoro ad uno dei ponti piu' famosi di Roma, che il prossimo 28 ottobre celebrera' il 1700esimo anniversario della battaglia fra Costantino e Massenzio. Tutta la struttura con i lucchetti sara' rimossa e trasferita, grazie alla collaborazione con la Sovrintendenza di Roma Capitale, all'interno di un polo museale". Gianni Giacomini, presidente del Municipio XX, ha aggiunto Erbaggi, "si e' impegnato a garantire un controllo costante da parte della Polizia di Roma capitale". "E' la prova della collaborazione tra la Sovrintendenza di Roma Capitale e il ministero dei Beni Culturali" ha detto il sovrintendente Umberto Broccoli. Lunedi', dopo essere stati rimossi, i lucchetti saranno portati in un magazzino in attesa che sia pronto lo spazio al 'Pigorini'.

Il fenomeno dei lucchetti dell'amore, lanciato in un romanzo di Federico Moccia, e' stato in breve tempo imitato in tutta Italia e nel mondo, al punto che anche Demi Moore e Miley Cyrus nel film 'Lol' mettono un lucchetto dell'amore su un ponte americano. Davanti a Ponte Milvio sono comparsi venditori ambulanti di lucchetti di ogni foggia e dimensione (a seconda della quantita' e peculiarita' del sentimento), ma il peso dell'acciaio ha gia' giocato qualche brutto scherzo, come la sorte toccata a uno dei lampioni del ponte che, gravato da tanto amore, si e' accartocciato come se fosse di fil di ferro.
  Moccia, e' contento della decisione di trasferire i lucchetti in un museo. Raggiunto telefonicamente dall'Agi, lo scrittore e regista romano spiega che "e' importante che venga dato giusto valore a un fenomeno di costume da inquadrare in ambito antropologico".Invitato spesso all'estero per "inaugurare" ponti dell'amore (recentemente e' stato in Messico e in Spagna), Moccia sottolinea che la soluzione museale e' provvisoria. "Il sindaco Alemanno mi ha assicurato che si trattera' solo di un ricovero, affinche' non vengano persi questi simboli dell'amore. La destinazione finale - aggiunge - sara' una terrazza che possa accogliere i lucchetti, probabilmente a Ponte Milvio, e che diventi luogo di attrazione e di 'pellegrinaggio' per tutti gli innamorati del mondo".

   http://www.romadailynews.it/2012/09/

Lunedì 10 settembre via i lucchetti da Ponte Milvio! Pandolfi: "Salvaguardare il beni architettonici, non le mode temporanee!" Da lunedì 10 settembre da Ponte Milvio verranno venir tolte le migliaia di lucchetti messi lì da coppie innamorate in segno di amore eterno. La moda, lanciata qualche anno fa dai libri "Tre metri sopra il cielo" e "Ho voglia di te" di Federico Moccia, sta mettendo a rischio la stabilità del ponte, soprattutto per quanto riguarda i lampioni, a rischio cedimento sotto il peso dei lucchetti in ferro o ottone. La Sovrintendenza per i Beni Culturali di Roma cerca, però, di prendere tempo e rinviare lo smantellamento, per valutare le possibili destinazioni per i lucchetti. Tra le proposte, anche quella di depositarli in un museo. "Invito il presidente Gianni Giacomini a non cedere e ad andare avanti con il progetto. - Ha dichiarato Giuliano Pandolfi, consigliere del XX Municipio e tra i firmatari della proposta di rimozione. - C'è un concreto pericolo che un bene di valore storico e culturale come Ponte Milvio venga gravemente danneggiato da una semplice moda passeggera. I lucchetti non verranno distrutti, stiamo studiano insieme al Presidente una soluzione che ci consenta di tutelare i ricordi di tanti innamorati che con questo gesto si sono scambiati promesse d'amore, senza, però, andare a discapito della sicurezza del Ponte. Il Municipio si impegna a custodire i lucchetti in attesa di ricevere delle direttive dalla Sovrintendenza sulla destinazione definitiva da dare ai lucchetti."

nessun  commento  oltre  quello espresso  dal titolo   vi lascio  però  degli articoli  ed  interventi   che  concordano  con i mio sdegno .



 da  repubblica  dell07-09-2012 l'interessante  articolo  SI BANALIZZA LA CULTURA POPOLARE [  se  nel  caso   fra qualche  giorno  non dov'essere  più disponibile    lo potete  trovare  con il motore  di ricerca interno a di  http://rstampa.pubblica.istruzione.it/ ]    di Marino  Niola (   è un antropologo della contemporaneità. Insegna Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance ) 

alcuni estratti da  http://www.romadailynews.it/ più  precisamente  da qui  alla  voce  articoli correlati 







dubbi elettorali

 Come da  titolo  ho  questo dubbio  :   non andarci ma  cosi  vince   di  nuovo lui  anche se di poco  o  succederà  come  nel periodo  2005 2007  dove  il  governo dipendeva  dai vecchi cariatidi  dei senatori  a vita  . , Andarci ma  poichè
e  usare  l'uccello  ehm   le  gambe  per prendere la matita  e votare

6.9.12

Censura preventiva allo stadio: approvato l’albo degli striscioni


 da  http://www.ilqualunquista.it

Dalla nuova stagione calcistica non sarà più possibile recarsi allo stadio portando con sé un cartellone con su scritto: “Ciao mamma!”. Pena, sequestro preventivo dello striscione sovversivo. Se si vuole salutare la propria madre sperando che qualche telecamera riprenda il cartellone bisogna prima accedere al sito dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, compilare dei moduli ed iscrivere il messaggio “Ciao mamma!” nell’albo nazionale degli striscioni. Non è detto che l’efficiente commissione dell’ente approvi e accetti l’iscrizione all’albo di un semplice saluto volto ad un proprio genitore perché potrebbe sempre riscontrare qualche messaggio criptico volto ad istigare l’odio tra tifoserie.
Non si sa mai.
La misura restrittiva dovrebbe servire a mettere da parte quei pochi di buono che definiscono i partenopei “colerosi” o partenopei che sono convinti che “Salerno puzza di merda“, quelli che portano svastiche o inneggiano al nazismo o al fascismo. Ma siamo sicuri che l’Osservatorio isoli esclusivamente queste forme comunicative? E se qualcuno volesse criticare aspramente il governo Monti? Oppure il vecchio governo Berlusconi con il suo ministro Maroni, autore di uno dei provvedimenti più inutili della storia italiana (la tessera del tifoso)?
E se qualche ultras burlone si divertisse a prendere in giro Pato evidenziando la sua relazione con Barbara Berlusconi? Cosa ci sarebbe di male? Ovviamente nulla, ma l’ente preposto alla verifica di questi messaggi senza dubbio respingerebbe l’inserimento di uno sfottò del genere all’interno della graduatoria.
Questo provvedimento alimenta la censura preventiva. Siamo certi che gli striscioni recanti offese o diffamazioni continueranno a campeggiare nelle curve (entrano costantemente bombe carta e petardi, figuriamoci un pezzo di carta), mentre “Ciao mamma” scomparirà dal momento che nessuno si prenderà la briga di registrare una tale amenità.
Quando non si riesce a fronteggiare i “violenti” si applica la censura.
Davide Ferrante

quando un paraolimpionico è un vip i media ufficiali si svegliano

e  che  c..........  ci voleva   l'oro  di Zanardi   perchè  repubblica   s'accorgesse   che  anche nelle paraolimpiadi  ci sono atleti  bravissimi  e nel caso del nuoto  più detterminati

La nostra Africa storie di ordinario altruismo


da repubblica online
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L'anno scorso, alla Mostra di Venezia, le sezioni (cosiddette) minori erano affollate di opere dedicate agli immigrati. Un segno esplicito del cambiamento - sociale e culturale - prodotto dalla presenza degli stranieri fra noi. Una novità, non ancora assorbita, che il cinema ha colto e narrato. Quest'anno è avvenuto lo stesso. Anche se in senso opposto. Attraverso l'osservazione della nostra presenza in terre lontane. Da dove provengono molti immigrati. La prima opera presentata - fuori concorso, il giorno stesso dell'inaugurazione - punta, infatti, l'obiettivo sull'esperienza del CUAMM. Un'Organizzazione Non Governativa, di ispirazione cattolica, che, nella sua storia ormai lunga, ha garantito la presenza di oltre 1300 medici e infermieri volontari in diversi ospedali dell'Africa. Il film-documentario, girato da Carlo Mazzacurati, si intitola, descrittivamente, "Medici con l'Africa".

Ambientato dentro e intorno a un ospedale del Mozambico, è una storia che intreccia molte storie. Storie di medici italiani, che provengono da contesti diversi. Con specialità diverse, motivazioni diverse. Alcuni mossi da "spirito rivoluzionario", hanno seguito i luoghi dei movimenti di liberazione, fino ad arrivare lì, in quel luogo lontano da noi. A dare se stessi agli altri. Alcuni - i più - mossi da spirito solidarista. Cattolici e laici. Il docu-film racconta storie e drammi quotidiani. Il dolore dei bimbi e delle madri, in un'area dove la maternità è spesso dolore. E morte, invece che gioia. Racconta, ancora, il dolore dei malati, in un mondo dove mancano medicine e attrezzature. Mazzacurati affronta queste storie ponendosi, come sua abitudine, alla "giusta distanza". Senza pietismo. Semmai con grande pìetas. L'Africa che emerge dal film è diversa da quella proposta da altri racconti e da altri film. Sicuramente non c'è nulla di esotico, nella rappresentazione. Ma neppure di patetico.

L'Africa: una realtà lontana eppure vicina. Anche perché le storie dei medici e dei pazienti sono legate da un filo che unisce i due mondi. Noi e l'Africa. Storie riassunte e cucite insieme dalla storia del CUAMM e di chi lo conduce. Di chi l'ha immaginato e fondato, oltre 60 anni fa. Un prete, don Luigi Mazzucato. Un "imprenditore del Bene Comune". Che ancora oggi, a più di 80 anni, passa la sua vita tra l'Italia - il centro: a Padova - e gli ospedali dell'Africa. E poi, al telefono. A chiamare o richiamare medici, disponibili a spostarsi, per un periodo più o meno lungo, in Mozambico. Oppure nel Sud Sudan. E ancora: in Tanzania oppure in Angola. O in Sierra Leone. Molti medici, pronti a partire e a ri-partire alla chiamata di don Luigi - e dei volontari del CUAMM.

Pronti a muoversi in fretta. Oggi stesso. Perché nell'Africa profonda c'è un ospedale rimasto senza medici. Questa storia di storie è sorprendente. Stupisce. Spiazza. Perché spesso noi siamo abituati a rappresentarci cinici ed egoisti. Non senza ragione. Vediamo e valutiamo la nostra società: amorale e qualunquista. E consumista fino all'estremo eccesso. L'accostamento con l'Africa, d'altronde, è devastante. In grado di denunciare, più di ogni discorso, quanto la nostra economia e la nostra vita siano fondate sul mercato e sul "consumo" dell'inutile. Sullo spreco in-giustificato. Eppure, "Medici con l'Africa" mostra, con altrettanta evidenza, come qui, in questa stessa società, vi siano enormi "riserve di altruismo". Una disponibilità estesa di persone e gruppi rivolti al "bene comune". Impensabile, per chi non è abituato a guardare oltre la superficie. Oltre il senso comune. Che considera l'altruismo un optional. Ma il "bene comune" è un "Bene ostinato", come ha raccontato Paolo Rumiz, in un bel libro (pubblicato nel 2011 da Feltrinelli), dedicato anch'esso alle "missioni" del CUAMM in Africa. (Missioni intese come vocazione e impegno. Perché gli uomini del CUAMM, non sono missionari e svolgono la loro missione negli ospedali civili dell'Africa.) "Ostinato", perché si impone contro ogni giudizio e pregiudizio. Tanto più perché, non per caso, nasce nel Nordest. Nella terra degli egoismi, secondo i luoghi comuni. Dove, invece, per riprendere le parole di Rumiz, incontriamo "il nucleo di un altruismo" altrettanto ostinato.

Perché il "bene comune" non è un consumo voluttuario ma un bene di prima necessità. Per spiegarlo Mazzacurati si serve delle parole di una dottoressa che, da molti anni, continua a recarsi in Mozambico. "Non lo faccio per loro, gli ammalati, i poveri" - recito a memoria - "Non solo per loro. Lo faccio per me. Soprattutto per me. Perché ne sento e ne ho bisogno. Senza l'Africa, senza di loro: non riuscirei a vivere". Senza l'Africa, i suoi ospedali, i suoi ammalati: i medici impegnati nel e dal CUAMM si sentirebbero e sarebbero sicuramente più poveri. Perché fare bene fa stare bene. Perché senza gli altri: noi stessi non esisteremmo.

(06 settembre 2012)

4.9.12

IL CASO Testamento digitale, se il padre non può lasciare la musica scaricata in eredità ai figli


  repubblica online 



L'attore Bruce Willis avrebbe voluto lasciare in eredità alle figlie la sua copiosa collezione di canzoni di iTunes, ma Apple non cede: le licenze d'uso non lo prevedono. Il testamento digitale si scontra con le licenze d'uso

NON è come il caro vecchio disco di vinile che veniva tramandato di padre in figlio. Quando si parla di parla di canzoni scaricate da iTunes tutto si complica. Anche se sembrerebbe facile lasciare agli eredi le amate melodie sul Pc, tutto cambia. Questa volta il divo americano Bruce Willis, secondo alcuni quotidiani inglesi, protagonista di Die Hard ed ex marito di Demi Moore, non è impegnato in un nuovo film d'azione, ma di una battaglia digitale. Secondo quanto riportano il Daily Mail e The Guardian, avrebbe voluto lasciare in eredità alle figlie la sua vasta collezione di canzoni di iTunes, ma Apple non vuole. Le licenze d'uso non prevedono il passaggio di testimone. Chi compra un Dvd oggi sa che può tenerlo per sempre, ma anche lasciarlo a amici o parenti. Mentre chi scarica un brano musicale o un video dal jukebox di Apple, sfrutta un licenza d'uso personale, ma niente di più. Insomma se il pezzo non è stato acquistato, non è di proprietà e dunque non può essere lasciato in eredità.
Ma Willis non si sarebbe arrende. Anche se siamo abituati a vederlo combattere per salvare il mondo o fuggire da criminali o terroristi, ora avrebbe deciso di avviare una battaglia digitale sulla questione. Secondo i giornali inglesi, Bruce Willis  è pronto a portare Apple in tribunale per rispondere a questi interrogativi.
"Molta gente sarà molto stupita nello scoprire che tutti quei pezzi, quei film o libri che hanno comprato negli anni, non sono di loro proprietà 
- ha detto l'avvocato dell'attore Chris Walton, intervistato dal giornaleDaily Mail - . E' chiaro che si vorrebbe trasmettere tutto questo patrimonio alle persone che si amano. La legge deve recuperare il ritardo in questa materia e Apple dovrebbe aggiornare le sue regole e trovare le migliori soluzioni per i suoi clienti" Anche se la moglie di Willis ha scritto in un Tweet che quanto riportato dal Daily Mail non è vero, definando la storia una "falsa notizia", la querelle su che fine faranno le collezioni musicali dopo la morte di un utente, rimane una questione aperta. Anche Forbes ricorda che il tema del "testamento digitale", nell'era di e-book, musica, film e beni digitali, non è affatto banale. Le persone acquistano beni digitali, anche per figli e familiari. Ma la verità è che oggi il contratto fra l'utente e il servizio di Apple termina quando la persona muore. A quel punto, se Apple sospetta che una persona sia deceduta, può congelare il suo accaount e impedire che le canzoni vengano ascoltate.
Il rapporto si basa infatti su un account personale che non può essere trasferito a nessun altro. C'è dunque una differenza non trascurabile fra supporto fisico e digitale: uno si tramanda di generazioe in generazione, l'altro no. Infatti l'Electronic frontier foundation (Eff) spiega che Cd e Dvd possono essere prestati, venduti o regalati senza il permesso del detentore del copyright: "Lo hai comprato, lo possiedi" e ne fai quel che vuoi. I download di musica digitale invece non funzionano così.
La sezione B dell'accordo sui termini di servizio di iTunes è chiara: tutti i paletti sono esplicitati da Apple. Cosa succede invece nel caso di altre società che forniscono servizi simili come Amazon e Google? Infatti problemi analoghi si pongono anche, ad esempio, per i numerosi libri che si scaricano con Amazon. La pratica delle restrizioni è standard, perché Apple ha fatto scuola. Ai tempi del Digital rights management (DRM) la pratica delle restrizioni era nota a tutti. Da quando Steve Jobs aprì ai file DRM-free, le altre restrizioni sono rimaste, anche se in modo implicito. Forzare i termini di licenza, non è possibile: è un furto, secondo The Guardian. Apple e i music store sono solo intermediari fra l'artista e l'utente, e i termini di licenza rimangono totem intoccabili.
(04 settembre 2012)

IL FISCO TASSA UN ORFANA DI PADRE [ AGGIORNAMENTO ] MA POI LA GRAZIA

Nel  post precedente  avevo  parlato   dell'ottusità'  di equitalia  che era  arrivata  a tassare  una bambina di sette  anni orfana di padre . Ebbbene   ci sono  ulteriori  aggiornamenti in meglio .  sempre  dall'unione  Gallura  del 4\9\2012 

Il nonno della piccola incontra il direttore dell'Agenzia delle entrate

Il fisco “grazia” l'orfana

Bimba tassata: via ai controlli sull'imposta

Per la Direzione centrale dell'Agenzia delle entrate, la cartella è stata inviata per errore. Ma la richiesta di pagamento resta.

Adesso la cartella esattoriale notificata a una bambina olbiese di sette anni (orfana di padre), non ha più un mittente. Infatti, per la Direzione centrale dell'Agenzia delle entrate si tratta di un errore materiale e i vertici del fisco non aggiungono molto altro per spiegare il caso. Ma sempre ieri, il nonno della piccola ha incontrato il direttore dell'Agenzia delle entrate olbiese, che gli ha confermato l'avvio di una verifica interna sulla richiesta di pagamento di 170 euro indirizzata alla minore.
CONTI DA RIFARE Dunque, la cartella potrebbe essere anche il risultato di un errore. Ma, intanto, resta in piedi il procedimento del fisco, avviato nei confronti della madre della bimba, per il recupero dei 170 euro. È questo l'altro aspetto interessante della vicenda, perché, ieri, è stato spiegato a Giuseppe Rossi (nonno della piccola destinataria della cartella esattoriale) che la storia della riscossione coattiva per poche centinaia di euro deve essere ancora chiarita. Insomma, neanche gli specialisti del fisco, per ora, possono mettere la parola fine al caso, poco edificante, di una diffida indirizzata a un minore.
IL DRAMMA Ieri mattina, Giuseppe Rossi è stato ricevuto dal direttore dell'Agenzia delle entrate di Olbia. Il responsabile della sede gallurese del fisco ha fornito, nei limiti del possibile, tutte le spiegazioni utili per chiarire la vicenda.. Per cercare di capire, bisogna fare qualche passo indietro. Il padre della bambina olbiese, finita nell'elenco dei debitori di Equitalia, è morto nel maggio del 2008 in un pauroso incidente stradale. Franco Diana viaggiava con i fratelli Mauro e Paolo a bordo di un'utilitaria, l'auto venne travolta da un camion e per i tre uomini non ci fu niente da fare. L'autista alla guida dell'autoarticolato è stato condannato a cinque anni di carcere, la sentenza è stata appellata e a breve inizierà il processo di secondo grado. Franco Diana era un dipendente della De Vizia, l'azienda che si occupa di raccolta dei rifiuti in città. La vedova dell'operaio (e la figlia) hanno ricevuto una striminzita liquidazione. Il problema riguarda proprio il trattamento di fine rapporto.
LIQUIDAZIONE “GONFIATA” Giuseppe Rossi ieri ha scoperto che le tasse richieste alla figlia e alla nipotina, sono state calcolate sulla base di una liquidazione vicina ai 10mila euro. Ma i familiari di Franco Deiana hanno ricevuto una somma che non arriva ai duemila euro. Per questa ragione Agenzia delle entrate e la De Vizia, dovranno rifare i conti. Poi si vedrà. Forse, però, la cartella per bimbi sarà buttata nel cestino.
Andrea Busia

le medaglie dele paraolimpiadi valgono meno di quelle dei monodotati VERGOGNA


Premi-Coni
Siamo giunti ormai a metà del cammino delle Paralimpiadi di Londra, raccontando magnifiche storie che spesso sono solo la punta dell'iceberg di un mondo che lotta per la parità e vale la pena fermarsi per un momento a fare una riflessione come ha fatto nei giorni scorsi Fabrizio Bocca su Repubblica (a cui si deve anche l'immagine di apertura).
Per le istituzioni sportive italiane le bracciate d'Oro di Cecilia Camellini valgono meno delle potenziali medaglie che avrebbe potuto conquistare Federica Pellegrini, molto meno, un valore vicino al 50%.  (  continua  qui  )

solidarietà al cronista Antonio Mazzeo non lasciamolo solo

dalla  pagina  facebook    degli amici  messinesi sanspapierband
premetto che non sono  siciliano  , ma  l'attacco ( trovate  sotto  i dettagli  )  subito  dal giornalista antonio mazzeo mi sembra  che sia  d'una mentalità  anni  30\50  quando si dice  che la mafia non esisteva  .  
Io  ho letto   vari articoli e sentito in vari interventi sul  web  del  sudetto giornalista   mi sembra  (  e il video sotto delll'amico  Renato Accorinti



  lo conferma  )    tutt'altro che  fazioso  e  di parte  . E  non è  una  novità   che quella  zona  ( ovviamente   tenendo  che   ci vivono persone  oneste   anche se poco  coraggiose  ) non è nuova  alla  presenza  mafiosa  leggetevi questa  contro inchiesta  di  www.terrelibere.it  sullIncidente ferroviario di Rometta Messinese (  i fatti sono  tratti da  Da Wikipedia, l'enciclopedia libera  alla   voce Incidente ferroviario di Rometta Messinese


L'incidente ferroviario di Rometta Messinese si verificò il 20 luglio 2002, alle 18:56

Dinamica dell'incidente 

Il treno Espresso Freccia della Laguna, proveniente da Palermo Centrale e diretto a Venezia Santa Lucia, è appena partito dalla Stazione di Milazzo. Nella stazione di Messina Centrale dovrà unirsi all'altra sezione di treno, proveniente da Siracusa, per poi proseguire verso Venezia Santa Lucia.
In prossimità del segnale di protezione della stazione di Rometta, improvvisamente il locomotore E656.032 esce dalle rotaie, compie un giro di 180° ed urta violentemente le strutture laterali del ponticello sul sottostante torrente. Il resto del convoglio si stacca dalla motrice e dopo alcuni istanti va a schiantarsi sul casello ferroviario, per fortuna impresenziato. L’edificio viene sventrato in due parti. Un giunto mancante è la causa del disastro.
Sette persone rimangono intrappolate e perdono la vita oltre ad uno dei due macchinisti della locomotiva elettrica E656.032 fermatasi in bilico su di un ponte. Diversi vagoni del convoglio che trasportava circa 190 persone cadono in una scarpata di alcuni metri. Il bilancio finale è di 8 morti e 58 feriti

Indagini 

La macchina era stata revisionata da poco tempo e viaggiava a circa 105 km/h a fronte di un limite di circa 120 ammessi dalla linea in quel tratto specifico. La linea è sotto accusa: la manutenzione del binario terminata da pochi giorni non ha evidenziato un armamento non proprio in ordine. Il collaudo del binario, avvenuto con esito favorevole, ha visto il ripristino della normale velocità.
Da qualche tempo il personale di guida aveva segnalato, sugli appositi moduli, alcuni sbandamenti anomali rispetto ai caratteristici movimenti della macchina in corsa. Quella tratta era sottoposta a lavori di raddoppio e solo da pochi mesi era stata aperta ufficialmente all'esercizio una nuova galleria a doppio binario, la Galleria Peloritana, sotto i Monti Peloritani.
Dal 2002 tutti i convogli semi-distrutti si trovano depositati nell'area della stazione.



per chi volesse saperne di più oltre il video Renato  e  lo foto  riassuntiva      sopra riportati qui trova una sintesi della vicenda e non solo :



A  Voi  ogni giudizio in merito 


3.9.12

Rodriguez, da terrorista a medagliato Nel 1985 si trovava a capo di un'organizzazione terroristica e venne condannato a 84 anni di detenzione per omicidio e militanza in un gruppo terroristico. Nel 1994 la grazia e da lì l'inizio della carriera parolimpica


Rodriguez, da terrorista a medagliato

Nel 1985 si trovava a capo di un'organizzazione terroristica e venne condannato a 84 anni di detenzione per omicidio e militanza in un gruppo terroristico. Nel 1994 la grazia e da lì l'inizio della carriera parolimpica

E' capitato spesso, soprattutto in passato, che le Paralimpiadi, così come molte gare sportive dedicate ad atleti disabili, passassero in secondo piano. Non si può dire che questo non accada più, ma se oggi l'attenzione su queste gare è notevolmente cresciuta lo si deve, più che ad una maggior sensibilità raggiunta dal pubblico, al grande lavoro di alcuni atleti parolimpici che, nel corso degli anni, sono diventati personaggi noti nel mondo dello sport.
Impossibile non pensare a Oscar Pistorius e alla sua battaglia per essere ammesso alle Olimpiadi, o a Cecilia Camellini, star dello sport azzurro degli ultimi giorni, o ancora alla pallavolista britannica Martine Writht, vittima degli attentati terroristici che colpirono la metropolitana di Londra il 7 luglio del 2005 e che costarono la vita a 52 persone. Martine non morì, ma in quella occasione perse entrambe le gambe. Proprio davanti ad esempi come questi, oltre che per rispetto di una morale comune di cui ormai viene da mettere in dubbio l'esistenza, certe storie sono francamente difficili da accettare.
Ha fatto scalpore, ma forse non nel modo che ci si aspetterebbe, la storia dell'ex terrorista spagnoloSebastian Rodriguez, condannato nel 1985 a 84 anni di carcere per l'omicidio di un uomo d'affari e per il ruolo di comando in un'organizzazione terroristica che in Spagna ha causato tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta 75 vittime.
Rodriguez, divenuto paraplegico dopo uno sciopero della fame messo in atto durante la sua detenzione, ha ricevuto la grazia nel 1994, a soli nove anni dall'arresto, e da lì si è dedicato alla carriera sportiva divenendo plurimedagliato paralimpioco.
In tanti parlano di favola, ma appare onestamente difficile capire dove sia il lieto fine. A quanto dicono si trova nella redenzione, o presunta tale, che un ex criminale come Rodriguez sarebbe riuscito a trovare nella vita da atleta, nella seconda possibilità offerta dallo sport a una persona la cui vita sarebbe altrimenti terminata fra le mura di un carcere.
Una seconda possibilità dunque. Quella che non avranno mai l'uomo che lui ha ucciso e le altre 74 vittime dell'organizzazione di cui si trovava a capo. Quella che non avranno le loro famiglie, che insieme al dolore per la perdita di qualcuno, un dolore che non si cancella nemmeno in due decenni, si trovano ora costrette a vedere la causa delle loro sofferenze acclamato come un eroe nazionale.
Dopo la sua gara Rondriguez ha detto di essere consapevole del fatto che il passato non si possa cancellare. Vero, il passato non si può cancellare, ma, soprattutto in certi casi, non si può, e non si deve, nemmeno dimenticare.

Green Hill, molti beagle rigettati dalle famiglie di adozione Dopo l’entusiasmo iniziale per SOS Green Hill, molti ci ripensano e in malo modo



Inferno andata e ritorno per molti cuccioli di beagle che, sopravvissuti all’orrore di Green Hill, l’azienda di Montichiari che li allevava a fini di vivisezione, hanno finito per subire ben altri disagi: abbandoni in autostrada, come nella più classica delle casistiche del periodo, o restituzioni improvvise, non sempre dalle motivazioni nobili.

Dopo il successo della campagna Sos Green Hill, secondo quanto riporta "Bresciaoggi", sono molti i padroni di nuovo corso che hanno fatto revisionismo, adducendo giustificazioni poco nobili: “ho impegni e non posso prendermi cura del cane”, ma anche “l’animale è insopportabile, tenetevelo”. I beagle di Green Hill sono un simbolo, al contempo, di lotta e sofferenza ma usciti dalle gabbie sono pur sempre animali: passato l’entusiasmo, molti hanno capito che le responsabilità non erano di poco conto. Quindi il dietrofront, che condanna i cuccioli a un nuovo destino incerto.

Cosa ne pensi dei test sugli animali? Il progetto Agorà mette a confronto due opinioni, una pro e una contro. Per capirne di più leggi i due editoriali a confronto


L’affidamento degli animali, partito a fine luglio, ha alla base un iter in base al quale la Procura della Repubblica di Brescia ha dato alle associazioni denuncianti LAV e Legambiente la custodia giudiziaria dei cani. Il Corpo Forestale dello Stato era stato incaricato della redazione dei verbali di affidamento con i microchip dei singoli animali che sarebbero stati consegnati. Sui siti e nelle sedi nazionali delle Associazioni e dei Comitati che hanno sposato il progetto, da fine luglio, era quindi possibile candidarsi ufficialmente candidarsi.

Inoltre, l’affido è temporaneo fino a disposizioni altre della magistratura. E pensare che la Lav aveva anche chiaramente detto che, da cani nati e vissuti in cattività, era logico aspettarsi potenziali problemi comportamentali o fisici. Il rischio insomma, preventivato, era che ci fossero rientri. L’adozione, o affido che dir si voglia, insomma era “gratuita e responsabile”. Ma a molti piace vincere facile il beagle gratuito, meno prendersi le responsabilità.


Yahoo! Notizie - Video: Betta, uno dei beagle di Green Hill

L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA

da  Claudia Pasquariello 18 dicembre alle ore 15:10 · Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo ...