Senza titolo 1393


in  questo ultimo mese  estivo  oltre al tragico 26° anniversario   dellan della strage  alla  stazione  di bologna ( vedere  foto  qui al lato  una delle foto che troverete sul collegamento ipertestuale     e  qui per chi  vuole ricordare  o non  conosce  tale  evento )    da poco celebrato  ,  si celebra  anche  il ventennale di Dylan  Dog  il  fumetto più longevo della Sergio  Bonelli editrice   dopo i suoi  classici  come  Tex,Zagor e  anche Mister No .
Esso  è stato  ( e lo  è tutt'ora  ) il mio bagaglio   di viaggio  . E grazie a lui  che  ho  imparato (  anche se non sempre riesco a metterla  in pratica   )  a rispettare la sensibilità degli altri  ,  a non giudicare per il loro passato e le  loro scelte  , ad inizare  (  è ancora in corso ) il percorso  dell'anti razzismo e  dela non violenza  .
Dall'anterprima   del sito  non ufficiale  Ubcfumetti   (  qui l'articolo  sconsigliabile  a  chi  odia le anticipazioni  ) desumo che da  qui  a ottobre    ne  vedremo dele  belle   . Infatti anche il quotidiano l'unita
pubblichera  da  sabato  a puntate La storia di Dylan Dog  Zed ( la  prima  storia   che me lo ha  fatto scoprire  )  L´ha scritta e sceneggiata Tiziano Sclavi e l´ha disegnata Bruno Brindisi, una delle migliori matite italiane, dal tratto elegante ed accurato. È stata pubblicata per la prima volta nell´albo n. 84 della serie mensile, uscito nel settembre del 1993. Come tutte le storie dell´«indagatore dell´incubo» è il trionfo della citazione. Ve ne svelo due: una riguarda il personaggio di Scout le cui sembianze sono quelle dell´attore francese Christopher Lambert; l´altra le creature dei Morloch e gli Eloi che abitano la magica terra di Zed, «copiate» dal romanzo La macchina del tempo di H.G.Wells, in particolare nella versione cinematografica di George Pal dal titolo L´uomo che visse nel futuro (1960). Ce ne sono altre e scoprirle è un gioco che lascio  a  vopi miei  cdv  ,
Dylan stesso è una citazione: ha la faccia e il corpo agile dell´attore inglese Rupert Everett, come pure una citazione è il suo fido aiutante Groucho Marx, identico nel nome e nell´aspetto al celebre comico e, come lui, inesauribile fonte di battute e freddure. Citazione è la via dove abita Dylan Dog, Craven Road, omaggio al regista horror Wes Craven. Per questo «citazionismo» Dylan Dog è stato definito il primo fumetto postmoderno: per questo suo pescare ( anche se  adesso   sta perdendendo  un po' di smalto  ) nei generi letterari e cinematografici ma anche nella musica, nella tv, nei cartoon e ovviamente nel fumetto, costruendo un linguaggio di linguaggi, una narrazione di narrazioni. Tiziano  Sclavi, il suo inventore, dice, citando (e come sennò) Totò, che «tutti sono capaci di fare, è copiare che è difficile!». E ha ragione, perchè nelle storie di Dylan Dog scritte da lui (e dai molti suoi allievi, a cominciare dal bravissimo Mauro Marcheselli,e  paola Barbato  che hanno ben imparato la lezione) non c´è nulla di scontato ( o quasi )  e il «già visto» ( più che il «già detto», perché il fumetto è linguaggio essenzialmente visivo ) lo vede chi vuole e sa vedere. Qui c´è una delle chiavi dell´enorme successo di questo fumetto nato nel 1986: nell´essere un testo ricco di sottotesti che possono essere letti e goduti da età, culture e sensibilità diverse.
Ma c´è altro. C´è una capacità narrativa e di sceneggiatura che ha pochi eguali, anche se non tutte le 239 storie uscite fino ad oggi, come succede alle ciambelle, sono riuscite col buco. C´è ritmo e montaggio come nel miglior cinema, spesso con finali che non chiudono ma aprono al dubbio e alla «scrittura» dello spettatore che, se vuole, può mettere lui la parola fine. C´è o ci potete trovare simboli, allusioni, metafore e, se proprio volete - com´è sacrosanto - soltanto divertirvi, potete abbandonarvi al «piacere della lettura».
E poi ci sono i «segni». I disegni, insomma, ormai diventate «icone», come Dylan e la sua mise: jeans, camicia rossa, giacca nera e scarpe Clarks. Su Dylan Dog sono nati, si sono esercitati e sono cresciuti grandi talenti. Claudio Villa che ha definito i tratti grafici e fisici del personaggio e che è stato l´autore delle copertine fino al n.41; Angelo Stano che ha raccolto l´eredità delle copertine e che, aveva disegnato il primo numero L´alba dei morti viventi, con quel suo stile inconfondibile che cita Egon Schiele; e poi Giampiero Casertano, Corrado Roi, Bruno Brindisi, Giovanni Freghieri, il duo Montanari&Grassani, Luigi Piccatto e tanti altri  ed  è  questo  che  continuo a comprarlo  anche  se  mi sta piacendo sempre meno  per : 1)  monotonia  ; 2)  modello centralizzato   imposto dalla casa editrice  ,  ne sono un esempio certe storie   che  sembrano più adatte a Martn Mystere  . 3)  paura di  rinnovare il personaggio  , come es  , perchè  non farlo rientrare  a
ScotIand  e dargli un  ufficio   che   si occupi dei  casi  Xfile  (  proprio come  l'omonima serie  tv  )  ,  o magari fare  delel storei  del passato in cui  Dylanm era  ancora  un poliziotto   e  gli si presentano  casi   Xfile  . Se  continuano a comprarlo è perchè : 1)  e proprio come  me  alla continua ricerca  di un centro di gravità permanente  ; 2)  per sapere   se   si risolvono i misteri che ancora lo caraterizzano  , l'origine del suo flauto  ,  il perchè  suona ( anche se  ora sempre di meno )  il trillo del diavolo di  Giuseppe Tartini ( qui   una guida  all'ascolto  di tale  autore  ) . Inoltre  ciò che cartatterizza Dylan Dog  sono  anche gli oggetti, le pose, le situazioni, le frasi ricorrenti, i «tormentoni» insomma. Dylan che suona il clarinetto e costruisce un veliero che non riesce mai a finire; il campanello della sua casa che non suona ma lancia un uaarghh!, urlo terrorizzante che sveglia il vicinato; il maggiolino di Dylan, una scassata Volkswagen con la targa Dyd 666 (il numero del demonio); la paga giornaliera da investigatore (50 sterline più le spese); l´imprecazione preferita da Dylan (Giuda ballerino!); e le infinite battute di Groucho.
Dylan Dog ha a che fare con la violenza umana e disumana, ma non è un violento, non porta la pistola e, se proprio è costretto ad usarla, la chiede al fido Groucho che sta sempre lì pronto a lanciargliela. Non ama l´alcol. In compenso ama molte donne e ad ogni storia ci finisce a letto; qualche volta si è innamorato per davvero. Risolve tutti i casi ma non ha ancora risolto, come molti di noi, il rapporto con il padre e la madre. Che si affacciano ogni tanto nelle sue avventure sotto le forme diaboliche e fatate di Xabaras e Morgana. Nel numero 100 e nel 200 ci ha rivelato qualche cosa di quei rapporti (anche di quello con l´amico e rivale ispettore Bloch). Chissà se nel numero 300 ci farà capire chi è veramente Dylan Dog ?  Io Spero di Si 
Voglio concludere  il post  con un'intervista  che trovate
in versione cartacea   ( o online   fra  gli articoli scelti se  siete registrati )  sull'edizione  dell'unita di oggi 4\8\2006  fatta  Tiziano  Scalvi  :

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Sclavi: «Io e Dylan anarchici a fumetti >>   di  Renato Pallavicini


Lo celebriamo un po´ in anticipo, con quest´intervista a Sclavi e con la pubblicazione su l´Unità (a partire da domani e fino al 29 agosto) di Zed, una delle sue storie.
Vent´anni di Dylan, vent´anni a fumetti ma, anche vent´anni di vita. Che cosa è cambiato, da allora, nel personaggio e nel suo autore?
«Io sono di vent´anni più vecchio di lui, purtroppo. I personaggi dei fumetti, nella maggioranza dei casi, hanno sempre la stessa età (nel caso di Dylan circa 33 anni, cioè quanti ne avevo io quando l´ho inventato), e per loro cambia ben poco. Per me è cambiato tutto, sono successe mille cose. Ma non voglio annoiarvi con la mia storia: quelle di Dylan sono, spero, molto più divertenti».
Come, dove e quando nacquero idea e personaggio?

«Dylan è nato in modo molto semplice. La Bonelli veniva da una serie di tentativi purtroppo falliti in altri campi dell´editoria (per esempio la rivista Pilot, che io avevo diretto), e si è deciso di tornare a concentrarci sui nostri classici albi, da Tex a Zagor> a Mister No, creandone possibilmente qualcuno nuovo. Io, seguendo una mia passione di sempre, ho proposto il tema dell´horror, subito accettato dall´editore, altro fanatico del genere. Il personaggio poi è nato a tavolino, con molte discussioni tra Sergio Bonelli stesso, il direttore Decio Canzio e me. In realtà non mi interessava molto chi fosse, se avesse una spalla comica o meno, se agisse a New York o a Londra. La mia aspirazione, indubbiamente ambiziosa, era di creare un linguaggio nuovo, e di infrangere la vecchia barriera tra "fumetto d´autore" e "fumetto popolare". Il pubblico e la critica (Giorello, Faeti, Eco...) hanno detto che ci sono riuscito».
Dopo un avvio in sordina, Dylan Dog è esploso come fenomeno editoriale e di costume, portandosi dietro anche qualche polemica assurda (che oggi appare ancora più assurda). Come autore le ha mai pesato questa popolarità e, in un certo senso, questa responsabilità?

«Prima di tutto Dylan Dog non è mai, dico mai, stato oggetto di nessuna polemica. Ben più di una polemica hanno suscitato invece i suoi imitatori, che nascevano come funghi: hanno provocato addirittura un´interrogazione parlamentare in puro stile maccartista contro i fumetti horror, e la cosa che più mi è dispiaciuta è che a firmarla ci fossero anche uomini di sinistra. Un solo commento: vergogna. Quanto alla responsabilità, l´ho sentita moltissimo. Più le vendite aumentavano, raggiungendo quote vertiginose, più avevo paura. Paura di sbagliare, di non essere all´altezza, di esagerare con lo splatter e le scene violente suscitando anch´io l´ira ottusa da caccia alle streghe. È stato un periodo bellissimo, certo, ma anche molto angosciante».
Si è mai stancato di Dylan Dog?
«No, e non ho mai capito, per esempio, perché Conan Doyle sia arrivato a odiare così tanto il suo Sherlock Holmes da volere ucciderlo in una storia. Dylan mi è simpatico, abbiamo molte cose in comune (non le fidanzate, purtroppo) e il nostro modo anarchico di vedere il mondo è molto simile».
Dylan Dog si è sempre confrontato con temi civili e in più di un´occasione ha manifestato il suo impegno. Pensa che il fumetto, in generale, debba assolvere anche a questo compito?
«Il fumetto deve soprattutto divertire, la sua funzione è questa. Se poi, mantenendo il divertimento, si riesce a infilarci qualcosina in più, tanto di guadagnato. E il pubblico ha mostrato di gradire. Anzi, a poco a poco, l´elemento sociale (non diciamo politico) è diventato uno dei principali motivi di successo».
Nel numero 100, per la prima volta, in conclusione alla storia, al posto del tradizionale «fine dell´episodio», c´era solo la parola «Fine». Ma poi è venuto il numero 101, 102, 103 e... siamo arrivati al numero 240, in edicola in questi giorni. Pensa che un giorno vorrà definitivamente chiudere con Dylan?
«No. O almeno non io. Mi spiego: come dicevo prima, un eroe di carta ha sempre la stessa età, mentre l´autore invecchia e, anche se nel mio caso lo ritengo improbabile, muore. E molto spesso l´eroe sopravvive al suo creatore. Ecco, mi piacerebbe che andasse così. Avrei lasciato un piccolo, piccolissimo segno nel mondo».
C´è un´idea, un nuovo personaggio che tiene nel cassetto?
«Alcune idee ci sono, sì, ma ripeto che sono vecchio, e la fatica di mettersi a scrivere, dopo più di trentacinque anni di questo lavoro, è spesso insormontabile. Ho usato "spesso" come parola di speranza: spesso, non sempre...».
Che cosa le va di dire ai lettori de «l'Unità?» che da domani si troveranno Dylan Dog sul loro giornale?
«Oddìo, mi sento come il condannato che deve dire una frase storica prima di mettere la testa sotto la ghigliottina! E allora citerò un episodio scritto dal mio amico Fruttero e dal povero Lucentini: c´era appunto un condannato che avrebbe voluto dire qualcosa di importante prima di andarsene, ma era un operaio, un uomo semplice, incolto. Avrebbe voluto dire probabilmente «Lavorate tutti insieme per un mondo migliore, l´utopia, se si vuole veramente, si può realizzare». Ma le parole non gli uscivano, e l´unica cosa che gli venne in testa fu: «Sarti, fate bene le asole per i vostri bottoni». Mi sembra una cosa commovente e bellissima».

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 con questo  è tutto  all'uscita  del numero in edicola



 

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