Che cos'è la libertà? A una domanda così chiara e importante credo si debba fornire una risposta altrettanto chiara e importante. Per sapere cosa sia la libertà non abbiamo bisogno di ricorrere né ai filosofi né alla filosofia. Ognuno di noi sa cos’è la libertà: la libertà è non essere in galera. La libertà è essere liberi di muoversi. Se possiamo muoverci siamo liberi, se non possiamo muoverci non siamo liberi. Ma cos’è la libertà da un punto di vista filosofico?
Indagare questo campo può essere utile perché il concetto filosofico di libertà può far comprendere meglio la condizione umana. Croce distingue tra pensiero e azione. Una cosa è pensare, altra cosa è fare. Il pensiero non determina l’azione; semmai svolge una funzione di preparazione o di apertura all’azione. In questa distinzione tra pensiero e azione c’è la nostra libertà: la libertà di individui, la libertà dei singoli uomini.
Se, infatti, noi volessimo unire, come pure è stato fatto o pensato, pensiero e azione, dovremmo presupporre la conoscenza di una metafisica Idea del Bene e in base a tale Idea, volenti o nolenti, dovremmo poi agire. Dunque, la libertà in questo caso altro non sarebbe che la stessa necessità. Ma noi agiamo davvero così? Le nostre azioni e scelte sono dettate da una superiore Idea delBene?
No. Lo sappiamo: gli uomini agiscono in altro modo. Agiscono in base al loro giudizio, alla loro esperienza, ai loro errori, ai loro interessi e, soprattutto,in base alle loro abitudini. Una filosofa di buon senso a me molto cara, mia nonna, dice che le teste sono tante e ognuno fa di testa sua. Non ho mai sentito una definizione più concreta e pregnante della libertà e della condizione umana.
Noi siamo liberi perché siamo molti. La pluralità è la condizione della libertà. Non l’Uomo – dice una nota frase di Hannah Arendt – bensì gli uomini abitano la Terra. Non l’essenza-uomo ma i singoli uomini: Antonio, Giuseppe, Michele, Maria, Sara, Marcella. Le azioni umane nascono tra queste vite concrete. Gli uomini agiscono tra loro. Avete mai visto un uomo agire con gli animali? O con un albero? Gli uomini non possono agire neanche con Dio. L’Uomo, dice Aristotele, è un animale politico o socievole che vive in comunità: dunque, con gli altri o contro gli altri, ma sempre tra gli altri.
Chi non vive nella comunità umana, sostiene Aristotele nella Politica, “o è bestia o è dio”. La condizione dell’azionee della libertà è la pluralità delle persone che parlano, giudicano, agiscono e si relazionano agli altri. In questa pluralità non c’è un Sapere Superiore bensì tanti saperi che si mostrano e dialogano.
Ecco perché se qualcuno vi dice "io ragiono con la testa della Ragione", e già che c’è potrebbe anche dire "con la testa di Giove e di Atena messe insieme", ebbene, sappiate che avete davanti un bugiardo. Ma fino a quando si tratta di un bugiardo comune, un bugiardo come me o come uno qualunque di voi, non c’è da preoccuparsi. Anche se si dovesse trattare di un filosofo bugiardo non ci sarebbero pericoli. In tutti questi casi, infatti, il bugiardo è disarmato e alla sua bugia voi potete opporre un’altra bugia oppure la verità. Ai suoi discorsi potete opporre i vostri discorsi. Per esempio: io adesso sto parlando, ma voi dopo potete parlare a vostra volta e controbattere o, comunque, argomentare.
Così il dialogo continua, ognuno esercita il suo giudizio e nel confronto matura una verità più o meno condivisa (e provvisoria). Invece, il quadro cambia radicalmente quando entra in scena il Bugiardo Metafisico o Ideologico. Questo tipo di bugiardo, infatti, essendo a capo di un Partito o di uno Stato – come spesso è accaduto nel Novecento – è pericoloso perché è armato.
Le sue armi sono le più pericolose perché imprevedibili: sono le più pericolose perché imprevedibili e infiammabili: sono le anime umane. Pensate – per fare un esempio concreto – al fenomeno contemporaneo dei kamikaze. Il Bugiardo Metafisico o Ideologico ritiene di conoscere l’Idea del Bene e, di conseguenza, di sapere come si realizza la Società Perfetta. Tutto il suo pericolo è evidente quando se ne comprende il funzionamento.
Come funziona il Bugiardo Metafisico? Come un cuoco. Il cuoco che vuole fare una frittata sa che deve necessariamente rompere le uova. Il Bugiardo Metafisico che vuole realizzare la frittata della Società Perfetta sa che deve necessariamente rompere le uova. La figura del Bugiardo Metafisico è tipica del XX secolo: Lenin, Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot – insieme capi di Stato e di anime – sono stati grandi e feroci Bugiardi Metafisici.
Ma malgrado i milioni e milioni di uova che hanno rotto, ossia, fuor di metafora, malgrado i milioni e milioni di persone che sono state sacrificate, massacrate, uccise, la Società Perfetta non è stata realizzata. E mai lo sarà. Perché? Perché la Società Perfetta è un’espressione che si dice ma non si pensa, dal momento che è auto-contraddittoria, inconcepibile, inesistente. Se diamo uno sguardo più da vicino al sapere necessario che il Bugiardo Metafisico ritiene di avere, ce ne rendiamo conto.
Gettiamo uno sguardo dentro il suo sapere: che cosa il Bugiardo metafisico sa? Che cosa c’è in questo sa? Che cosa ritiene di sapere che noi, invece, poveri mortali, non sappiamo? Alla domanda di Tolstoj “che cos’è il Bene?” o, meglio, “la scienza ci può dire cos’è il Bene?” noi abbiamo l’obbligo morale di rispondere “no”. La scienza ci può essere utile, ci può fornire degli strumenti, può migliorare le nostre condizioni, ma non si può sostituire alla nostra scelta. In questo spazio che c’è tra la scienza – qualunque essa sia, speculativa o strumentale – e la scelta individuale consiste la nostra libertà.
Ed è proprio questa libertà che il Bugiardo Metafisico sopprime rispondendo sì alla domanda di Tolstoj. Per il Bugiardo la scienza ci può dare il senso della vita e ci svela la struttura della natura umana. In questo caso la scienza coincide con l’Ideologia o la Metafisica del Bugiardo e ha scoperto o afferrato la vera razionalità della natura degli uomini e della Storia alla quale tutti gli individui, lo vogliano o no, si devono sottomettere e piegare. Non possono non piegarsi perché dal loro inevitabile, necessario e razionale sacrificio dipende la costruzione del Bene e della Società Perfetta: la felicità dell’umanità in eterno e, quindi, la piena realizzazione della natura umana.
Nessun sacrificio è davvero troppo grande per la costruzione di questo nobilissimo scopo. Soprattutto, i sacrifici umani sono calcolati, sono cioè una tappa necessaria per raggiungere l’obiettivo. Le vittime che sono sacrificate devono morire con gioia perché lo fanno per il bene dell’umanità. Il loro destino è determinato dalla verità alla quale non possono sottrarsi perché non ci si può sottrarre alla necessità.
Il Bugiardo Metafisico è colui che mostra la necessità. È la coscienza a cui la necessità si è innalzata. Il Bugiardo Metafisico realizza nella sua testa e nelle sue mani l’unione e l’identità della Verità e del Potere. Una sintesi assoluta, micidiale, che il Novecento – il secolo delle idee assassine secondo la definizione di Robert Conquest – ha messo in pratica, purtroppo.
La particolarità e pericolosità di questo modo di pensare l’azione umana risalta ancor di più se si considera come la filosofia antica – Socrate, Platone e Aristotele – pensava l’esistenza. Iniziamo, naturalmente da Socrate. Diciamo pure, senza timori reverenziali, la verità: Socrate era un rompiscatole. Lo dice lui stesso nell’Apologia quando si definisce un tafano. Cosa faceva? Nella piazza principale di Atene, nell’ agorà, avvicinava amici e conoscenti e rivolgeva loro domande strane:cos’è il Bello? cos’è il Giusto? cos’è la Verità?
Ma la cosa ancora più strana era un’altra. Quando erano gli altri a fare le domande al filosofo, Socrate non rispondeva o, meglio, diceva: "Non lo so: so solo di non sapere". Per tale motivo l’oracolo di Delfi lo indicò come il più sapiente tra gli uomini. Il più sapiente era, dunque, secondo l’oracolo, un ignorante che sapeva riconoscere la propria ignoranza.
Socrate, prima di morire, non rispose alla fondamentale domanda: che cos’è il Bene? Lasciò aperta la domanda, la lasciò senza risposta. Anzi, una risposta la diede. Disse che la virtù (aretè) è conoscenza (logos), ma la conoscenza per Socrate – si è visto – è sapere di non sapere. Dunque, il filosofo lasciò aperta la domanda. Così, dopo la sua morte, i suoi discepoli e amici diedero risposte diverse alla medesima domanda.
Antistene il Cinico sostenne che il Bene è l’autarchia: il saggio deve bastare a sé e quindi deve limitare la dipendenza dalle cose e dagli altri. Soprattutto dal piacere, tanto che Antistene diceva: "Vorrei piuttosto impazzire che provare piacere". Aristippo di Cirene, invece, non la pensava così. Lui era un gran signore, un raffinato, e riteneva che il Bene fosse il piacere. La scuola cirenaica, dunque, aveva una posizione opposta ad Antistene. A sua volta, Euclide di Megara aveva un’idea diversa. Per lui il Bene era l’Uno parmenideo. E Fedone di Elide? Per quest’altro discepolo di Socrate il Bene era il logos, il ragionamento.
Quale lezione possiamo ricavare da questa storiella socratica? Questa: la libertà, paradossalmente, è frutto più dell’ignoranza che della conoscenza. Dalla dòtta ignoranza socratica deriva una molteplicità di risposte e posizioni. E la pluralità, come si è visto, è la condizione della libertà.
Giancristiano Desiderio