2.11.24

Sul set le attrici devono sopportare ricatti sessuali, bullismo, insulti: “Cosa deve fare una donna molestata”

leggi anche le puntate siamo alla VII°puntata  della guida << Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco per il settimanale Giallo >>

da  msn.it articolo  di milleunadonna.it 

Due esperte raccontano quanto sia ancora terribile la situazione di attrici e lavoratrice nel cinema e in tv. Le strategie per cambiare: dall’app per denunciare alla carta dei doveri del produttore alla campagna di sensibilizzazione di Women in Film
  
Molestie, ricatti sessuali, bullismo, insulti, complimenti non graditi, disparità di trattamento apicale o salariale. Sono problemi, comportamenti e spesso ingiurie gravi a cui - ancora e purtroppo - quasi tutte le donne vanno incontro o subiscono nei luoghi di lavoro. Non è diverso nella produzione cinematografica, delle serie o degli show televisivi. E non solo per le attrici - che nell’immaginario collettivo sono storicamente “prede” del regista o del produttore - ma anche di tutto il personale femminile, che va dalla sarta alla parrucchiera, alle operatrici del suono, delle riprese, alle segretarie di produzione.

Women in Film

Da alcuni anni, soprattutto all’estero, ma anche qui in Italia, si cerca di porre maggiore attenzione e, soprattutto, di vigilare perché queste cose accadano sempre meno. Per farlo è nata anche una associazione che ha preso le mosse dalla “sorella maggiore” nata negli Stati Uniti: si chiama Women in Film, Television & Media (WIFTMI) e il suo obiettivo è promuovere l’equità di genere e combattere i pregiudizi nell’industria dell’audiovisivo e dei media.

Sul set le attrici devono sopportare ricatti sessuali bullismo insulti Cosa deve fare una donna molestata


Nelle due interviste a seguire (raccolte durante il Mia - Mercato internazionale dell’audiovisivo che si è svolto a metà ottobre a Roma) una dirigente di WIFTMI, Fabiana Cumia, ci racconta di quanto le donne siano ancora discriminate sui set, mentre una consulente, Valeria Bullo, che si occupa proprio del benessere delle donne nei film ci spiega come in Inghilterra questo discorso è preso molto sul serio. Tanto per avere un’idea: in Gran Bretagna la percentuale di problemi psicologici tra chi lavora nel cinema o in tv è superiore alla media nazionale. Due terzi di chi ci lavora dichiara di essere depresso rispetto ai due quinti del resto della popolazione, la metà ha considerato di togliersi la vita. Il 66 per cento dice di voler cambiare lavoro per il proprio benessere mentale. Molestie sessuali riguardano il 39 per cento dei lavoratori, contro il 12 per cento degli altri tipi di lavori. E questo comporta - oltre al malessere del personale - anche una perdita economica per l’industria, causa assenza e giorni di malattia.
Molti casi di molestie non sono tracciati
Fabiana Cumia, che fa parte del board di Women in Film ed è dirigente ESG (rating di sostenibilità) di Rakuten tv, ci spiega che “rispetto al passato la situazione delle donne sui set sta migliorando anche grazie a movimenti come il #MeToo, ma i dati ci dimostrano che siamo ancora molto indietro soprattutto come disparità in posizione di leadership, equità salariale, donne alla regia o donne in posizioni da protagonista”. Per quanto riguarda le molestie c’è da sottolineare che molti casi “non sono tracciati” e questa “è la parte più pericolosa”. “Quando parliamo di violenza sulle donne, ci riferiamo alle molestie come la punta di un iceberg, di cui la cui punta estrema è il femmicidio, che però ha tutta una parte sommersa che include micro aggressioni invisibili come il linguaggio sessista e non inclusivo. Sono stati fatti dei progressi anche grazie al MeToo e ad associazioni come Women in Film, però non è stato fatto ancora abbastanza e non sarà fatto mai abbastanza fin quando non si raggiungerà una reale parità di genere nell’industria dell’audiovisivo”.
E aggiunge: “I maschi fanno resistenza a riconoscere la parità perché per loro significa rinunciare a una situazione di privilegio sociale, lavorativo, salariale. Per questo è molto importante che le aziende adottino dei protocolli ed è il lavoro di sensibilizzazione che stiamo facendo con Women in film”.
Cosa deve fare una donna molestata
Valeria Bullo lavora in Inghilterra ed è una consulente di benessere e inclusione nell’industria di film e tv. Nell’intervista ci spiega che “ci sono diversi approcci che si possono utilizzare per migliorare la situazione delle donne tra cui creare una carta di valori, delle linee guida per situazioni di mobbing o molestie sessuali”.
Ma cosa deve o può fare una donna quando viene molestata? “Deve fare di tutto per portare alla luce quanto accade. Guardiamo al caso di Harvey Weinstein: è stato grazie al supporto collettivo che si è potuto fare qualcosa”.
E spiega: “Nel Regno Unito è stato creato un’autorità neutrale, indipendente, chiamata la Creative Industries Standards Authority a cui si possono rivolgere le persone le persone più a rischio. C’è anche un'applicazione che si chiama “Call It Up” che dà la possibilità a tutti i dipendenti, quindi attori o membri della troupe, di fare un report anonimo alle persone a capo dell'azienda o della produzione. E questa sarebbe una cosa buona da introdurre in Italia”.

31.10.24

le stranezze di chi si oppone a hallowen e al culto dei morti non cattolico ma pagano definendolo satanista \ demoniaco

 leggi  anche   cosa è morte  e  il  suo  culto  ., «Io, sacerdote tra le tombe dei grandi. Il dolore parla del valore della vita»


Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata VII SE VIAGGIATE IN TRENO, EVITATE GLI SCOMPARTIMENTI VUOTI e COME DIFENDERVI SE VIVETE DA SOLI

 puntate precedenti 

Non ci stancheremo mai di ripetervi che la prevenzione è fondamentale. Ecco alcuni consigli che potranno tornarvi utili, a seconda del contesto in cui vi trovate. In strada, non frequentate le zone deserte
e buie, camminate portando la borsa dal lato interno del marciapiede, se possibile nel senso contrario alla marcia dei veicoli. Tenete le chiavi di casa e i documenti in due posti separati, per esempio nella borsa e nelle tasche. Fino a quando non siete entrati in casa oppure in auto, tenete le chiavi in mano. Quando siete in macchina, tenete sempre la sicura abbassata, parcheggiate in zone frequentate e illuminate, lasciando un oggetto che faccia supporre una presenza maschile, come per esempio una cravatta. Non date passaggi a persone che avete conosciuto da poco e fate il pieno di carburante durante il giorno, per evitare di dovervi fermare a un distributore self-service di sera. Se qualcuno vi segue, nonandate direttamente a casa, ma chiamate un amico oppure il 113. In alternativa, fermatevi in una zona affollata e chiedete aiuto senza scendere dall'auto. Se siete costrette a guidare so!o minaccia, cercate di attirare l'attenzione eventualmente con un leggero tamponamento al semaforo. In treno, evitate gli scompartimenti vuoti e prenotate un posto vicino al corridoio, se possibile. Non date il vostro nome e l'indirizzo a persone sconosciute e non prestate attenzione a chi potrebbe chiamarvi dal finestrino, perché potrebbe essere il complice di un malvivente che cerca di derubarvi. In discoteca muovetevi sempre con un gruppo di amici o amiche e se qualcuno vi guarda in modo poco piacevole o fa apprezzamenti insistenti, avvertite il servizio d'ordine, custodendo sempre il vostro drink e sulla segreteria telefonica lasciate un messaggio assieme a una voce maschile. Se vivete in casa da soli, non mettete il vostro nome completo sul campanello e sulla cassetta della posta (    quest'ultimo consiglio   secondo me è un po' troppo esagerato,a meno che non sia concordato con i vicini, perchè rende  difficile   ai corrieri individuare  il vostro appartamento specialmente  se  abitate  in un  palazzo  a  più piani   .  E poi se  ci si pensa  bene   se  uno  che  vi conosce anche sommariamente  e  vuole molestarvi  \ stalkerizzarvi    troverà sempre il modo per farlo purtroppo )  , non aprite a visitatori inaspettati e, se dovete aprire, fate capire che c’è qualcuno con voi. Fingete di parlare con qualcuno mentre aprite e tenete il cellulare in mano.

29.10.24

cosa è morte e il suo culto ., «Io, sacerdote tra le tombe dei grandi. Il dolore parla del valore della vita»






Una vita di sacrifici e rinunce per arrivare fin qui.
Il premio? Due metri per uno.
Buoni o cattivi, ricchi o poveri, tutti uguali alla fine.
E mentre lotti per un pugno di false certezze o sicurezze, non ti accorgi che stai perdendo ogni giorno l'unico vero e grande valore che possiedi:
il tuo Tempo.
(Giorgio Malavolta)

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© Fornito da Avvenire
Pensava di arrivarci «da morto», frate Arturo Busetti, al cimitero. Che fosse quello di casa a Bergamo, «che è silenzioso e più raccolto», o il Monumentale di Milano, affollato questo primo di novembre come Gardaland, con le scolaresche in coda per la foto ricordo sui gradini davanti al Famedio e i vasi di fiori colorati sistemati ovunque per accogliere l’arcivescovo Mario Delpini alla tradizionale Messa di Ognissanti. «E invece – scherza il religioso, dei frati minori – sono vivo e vegeto, il cimitero è diventata la mia casa». La “chiamata” è arrivata un giorno del 2019, in un convento di Cermenate, vicino Cantù, 
«dove ero arrivato dopo tanti giri: non sono mai stato fermo, io, prima gli Spedali Civili di Brescia, poi Como, poi Monza». Infine Milano, appunto, col ruolo di cappellano del grande cimitero dove sono sepolti i cittadini illustri del passato lontanissimo e vicino e dove la chiesa è un gioiellino incastonato esattamente sotto la tomba di Alessandro Manzoni. Un’emozione, celebrare Messa tutti i giorni qui? «Non lo so, a dire il vero non ci penso tanto. È più un’emozione vedere le panche stracolme e dover spesso lasciare aperte le porte di domenica, quando la chiesa si riempie di giovani famiglie e di bambini che scorrazzano a destra sinistra».
Il piccolo prodigio della vita, al Cimitero Monumentale, si compie soprattutto grazie al grande popolo di Comunione e Liberazione, devoto al culto della tomba di don Luigi Giussani: un parallelepipedo di vetro, in fondo alla direttrice principale, sulla sinistra, con una foto semplice e un cassetta per le lettere e i messaggi lasciati dalle migliaia di pellegrini. «Per visitarla arrivano a gruppi sui pullman, da Milano o anche dal Veneto e dal Piemonte – racconta frate Arturo –: attraversano il cimitero, vanno sulla tomba di Giussani, poi ne approfittano per celebrare Messa qui da me». Ma ci sono anche gli affezionati del Pret de Ratanà, al secolo don Giuseppe Gervasini, un sacerdote molto conosciuto in Lombardia per le sue capacità taumaturgiche e anche lui sepolto lungo i viali costellati di statue e monumenti. Il risultato è «che ho una parrocchia più viva di molte altre, nel mezzo di un cimitero, e parrocchiani sempre diversi».
È ai vivi, d’altronde, che frate Arturo cerca sempre di parlare nelle lunghe giornate trascorse tra funerali e tumulazioni: «I primi assomigliano sempre a degli esami. Le famiglie si presentano qui facendo una breve descrizione di persone che non conosco ovviamente, che non fanno parte della mia comunità, dal momento che non ne ho una precisa. Ed è difficile, capire, è difficile prepararsi un discorso. Così quando cominciano a dirmi “desiderava questo e questo” io li ascolto e poi chiedo “e voi? Voi che cosa desiderate? Penso sempre che quel momento, e la Messa a seguire, mi serviranno per parlare ai vivi appunto – continua –. E non per convertirli, o per offrire loro risposte, ma per far sì che davanti a una cosa grande come la morte si facciano delle domande: chi sono? Che cosa voglio? Cosa mi dice il fatto che anche la mia vita potrebbe finire, all’improvviso, e cosa ne rimarrebbe?».
Non c’è un altro posto dove sia così chiaro, d’altronde, come l’ordine delle priorità di questo nostro mondo sia fragile e inconsistente: «Celebro sotto le spoglie di Manzoni, appunto, l’uscita posteriore della mia chiesa affaccia sulle tombe di Giorgio Gaber e Alda Merini, poco più in là tocca a Jannacci e a Fogar – continua frate Arturo – eppure davanti alla morte siamo tutti uguali». Sarà per quello che lui, cappellano del Monumentale da 5 anni, del cimitero sa ancora poco: «Mi piace scoprirlo poco a poco, ancora mi serve la mappa per capire dove mi trovo, e quando mi chiamano sulle tombe per le benedizioni chiedo sempre d’essere prelevato qui in chiesa da un familiare. Camminando mi guardo intorno, leggo le frasi sulle tombe o davanti alle cappelle di famiglia. In questi spostamenti ho scoperto che ci sono tante statue di san Francesco, per esempio, poco conosciute». E poi? «E poi di nuovo i vivi: i turisti di passaggio che vengono a confessarsi, quelli che mi chiedono se serve aiuto e si mettono a spolverare, quelli che vogliono fare una donazione: a volte me ne hanno fatte di impressionanti». Ad Arturo piace immaginare la sua chiesa del cimitero come un albero, su cui ci si posa per caso, inciampandoci, si sta un po’ fermi per guardarsi intorno e prendere fiato, «per poi volare via di nuovo». Lui lo fa di pomeriggio: attraversa la grande piazza e raggiunge il convento con gli altri frati di Sant’Antonio, la grande mensa dei poveri, il centro d’ascolto: «Non finisce al cimitero, in fondo, la mia vita».

  concludo      con questo meme  di ester  bonomo   



Hallowen ... ehm .... il culto dei morti ed i falsi nazionalisti \ sovranisti che lo vedono solo come festa imortata dagli Usa e pesi anglossassoni dimenticando che ci sono le nostre tradizioni mortuarie pagane ., La piccolezza dei fischi al film sul bullismo

dai nazionalisti \ sovranisti che scrivono articoli critici   verso Hallowen  come questo  de  ILGiornale  riportato     sotto   su #Hallowen mi aspettavo più conoscenza delle nostre tradizioni #pagane e non la solo la riduzione d'essa a festa importa dagli Usa  su   in flusso  dei paesi Anglossassoni  . A che punto siamo arrivati  non ci sono  più  i nazionalisti  di  una  volta  che  contrapponevano ad mode  estere  le   tradizioni nazionali  e  regionali   . 


Halloween non commemora i morti, scaccia quelli tornati dall'inferno. Invece il nostro amore per i defunti è senza limiti di tempo e di spazio
Halloween è simbolicamente all'opposto rispetto alla tradizione comune della commemorazione dei defunti
                               Giulio Dellavite 27 Ottobre 2024 - 10:00





Una signora anziana, di quelle che barcollano ma non mollano, che ogni giorno partecipa alla Messa feriale con una fede che io le invidio, arriva in sagrestia accompagnata dalla figlia per «risolvere un dilemma», mi si dice. Lei ha un peso sul cuore e vorrebbe confessarsi. La figlia sorride. Il giorno prima, tornata dalla Messa, si era rifiutata categoricamente di prendere l'Aulin per i dolori (ogni intenzione pubblicitaria o relativa ad altre eventuali tematiche inerenti al farmaco è esclusa). La motivazione era profondamente religiosa: «Il parroco ha detto che non è una cosa bella!». Addirittura si faceva lo scrupolo di essere in peccato per averne presi diversi.
Quella donna aveva colto la sfumatura della riflessione che avevo proposto, il problema è che io avevo parlato di Halloween. La sordità dell'anziana e la modernità della festa avevano fatto il resto, facendo andare la sua mente per assonanza alla famosa bustina che la figlia le faceva prendere. Resta il fatto che, come quella cara nonnina, tante persone vengono coinvolte da questa ricorrenza senza però conoscerne il significato. Noi l'abbiamo commercialmente copiata dagli Stati Uniti, in realtà pare che il suo inizio sia stato in Scozia alla fine del '700, celebrando la vigilia dei Santi (il 31 ottobre appunto), come «la notte degli spiriti, All Hallows' Eve» da cui appunto il nome Halloween. Si pensava che in contrapposizione agli spiriti beati del paradiso, nel buio della vigilia, le anime in pena uscissero dagli inferi della terra per rubare la vita degli uomini risucchiandola. I viventi, allora, per paura di essere divorati e per riuscire a scappare dagli assalti, cominciarono a mascherarsi da morti, da scheletri, da fantasmi, da personaggi dell'oltre tomba per confondere gli spiriti dannati affamati di vita. Qui prende senso allora la fatidica domanda: «dolcetto o scherzetto?». Gli «zombies» per capire quali fossero gli umani camuffati ponevano la richiesta come trappola terribile: se qualcuno avesse risposto «dolcetto» era chiaramente un vivente in quanto i morti non possono mangiare. Quindi scattava lo «scherzetto» dello strappargli l'esistenza.
Halloween è simbolicamente all'opposto rispetto alla tradizione comune della commemorazione dei defunti. In questi giorni non si fugge dai morti, ma si va loro incontro, si vanno a trovare al cimitero offrendo un fiore, cioè offrendo loro un segno di vita nuova. Gabriel Marcel scrive: «Dire ti amo a una persona significa prometterle: tu non morirai mai!». Infatti «amore» per qualcuno viene proprio dal latino «a-mors» ciò che è senza morte, ciò che vince la morte, ciò che non risucchia la vita ma la fa crescere nell'eredità di azioni, valori, passioni, insegnamenti, premure. Collego allora un'altra interpretazione, quella per cui «ricordare» verrebbe da «ri-cuor-dare»: ridare cuore, ri-mettere nel cuore, ridare vita al cuore nostro e loro, riscoprire il cuore delle nostre storie.
Non so quanto siano deduzioni linguisticamente esatte, ma mi piacciono e comunque il senso che offrono mi sembra alquanto significativo da condividere. Va sempre più di moda dire a un defunto «la terra ti sia lieve», come saluto laico e moderno opposto al «riposi in pace». È invece un antico augurio religioso latino «sit tibi terra levis» che ha assonanza al significato originario di Halloween. Al momento della sepoltura, il rumore della terra sulla bara e il vederla sotterrarsi generava un senso di angoscia. Allora si augurava al defunto la «lievità», cioè che la sua anima non fosse sotto le zolle, bloccata o imprigionata negli inferi, ma libera e liberata, viva e presente, amata e amante. A me non piace l'espressione «ovunque tu sia» perché mi sembra che celi in sé l'idea che si tratti di qualcuno smarrito o disperso o scappato o rapito. Quando amo una persona, sento che c'è anche se non so dove è, anche se è lontana.

Nononostante  la   sua  versione   dogmatica  e  classicistica   sulla   morte   concordo  quando  dice  :

Halloween o All Saints, commemorazione dei morti o festa dei santi, tradizione religiosa o ricordo laico, per tutti comunque c'è una medesima provocazione alla riflessione e cioè che la morte più che «triste» è «seria»: il loro «al di là» fa prendere sul serio il nostro «al di qua».

ogni uno   è  libero di celebrare la  riccoreza   mortuaria  e  la morte dei propri cari  come meglio crede   basti che rispetti   l'altro  e   non rompa  le  scatole  

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Lo  so  che  ne  ho già   parlato   precedentemente qui in questo post ma    non riesco ad evitare   di ripetermi   in  quanto la cultura anzi  meglio  l'incultura del bullismo oltre ad essere un circolo vizioso visto il passaggio da bullizzato o bullizzatore è difficile da da sradicare Infatti  non bisognerebbe stupirsi troppo di fatti come quello avvenuto a Roma alla proiezione in anteprima  visto che nelle sale esce il 7 novembre per le scuole del film Il ragazzo dai pantaloni rosa perché, come noto, la stupidità è senza limiti; ci si può però sentire feriti, delusi, dispiaciuti e anche "vergognarsi", come ha detto una
studentessa presente in quella sala . IL film ( tratto dall'omonimo libro ) racconta di Andrea ha quindici anni quando decide di uccidersi. Non sopporta più i compagni che lo tormentano e lo insultano, non solamente nei corridoi del liceo ma anche su internet, su una pagina che hanno creato appositamente per umiliarlo, dal titolo « Il ragazzo dai pantaloni rosa ». Perché alla stupidità e alla crudeltà basta l'appiglio del nulla, per trasformarsi in disumanità. È il 2012. La mamma di Andrea, Teresa, scopre dopo la morte del figlio di quei ragazzi che gli hanno rovinato la vita al punto di spingerlo a distruggerla. Scrive un libro, che è diventato un film e l'altro giorno è stato presentato alla Festa del cinema di Roma alle scolaresche della città, tutti ragazzi fra i 15 e i 17 anni. L'età di Andrea e dei cosiddetti bulli che lo avevano perseguitato. Il fatto è che Andrea è morto e i bulli no . Inn quella sala hanno fatto sentire ancora la loro voce senza vergogna, tra fischi e offese al protagonista sullo schermo. Lo ha raccontato il quotidiano Il Messaggero e il ministro dell'Istruzione Valditara ha chiesto che i responsabili siano individuati e annunciato che andrà a incontrarli di persona.
Non bisognerebbe stupirsi troppo perché, come noto, la stupidità è senza limiti; ci si può però sentire feriti, delusi, dispiaciuti e anche «vergognarsi», come ha detto una studentessa presente in quella sala. Ma un fatto di tale gravità interpella innanzitutto gli adulti e la domanda è forse, in questo caso, fino a quale punto di non ritorno possa arrivare lo scollamento dei ragazzi dalla realtà. E poi: perché avvenga, e che cosa si possa fare. È uno scollamento che si osserva sempre più spesso e in ogni ambito, dalla consapevolezza di ciò che è stato il nostro passato a quella della propria identità, dei propri valori, del proprio possibile futuro.
Difficile immaginare una presa di responsabilità da parte di qualcuno capace di insultare un ragazzino morto nel buio di una proiezione e poi, una volta accese le luci, pauroso di proferire verbo. Senza arrivare a immaginare (come minimo) delle scuse, non c'è stato nemmeno qualcuno che abbia avuto il coraggio di bullarsi del pessimo comportamento. 
Quanta piccolezza, perfino nella cattiveria non solo  da parte  dei  coetanei  ma  anche  dei  genitori    che gli hano educati     e  degli stessi responsabili scolastici . Infatti  ho letto   su  msn.it    un articolo  mi sembra  del corriere  della sera    che  riporta la  notizia     di un genitore      che     dice «Mia figlia non potrà partecipare ad "Uniti contro il bullismo" il grande evento live diretto agli studenti: la scuola che frequenta ha deciso che non è un tema adatto a ragazzini di 11 anni. Un’occasione persa per i nostri giovani». 
Sempre  secondo   l'articolo  M'indigna  e  mi  crea  sconcerto il fatto    che  alcuni genitori della scuola media Augusto Serena di Treviso dopo che la dirigente ha deciso di non fare partecipare i circa 150 studenti dell’istituto alla proiezione del «Il ragazzo dai pantaloni rosa», un film , patrocinato dalla Presidenza della Repubblica e da diversi ministeri, tratto dalla storia vera di un quindicenne suicida, trasmesso in streaming, il prossimo 4 novembre, in occasione della giornata dedicata alla lotta contro il cyberbullismo.Andrea Spezzacatena il 20 novembre del 2012 si tolse la vita dopo vessazioni subite dai compagni di classe, preso di mira perché portava dei pantaloni di colore rosa, stinti per errore dopo un lavaggio della madre Teresa che ha raccontato nel libro «Andrea oltre il pantalone rosa» da cui poi è stato tratto il film. Dopo la visione della pellicola, previsto un incontro degli studenti con la regista Margherita Ferri e la madre del ragazzo scomparso, Teresa Manes. Un momento insomma educativo e di riflessione per sensibilizzare i giovani ad argomenti come l’omofobia e le serie conseguenze che essa può avere anche a scuola.
La trasferta dei circa 150 alunni frequentanti la prima, la seconda e la terza media della Serena, era stata organizzato al dettaglio con largo anticipo: il trasporto in corriera dal plesso al cinema Edera e la racconta dei soldi del biglietto. Gli studenti entusiasti di trascorrere una mattina al cinema, gli insegnati soddisfatti di aderire ad un importante azione di prevenzione contro la temuta piaga del bullismo. Poi, invece, il dietrofront della scuola. Qualche giorno fa, alcuni genitori si sono infatti rivolti agli insegnanti per chiedere di non portare i ragazzi al cinema «in quanto il tema dell’omofobia e del suicidio potrebbe non essere adatto a ragazzini di 11-12 anni». La dirigente del plesso Anna Durigon, d’accordo con il collegio docenti, ha dunque chiamato la sala per cancellare la prenotazione. A confermarlo gli stessi gestori del cinema, stupiti dell’improvviso dietrofront della scuola. «Non abbiamo cancellato ma solo rimandato – spiega però la dirigente -. Una decisone maturata dopo che alcuni genitori ci hanno fatto notare che il film poteva non essere adatto a tutti i ragazzi. Ci è sembrato, dunque, più prudente mandare prima qualche nostro docente a vederlo per capire se può essere visto da ragazzi così giovani. Dobbiamo anche renderci conto che ci possono essere ragazzi che stanno vivendo situazioni simili e dunque non sappiamo che reazioni emotive potrebbe scatenare certe scene. Non si tratta di nascondere certi argomenti ma di affrontarli con tatto, in base alla sensibilità e alle situazioni diverse che sono presenti in una classe».
La scelta della preside di non partecipare all’appuntamento in live contro il bullismo non è piaciuto alle associazioni che combattono per i diritti Lgbt: «Un film non ha mai ucciso nessuno, l’omofobia sì» la reazione di Paola Marotto, presidente del Coordinamento Lgbte di Treviso - Ancora una volta un clima ormai imperante di omofobia, spalleggiato da più parti, porta all’annullamento di una proiezione di un film che non avrebbe fatto altro che aumentare la coscienza di quella che è la società civile e di quello che, invece, alcuni atteggiamenti e azioni possono causare». Nelle stesse ore in cui la scuola annunciava la decisione di annullare la visione del film dedicato al suicidio del giovane bullizzato a Roma è, infatti, accaduto un altro fatto sconcertante: la proiezione della pellicola ad una scolaresca è stata accompagnata da fischi e frasi omofobe. 
All’episodio è seguito il commento del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che in un post su X ha dichiarato: «Il bullismo va contrastato con la massima severità. Appena saranno noti i nomi dei responsabili, andrò nella loro scuola perché voglio incontrarli personalmente». A Treviso a prendere posizione, subito dopo, anche il sindaco Mario Conte, intervenuto contro la decisione della scuola Serena di annullare la proiezione della film : «E’ uno sbaglio non farlo vedere ai ragazzi. Provvederemo a proiettarlo noi – ha subito fatto sapere il primo cittadino di Treviso -, temi così importanti come il bullismo e la depressione devono essere sempre affrontati a scuola ».


Ma non solo nelle scuole, aggiungo io,  anche in tutti i centri d'aggregazione laici o parocchiali e coinvolgere in essi anche le famiglie perchè la  prima  educazione  avviene  in casa  

28.10.24

Genitori non vogliono fare vedere ai figli “Il ragazzo dai pantaloni rosa”. il film contro l’omofobia scatena reazioni omofobe



una scena del film 
Altro che legge zan qui ci vuole una tabula rasa educativa . Infatti  di Roma e  di Treviso  non so quale  dei due sia   il più vergognoso   dimostrano  più  del dibattito   sulla  legge  Zan  quanto ci fosse bisogno di un film come il ragazzo dai pantaloni rosa, appena presentato alla Festa del Cinema di Roma, dimostra le difficoltà che sta incontrando nell’essere proiettato. Poco importa che sia una storia vera e che ci sia andata di mezzo la vita di un giovanissimo, in tanti non accettano la storia né il suo punto di vista.                   Le  anteprime per le  scuole   de il  ragazzo  dai pantaloni rosa , film  che andrà  in onda nel cinema  dal 7  novembre  ed  è tratto dal romanzo autobiografico (  foto della   copertina   sotto a  destra )  : Andrea  oltre il  pantalone  rosa   di Teresa Manes,  la madre di Andrea Spezzacatena, studente 15enne del liceo Cavour di Roma, vittima di bullismo e cyberbullismo che nel novembre del 2012 si tolse la vita , sta  già iniziando a  creare polemiche  . IL film interpretato da Claudia Pandolfi divide pubblico, società e famiglie. E questo sarebbe anche un modo per alimentare il dibattito. Il problema è quando, a una presentazione davanti ad una platea di adolescenti, questi si lasciano andare a commenti omofobi e genitori  iperprottetivi   verso i loro figli   che   boicottano  la proiezione in una scuola  
E' il  caso  sucesso a   Treviso   dove  la proiezione   in una  scuola  media  è stata   sospesa  a  causa  dei   genitori   che  pare   non abbiano gradito la proiezione della pellicola, sostenendo che potesse avere influssi "negativi" sui loro figli. Di diverso avviso il sindaco leghista  (L  miracolo  un leghista illuminato 🧠😇😋🤗🙄😲)  del capoluogo della Marca, Mario Conte, che ha annunciato la volontà di organizzare la visione del film, affermando che con il diniego è stata "persa un'occasione di approfondire e conoscere meglio temi che sono vere piaghe della nostra società".Da Roma a Treviso, reazioni omofobe La proiezione dell'opera di Margherita Ferri, che vede Claudia Pandolfi nei panni della madre, era prevista il 4 novembre, e l'istituto aveva già prenotato i posti per gli studenti. Alcune famiglie hanno però chiesto alla dirigente di evitare la partecipazione dei ragazzi. La preside della scuola ha accolto la richiesta, pur precisando che la proiezione è stata solo temporaneamente sospesa. "Evitare di confrontarsi su questi argomenti - ha affermato Conte - non credo sia la soluzione. Omofobia, depressione, suicidi sono, ahimè, molto attuali nella società. Dispiace quello che è successo a Treviso, ma preoccupano anche le reazioni omofobe di Roma: due situazioni che devono far riflettere tutta la nostra comunità".“Mio figlio non c'è più ma omofobia sì"Il secondo riferimento è alle frasi di carattere omofobo pronunciate da alcuni studenti durante la visione del film il 24 ottobre scorso nella capitale e che la stessa Teresa Manes ha segnalato con un post sui social: "Quanto accaduto dà la misura dei tempi che viviamo. Un gruppo di studenti, accompagnati (e sottolineo accompagnati) alla proiezione del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, ha pensato male di disturbarne la visione, lanciando dalle poltrone su cui si erano accomodati parole pesanti  ed  orripilanti come macigni. *Froxio, *Ma quando s'ammaxxa, *Gay di merda  ....  sono solo alcuni degli insulti rivolti a mio figlio. Ancora oggi, 12 anni dopo. Ancora oggi, anche se morto. Si parla di educare all'empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c'è più e, soprattutto, un' attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente. Mi piacerebbe che chi continua a negare l'omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito. Perché la parola non è un concetto vuoto. La parola è viva ed uccide. Io, di certo, non mi piego. Anzi, continuerò più forte di prima Mio figlio non c'è più ma l'omofobia a quanto pare sì".L'episodio romano è stato talemente  abberrante    e scandaloso    che ha "commosso e indignato" anche il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara, che ha chiesto all'Ufficio scolastico regionale di "attivarsi per individuare i responsabili degli atti di volgare inciviltà avvenuti giovedì in platea. Voglio incontrarli e guardarli negli occhi. Mi auguro ci siano da parte delle scuole sanzioni severe nei loro confronti. Mi chiedo come sia possibile questa disumanità, il non avere neanche la compassione di sentire il dolore dell'altro, il dolore di una madre, il dolore di quel povero ragazzo", ha concluso. Ottime  le  parole della madre  :


Quegli insulti erano sorretti dall'impalcatura della indifferenza che è la forma più subdola della violenza.
Io non so se dietro quel gruppo rumoroso c'è l'assenza di quella educazione primaria che spetta alla famiglia.
Il bisogno di affiliazione e, dunque, la necessità di fare parte di un gruppo può portare, specie in età adolescenziale, a fare o a dire cose che un genitore magari manco immaginerebbe mai dal proprio figlio.
Ma in quel contesto, anch'esso educativo, chi ha fallito è stato quell'adulto, incapace di gestire la situazione e rimettere ordine, probabilmente non avendo avuto tempo o voglia di preparare la platea dei partecipanti. venendo, comunque, meno all'esercizio del ruolo che ricopre.
Si parla di educare all' empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c'è più e, soprattutto, un' attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente.
Mi piacerebbe che chi continua a negare l'omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito.
Perché la parola non è un concetto vuoto.
La parola è viva ed uccide.
Io, di certo, non mi piego.
Anzi, continuerò più forte di prima
Mio figlio non c'è più ma l' #omofobia a quanto pare si!

  non so cos'altro   aggiungere  in  quanto due  parole  sono poche  e  una  è  troppo  .     quindi chiudo qui     con  questo  è  tutto  alla  prossima  


 

27.10.24

Nicolò Famiglietti: Vi insegno. ad allenarvi con sorriso “Non è mai troppo tardi per iniziare a prendersi cura di se stessi, a 360 gradi.., la storia di franca mura 60 ANNI da neofita di alle gare nazionali di bocce


“Non è mai troppo tardi per iniziare a prendersi cura di se  stessi, a 360 gradi. È una maniera di volersi

bene e di  affrontare la vita con positività”,dice il beauty fitness trainer.  “Nonc'è bisogno di allenamenti  da sfinimento. Si ascolta il proprio corpo e si migliora  giorno dopo giorno. Ne giova  anche Il benessere mentale". Provare per credere .L' attività fisica è spesso o troppo spesso vista come un dovere, faticosa, Noiosa. Nicolò Fmiglietti ha dimostrato esattamente il contrario. L'esercito di petsone che lo  seguono, rappresentano la dimostrazione, a tutte leetà, che è   possibile imparare ad allenarsi con il sorriso, prendendosi cura  del fisico e della mente.
Le sessioni di allenamento con  il popolare istruttore di fitness  che solo su Instagram conta 40 ( mila followers diventano un  momento di aggregazione, di allegria e di divertimento. La musica è protagonista di ciascuna lezione, insieme con l'energia contagiosa che contraddistingue Nicolò, amatissimo anche dalle signore più avanti conggli anni. “Non è mai troppo tardi per iniziare a prendersi cura di sé stessi, a 360 gra-di È dina maniera di volersi bene e di affrontare la vita con positività” spiega Nicolò che si definisce Beauty Fitness Trainer, perché con lui il benessere  e la bellezza lavorano în sinergia. A Perugia, infatti, è titolare di una palestra con un centro estetico.
Proprio in palestra è iniziata quella che lui stesso definisce la sua rinascita.“Ero timidissimo e questo lato del mio carattere mi portava ad essere anche più chiuso. Sono convinto che l'allenamento da adolescente abbia segnato un'inversione di rotta del mio percorso. o meglio, mi abbia segnato la strada da percorrere. Mi ha cambiato dentro, ha migliorato il mio carattere, ha tirato fuori la parte migliore di me. Ebbi un piccolo infortunio a 15 anni. All'epoca avevo già provato diverse attività sportive, ma sembrava che nessuna facesse per me. Ed io ne soffrivo. Dopo l'infortunio un fisioterapista mi consigliò di fare riabilitazione e di andare in palestra. In quegli anni ancora si pensava che la palestra rallentasse la crescita! Decisi di seguire il consiglio e mi iscrissi”È bastato poco perché la palestra diventasse la seconda casa di Nicolò. “Trovai imambientefamiliare, ci andavo volentieri.Ricordo che studiavo e mi impegnavo per avere più tempo distare in palestra, senza rischiare che i miei genitori mi dicessero di tornare a casa per finire i compiti. Lì non mi sentivo giudicato, vedevo i miglioramenti sul mio corpo, stavo meglio anche a livello mentale. Non esisteva competizione. Questa è la cosa bella della palestra, ci si allena insieme, nessuno primeggia! Così mi sono laureato in Scienze Motorie. Ho iniziato alavorare a 17 anni.e a 23 anni ho preso una quota proprio di quella palestra che mi aveva accolto, diventandone socio”Poi il covid segna un iniziale stop che si rivela ancora una volta la chiave di volta di Nicolò.“Mi ritrovo con la palestra chiusa, i clienti a casa. Decido di continuare il percorso con.loroa distanza, facendo delle dirette su Instagram. Lo ammetto all'inizio mi sentivo imbranato, di nuovo timido, Temevo
di fare dirette dove magari sì sarebbero collegati in due o tre persone. È,invece, da quel primo collegamento su Instagram a distanza è successo qualcosa di magico.Immaginavo quei numerini collegati al cellulare, delle persone accanto a me, che si allenavano,Le immaginavo ridere e sorridermi” Quel numero è salito,salito, ma salito a migliaia e migliaia di persone che Nicolo curava a distanza. Un successo inimmaginabile. Che oggi ha portato Famiglietti anche ad essere ospite televisivo di mumerosi programmi di successo.Ma la prima fan di Nicolò è stata la mamma Patrizia. "Anchelei ha iniziato ad allenarsi con me, da grande, Veramente lo ripeto: non èmai troppo tardi per prenderci cura del nostro corpo è della nostra mente. Allenarsi in palestra, magari con le finestre aperte o in un parco ci regala una ossigenazione migliorè..È un vero e proprio integratore naturale di salute. La palestra mi ha cambiato,.  E se ce  l'hofatta   io  ce  la  possono     fate  tutti . Mai  disperare .  Affronto la vita coniil'sorriso, a 360 gradi. I problemî non mancano, ma certo il modo di superarli, di non farmi sopraffare. Me lo ha insegnato lo sport, che è una sfida anche con sé stessi?Le sue parole sono condivise dal gruppo di persone ché si sono appena allenate con lui.“Quando terminiamo ùn allenamento, condividiamo le emozioni, commentiamo la lezione, facciamo squadra. Si creano rapporti belli dentro e fuori la palestra"Tutto senza sfinimento, sottolinea Nicolò: “Nessuna fatica eccessiva, mai. Ascoltiamo il nostro corpo sempre. Propongo allenamenti sostenibili e scalari.Piano piano si sale. Si può'iniziare anche con piccoli allenamenti da 5-10 minuti, poî si disegna una strada, per ciascuno.Sempre con il sorriso ! La musica è protagonista: “Sì che piace ed è coinvolgente. La musica motiva, è dopante, da ritmo all'allenamento. Immagino la playlist come una coreografia: la prima canzone ti dà energia, l'ultima ti lascia il ricordo" Grazie Nicolò. 








26.10.24

DIARIO DI BORDO N 83 ANNO II mi vergogno e non mi riconosco in questo paese dove.... parte II ,Quando la fantasia erotica è depravazione il caso Gisèle Pelicot, come smontare la propaganda degli ipocriti pro vita e pro famiglia , Ennesima figura barbina del governo Meloni di cui difficilmente sentirete parlare sulla Rai,un dirigete rai da ad un giornalista dell'infame ,

   leggi    anche 

Mi vergogno e  non  mi riconosco   in  un paese   dove    è proibita  (  e    si  può  anche  essere  d'accordo     visto  che  è  una  pratica medico   ginecologica  che  può  portare  , anzi porta  nella maggior  parte  dei  casi  allo  sfruttamento e mercificazione     del corpo  delle  donne  )  la  Gpa o utero in affitto   ed  allo  stesso  tempo   si criminalizza    chi  per   sfizio  o  per necessità  e problemi  fisici  \  psicologici    vi ricorre  . 
Un paese  dove   una ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, in barba a qualunque principio costituzionale, deontologico, umano, dichiari come se nulla fosse che “medici e sanitari sono tenuti a denunciare casi di sospetta Gpa”.Questo non è un governo democratico, siamo ormai alla  delazione     di  stato   o meglio  alla

Stasi sanitaria . Ma   Per fortuna in Italia sono rimaste ancora persone e medici come Filippo Anelli, che tra le altre cose è anche Presidente dell’Ordine dei Medici. E alla ministra ha dato una di quelle risposte talmente limpide, cristalline, che da sola vale l’intero senso di questo mestiere.“Il medico ha il dovere di curare: dovere che gli deriva dalla Legge - in primis, la Costituzione - e dal Codice deontologico, è confermato dalla Giurisprudenza e prevale su ogni altro obbligo, facoltà o diritto. Che il medico sia esonerato dall’obbligo di denuncia nei confronti del proprio paziente lo si desume  chiaramente   (  da  quel     che   ne  so leggendo il giuramento  di  Ipocrate    e     parlando  con  amici  e   parenti   medici   )  anche dal capoverso dell’articolo 365 del Codice penale che esime il medico da tale obbligo quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.Il medico non deve, è vero, ostacolare la giustizia ma non deve  allo  stesso tempo , soprattutto, porre  


 in essere atti che mettano a rischio la relazione di cura, limitando la tutela della salute dei cittadini”  e  la  loro libertà  di  scelta   genitoriale  .

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Avrebbe potuto chiedere l’anonimato, previsto dall’ordinamento francese nei casi di stupro.Invece Gisèle Pelicot, 71 anni, ha scelto di metterci la faccia, la voce, il suo corpo e ogni cellula della sua dignità assoluta per testimoniare contro il marito e i cinquanta uomini - non bestie, uomini - da cui è stata ripetutamente e atrocemente violentata .Per dieci anni il marito l’ha drogata, l’ha fatta stuprare da  cinquanta uomini    e  più ,  l’ha filmata e infine messo tutto online sulle piattaforme del porno. E a fare tutto questo con lui erano maschi insospettabili, perfettamente inseriti nella società e, soprattutto, mostruosamente  e  vergognosamente   consapevoli di quello che stavano facendo. Infatti    secondo   quanto  riportato  da  https://tg24  più   precisamente  qui [ N.b l'articolo in  questione   è   a pagamento  ma   facilmente , in  questo  caso  ,  aggirabile    a  chi conosce un  po'  il codice  html  ]     alcuni  d'esse  avevano già del precedenti   per violeze sessuali  e  pedopornografia   .    E  sapete  come si  sono  giustificati ,  sempre     almeno  la  maggior  parte     dei 51  (  in  realtà   dovrebbero  essere  71  ma   soltanto   51 appunto  sono  stati identificati    dai  video    del piutribondo  figuro  )   :    << La maggior parte di loro ha ammesso di aver avuto rapporti, ma sostiene di aver pensato che si trattasse di “un gioco di coppia” a cui la donna avesse acconsentito. Oppure di aver “pensato che lei fosse d’accordo, dato che il marito lo era”credevamo  fosse  d'accordo   >>    sempre  secondo  https://tg24.sky.it/mondo,Per tutta la durata del processo, entrato ormai nel vivo, Gisèle ha scelto simbolicamente di portare il cognome del marito, Pelicot, che non è mai riuscito ad alzare gli occhi in aula per guardarla in faccia.Quando le hanno chiesto se preferiva non comparire con il suo volto al processo, Pelicot ha dato una risposta che è un manifesto di empowerment femminile.“Non spetta a noi provare vergogna, sono loro che devono provarla. Voglio che tutte le donne, guardandomi, possano dire: se lei l’ha fatto, allora posso farlo anch’io”.Mi inchino, come  Lorenzo  Tosa  , da uomo, davanti a tanta, enorme, dignità.


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Ancora una volta i giudici hanno dovuto mettere una pezza giuridica alle porcherie legislative dei nostri eroi.Il Tar del Lazio ha sospeso il decreto del governo che equipara la Cannabis light alle sostanze stupefacenti, stabilendo quello che anche un bambino di tre anni avrebbe capito da solo: i prodotti orali contenenti Cbd non sono   secondo  alcuni  scienziati    una   sostanza stupefacente vera  e  propria  ma  psicotropa  (     qui  la  differenza  ) .
Una sentenza fondamentale che dimostra almeno quattro o cinque cose:

  • Che l’emendamento al decreto Sicurezza voluto da Meloni e soci è inapplicabile così com’è.
  • Che il governo è guidato da pericolosi cialtroni in materia che sostituiscono criteri demagogici a quelli scientifici.
  • Che è salvo, per ora, un settore che vale 11mila posti di lavoro.
  • Che non esiste alcun complotto dei giudici. Esiste solo una classe politica incapace di scrivere le leggi e una classe giuridica costretta a rimediare ai suoi grossolani errori.
  • Ed è un grosso problema.


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È morta Delia Buonomo. È morta una Giusta in un tempo sbagliato.

Era la titolare del bar Hobbit di Ventimiglia, ve lo ricordate? Quello che, a un certo punto, nel pieno dell’emergenza alla frontiera, Delia aveva in parte riadattato a un rifugio gratuito per migranti.Tutto è nato nel 2016 quando ha notato alcune donne e bambini migranti seduti sul marciapiede di fronte al bar,


li ha invitati ad entrare, ha offerto loro un pasto caldo, due parole, un sorriso.Delia sapeva riconoscere in un attimo quello sguardo: lo sguardo di chi ha fame, di chi è discriminato per dov'è nato o per il suo colore, perché lo ha visto sulla propria pelle quando, da bambina, è emigrata coi propri genitori in Australia, prima di ritornare in Italia a 12 anni. Da quel giorno le porte del bar Hobbit hanno visto passare migliaia di migranti. Migliaia di uomini, donne, bambini, rifugiati, vite violentate da botte, abusi, prigionie, respingimenti, che spesso sono costretti a rimanere per mesi bloccati al confine italo-francese senza accesso ad acqua potabile, cibo, servizi, un letto dove dormire, sottoposti ad atti di razzismo quotidiano. Ci sono ragazzi che qui hanno consumato il proprio ultimo pasto prima di prepararsi a rischiare la vita per scavalcare una cinta spinata e proseguire il proprio viaggio verso l'Europa. Delia ne ha ospitati così tanti in questi anni che tutti qui la conoscono come "Mamma Africa".Ma Delia non si è limitata a dare da bere e mangiare gratis a chi non se lo può permettere. Ha fornito loro scarpe, vestiti, li ha aiutati a decifrare documenti o a trovare un alloggio. Ha attrezzato il bagno con spazzolini, dentifricio, sapone, assorbenti e un fasciatoio. Ha persino creato uno spazio da gioco solo per i bambini. L’Hobbit [   da  non cofondere   con  i  raduni dell'estrema   destra  😁 ) non è stato solo un bar: è stato per anni un angolo di resistenza quotidiano. E, per questo, è stato ostacolato, multato, persino vandalizzato.Almeno fino a quando, anche per problemi di salute, per l’ostilità sempre più insostenibile che aveva intorno e per difficoltà finanziarie, non è stata costretta a chiuderlo. Ieri se n’è andata in punta di piedi anche la sua titolare, Delia Buonomo, a 61 anni, al termine di una lunga malattia, lasciando dietro di sé il senso più profondo e

significativo della parola soldiarietà.In tempi balordi di disumanità, barbarie e violenza istituzionale, il suo esempio resterà una fiammella accesa per ricordarci che è stata luce.  E  semre   a  proposito    d'immigrazione  leggo  , m pare  sulla  bacheca  di  Lorenzo  Tosa  che 
Julio Velasco ha appena dato a Salvini, Meloni e compagnia discriminante una di quelle lezioni di cultura, politica, storia e umanità che, al loro posto, andrei a cercare il più vicino rifugio in cui nascondermi. E, insieme, ne ha smascherato tutta l’ipocrisia.
“Avrei potuto prendere la cittadinanza italiana dall’Argentina senza aver mai visitato l’italia né parlare l’italiano, e invece non lo possono fare ragazzi e ragazze che sono nati e vivono in italia.
Questa è un’idea vecchia, assolutamente superata, sapete tutti da dove viene. Sono bandiere politiche che alcuni partiti usano, invece di prendere nota ella realtà.
Lo sport riflette una seconda ingiustizia: che quando conviene, quando sono campioni, i figli di immigrati all’improvviso diventano italiani. E lo firmano tutti, anhe quei partiti che sono contro.
Quando invece non conviene, quando sono figli di semplici migranti, allora devono aspettare deci anni e tutta la trafila.
Io penso che dovrebbe esistere uno Ius Tutto: Ius soli, Ius scholae, Ius sport. Nel mondo di oggi un ragazzo che nasce in Italia, studia e vive in Italia deve essere italiano.”
Punto.E'  bello sapere che abbiamo in Italia (e sarà Ct della Nazionale femminile fino al 2028)  ci  sono   anche meravigliosi esseri umani   come  Delia  Buonuomo   e  uomini di sport , in questo caso   come Julio Velasco.


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    come  smontare la  propaganda  degli ipocriti  pro  vita  e  pro  famiglia  

Nei  giorni scorwsi   a Otto e mezzo, una strepitosa Lilli Gruber ha preso la parola davanti al portavoce dei Pro Vita Jacopo Coghe. 



“Bene. Faccio un breve elenco delle famiglie tradizionali che abbiamo al potere oggi in Italia. Giorgia Meloni si è separata dal suo compagno, col quale ha fatto una figlia fuori dal matrimonio.Sua sorella Arianna ha dichiarato qualche mese fa, snza che nessuno glielo avesse chiesto, che sono separati in casa col ministro Lollobrigida.Matteo Salvini ha due figli da due donne diverse e adesso ha una fidanzata.Come mai c’è tutta questa tolleranza da parte vostra nei confronti dei referenti politici ai massimi livelli, che sono tutti fuorché “Dio, Patria e Famiglia”? Questo non capisco.”

Coghe, imbarazzato: “Noi non giudichiamo la vita personale , rimaniamo sul fatto politico.”

Replica di Gruber.“Quindi vale anche per Spano, per lesbiche, trans…”

Ovvero. Come smontare in quindici secondi netti anni di propaganda tossica, feroce, bigotta  ed  ipocrita   sulla vita e sui diritti di persone.Un manifesto politico e culturale. 


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Trovo di una gravità inaudita ,  peggio      di quando   la  vecchia   clase  politica  della  prima  reubblica  era  al  potere  ,  che un   direttore degli approfondimenti Rai ,  Paolo Corsini  , si rivolga a  un giornalista   i questo  caso     Corrado Formigli  , e gli dia pubblicamente dell’ ”infame” solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista.
E lo è non solo perché un alto rappresentante del Servizio pubblico non può rivolgersi a un giornalista con frasi che sembrano uscite dai bar più malfamati.Ma perché denota un’assoluta mancanza di rispetto nei confronti di chiunque osi criticare Telemeloni e lo stato comatoso in cui versa, e quindi del pubblico stesso, l’insofferenza alle critiche di questa destra e l’incapacità di rapportarsi in modo civile con opposizione, critica, giornalisti.Benissimo ha fatto il diuscusso  Fnsi (  federazione nazionale      stampa  italiana   )  intervenire duramente. Ma in un Paese normale Corsini e l’intero establishment Rai si sarebbe già dimesso tre volte. Prima per le censure, poi per i ripetuti flop, (  fin qui  iente  d'eccezzionale  perchè  succedeva    anche sotto  la prima  repubblica  ,  ma  almeno   i giornalisti     anche se  declassati    ed  emarginati  non  venivano  attaccati  con    simili   epiteti  ) infine per il linguaggio da gangster  Solidarietà a Corrado Formigli, uno dei pochi giornalisti televisivi non allineati che abbiamo in Italia . Certi attacchi sono medaglie   in quanto come ricorda in quest  articolo  ILGiornale,anche se in maniera strumetale vittimistica in quanto mette sullo stesso piano   decontestualizzanoli   gli insulti ( condannabili e deprecabili certamente ) alla meloni da parte di Saviano e con quelli a Formigli fatti da Corsini , [.... ] i renziani che non avevano digerito l'intervista al loro leader sulla sua chiacchierata villa di Firenze, andata in onda a Piazzapulita pubblicarono per vendetta sui social foto, piantine e indirizzo dell'attico romano di Formigli. [...] . Quindi  evitiamo  grazie    d'usarlo  come cicero pro  domo sua  .

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Concludo    questo numero del Diario di Bordo    con  la  notizia     che  Silvia Albano [  foto  a  destra  ] , la giudice della Sezione Immigrazione del Tribunale di Roma, ha ricevuto multiple, ripetute e gravissime minacce di morte.La sua “colpa”? Sempre la stessa.Aver applicato la legge, bloccando le deportazioni illegali in Albania del governo Meloni.

Aver fatto, cioè, semplicemente il suo mestiere. Con disciplina e onore.
E la smetta subito , la destra in questo caso  ,  con la sua pelosa, squallida ipocrisia, con la sua solidarietà di facciata.
Queste minacce di morte non cadono dagli alberi, anzi arrivano al culmine di una sistematica, scientifica operazione propagandistica di delegittimazione e fango  (  metaforicamente  parlando  )  con cui la stessa Presidente del Consiglio è arrivata a parlare di “menefreghismo dei giudici rispetto alla volontà popolare”. Benissimo ha fatto la giudice Albano a denunciare tutto in Procura.Massima solidarietà a lei e a tutti i giudici che coraggiosamente non piegano la schiena.Ma purtroppo la solidarietà non basta più.
È ora che il governo, i ministri di questo Paese - e il Presidente del Consiglio in primis - si assumano la responsabilità politica e morale per aver aizzato orde di analfabeti e odiatori contro servitori dello Stato.

24.10.24

«Bullizzato perché obeso, il prof mi chiamava "polpetta". Ora corro una mezza maratona ogni giorno: ho perso 30 chili»

Da questo individuo dovremmo tutti imparare, lui non si è arreso ed anzi ha dimostrato a tutti di che pasta era fatto. Ci vorrebbe più gente così, gente che prende le critiche, ed invece di farsi abbattere da esse, ne ottiene uno stimolo in più per migliorare. Tra i professori si annidano spesso dei bulli senza empatia e sensibilità


 «Bullizzato perché obeso, il prof mi chiamava "polpetta". Ora corro una mezza maratona ogni giorno: ho perso 30 chili» corriere adriatico • 9 ora/e • tramite msn.it 




 Un passato di bullismo a causa del suo peso, ma ha reagito e usa il suo presente per ispirare gli altri a fare altrettanto, per diventare gli artefici dei propri successi e urlare che «i limiti esistono solo nella nostra testa». Per questo, il 24enne Marco Matteazzi ha sfidato se stesso: corre ogni giorno una mezza maratona, per un totale di 100 giorni. Ha già alle spalle 2.300 chilometri, dal suo paese d'origine, Altavilla Vicentina, fino a Lisbona (Portogallo). Da una parte c'è il riscatto del bambino che era, dall'altra il desiderio di dimostrare che la forza di volontà permette di raggiungere i traguardi che ci poniamo. 
La sfida di Marco
«Quando ho iniziato, non ero un runner. In tutta la mia vita avevo corso 21 km solo una volta, e ora mi ritrovo qui, con delle ultramaratone alle spalle e ogni giorno messo alla prova come non mai. Ogni passo è stato una sfida, ma è proprio nelle difficoltà che ho trovato la forza di continuare. La verità è che ognuno di noi può superare i propri limiti, basta avere il coraggio di affrontarli», scrive Marco Mattazzi sul suo profilo Instagram, chiamando a raccolta tutti coloro che desiderano correre con lui gli ultimi 3 chilometri del suo viaggio

Passare quel traguardo avrà il sapore di vittoria, sia per se stesso che per ciò che ha passato quando era un bambino. In un'intervista al Corriere della Sera, Marco parla delle difficoltà avute a scuola a causa della sua forma fisica: «Un insegnante mi chiamò, una volta, “polpetta”. Da allora sono diventato lo zimbello della scuola». E senza neppure potersi affidare ai professori, la vita accademica è stata difficile e ha reagito chiudendosi ancor più in se stesso.Il rendimento di Marco ne ha risentito, e dop la seconda bocciatura ha passato un periodo in una scuola privata. Quando è stato il momento di tornare al liceo per l'ultimo anno, «avevo paura a tornarci, l'ansia di rivivere quello che avevo già vissuto mi logorava. Ma volevo superarla. Nell'estate tra la quarta e la quinta superiore ho deciso di dimagrire. Ho perso 30 chili. Ho ricominciato la scuola e quell'anno è andata bene».
Poi ha iniziato a leggere libri sulla crescita personale, ed è stato ispirato. Così è nato il progetto attuale, la volontà di correre 21 chilometri ogni giorno, per 100 giorni, e dimostrare che è possibile raggiungere i propri obiettivi. Il sogno di Marco, però, non finisce al traguardo: «Sogno di avviare una mia azienda. Vorrei comprare una pizzeria e chiamarla con il nome della pizzeria che avevano i miei nonni a Vicenza: Pizzeria California».

«Sono l'ultima abitante del paese dove sono nata. Vivo all'antica, coi gatti, senza gas né elettrodomestici. Ma non mi sento sola»

Vive senza gas, elettrodomestici e soprattutto in  solitudine . È la storia di  Anna , ultima abitante del borgho di Mossale Superiore, in p...