1.1.25

“È giusto che si emigri, ma bisogna poter tornare”: così i nomadi digitali riportano vita nel cuore spopolato della Sardegna

da il FQ del 1/I\2025

 Il territorio di Laconi inizia dove l’ultimo tornante della strada statale 128 si apre sul verde. Per chi è originario di quel luogo, per chi vi è nato e da lì è emigrato, quel confine ufficioso segnala il ritorno a casa: è il “canali mraxani”, la valle stretta e lunga delle volpi. In quel paese dell’entroterra sardo, in provincia di Oristano, la popolazione si è ridotta della metà nell’arco di sessant’anni, fino ad arrivare agli

attuali 1600 residenti. E in altri sessant’anni, se la
 decrescita dovesse rimanere costante, come molti altri paesi della Sardegna, Laconi potrebbe quasi non esistere più. Eppure i primi segnali di un’inversione di rotta ci sono: nel centro storico del borgo, tra le mura di un’antica casa con il cortile, dal 2020 esiste Treballu (in sardo “lavoro”), il primo spazio di coworking e coliving rurale dell’isola. Che in quasi cinque anni ha innescato un circolo virtuoso di ritorni, arrivi e scambi culturali. E che ora vuole investire sui giovani del territorio.
Leonardo dalla Colombia, Evgeniya dalla Russia, Ardeena dall’Australia. Sono tanti i nomadi digitali che negli anni si sono fermati a Laconi, comune al di fuori dei principali circuiti turistici dell’isola – che da sempre è vista soprattutto come una meta di mare – e che non vuole convertirsi al turismo “mordi e fuggi”. “Volevamo avere un impatto reale sulla comunità, innestando nuove storie e nuovi incontri, che durassero nel tempo e che portassero nuova vita nel paese”, spiega Carlo Coni, fondatore e project manager di Treballu. “Con tutti i nomadi digitali si è creato un rapporto profondo, di amicizia e di connessione con il territorio. E spesso ritornano”.
Come Leonardo: “È un ragazzo colombiano che vive in Canada e lavora per un’azienda del nord degli Stati Uniti. È venuto l’estate scorsa e alla fine è rimasto per due mesi. I primi giorni era molto timido, credevo non si stesse integrando – ricorda Carlo – poi un giorno ha deciso che doveva farci provare il suo mojito”. Carlo in quell’occasione prova a dargli consigli sui negozi del paese, così che Leonardo possa recuperare il necessario: rum bianco, zucchero di canna, menta. Non sa che quel timido ragazzo del nuovo continente conosce bene persino i commercianti del borgo. Li cita per nome, poi dalla tasca estrae un foglietto un po’ stropicciato: “Il signore della bottega locale gli aveva disegnato una mappa per trovare il punto in cui cresce la mentuccia selvatica – racconta Carlo – Abbiamo bevuto quel mojito un po’ fusion, e al brindisi ha promesso che sarebbe tornato: voleva rivedere tutti”.
Del gruppo di Treballu fa parte anche Annalisa Zaccaria, europrogettista e garden designer permacultrice, insieme a tanti altri che supportano e collaborano con lo spazio. “Il progetto è nato anche da un bisogno personale: vogliamo vivere a Laconi, ma anche incontrare persone sempre diverse, che ci ricordino che non siamo unici e che il modo in cui facciamo noi le cose non è necessariamente il migliore – spiega Carlo – E questo scambio di visioni, fondamentale per crescere, vorremmo coinvolgesse sempre di più anche i ragazzi di Laconi e della Sardegna. Per questo guidiamo Giovani Iddocca, un’associazione che si occupa di mobilità giovanile”.
Perché secondo il fondatore di Treballu emigrare è positivo, ma può esserlo anche tornare. “Non credo nella retorica del bloccare lo spopolamento, è giusto che la gente emigri. Ciò che si può fare è offrire prospettive di ritorno, lavorare concretamente perché un luogo come questo non si rassegni né all’estinzione, né all’essere solo una meta turistica o una località nota per le sue tradizioni”. E spiega: “Il folclore, il costume sardo, i balli, sono sì una parte di ciò che siamo, ma non bastano a definire la nostra identità”. Proprio come in una poesia dello scrittore sardo Marcello Fois: “Io ho visto bene me stesso col costume della festa. E mi sono visto come gli altri mi vedevano, non com’ero. Perché adattarsi allo sguardo altrui può diventare una forma di sopravvivenza, ma anche una forma di eutanasia”.
Su queste premesse è nato anche il progetto Ammonte dell’associazione Giovani Iddocca, con il supporto della European Youth Foundation e il patrocinio del Comune di Laconi. Partendo da un processo di progettazione partecipata, l’obiettivo è quello di creare uno “spazio creativo rurale”, un punto di riferimento per la comunità, soprattutto per i giovani, in collaborazione con enti locali, imprese del territorio e associazioni culturali. Un luogo dove tutti possano essere liberi di organizzare workshop, eventi, presentazioni. “Sentiamo che Treballu non è abbastanza. Serve un luogo che sia di tutti. Così uniremo la dimensione internazionale e la dimensione locale”.
Il 7 dicembre per il progetto Ammonte si è tenuto un evento di restituzione e confronto. Molte tra le realtà presenti – Treballu compresa – fanno parte di Nodi, una rete di connessione fondata e coordinata da Federico Esu. Nodi vuole unire il capitale culturale di chi è emigrato e poi tornato, di chi non se n’è mai andato, ma anche di chi si è trasferito in Sardegna per la prima volta: “È importante collaborare, coesistere. Ci si sente meno soli e si cresce insieme – riflette Carlo – Io stesso so cosa significa viaggiare e poi portare le proprie scoperte a casa, un’esperienza che condivido con Esu e con alcuni degli amici che collaborano a Treballu. L’idea stessa di coliving rurale l’ho avuta in un’esperienza di scambio giovanile in Spagna”. Perché il cambiamento non si attua da soli: nasce con l’incontro e si sviluppa con lo scambio.


Marco Mancuso: “Grazie ai social ho rotto il silenzio sul suicidio e una generazione fragile



Iniziamo con gli Auguri di buon anno a tutti\e\ ɐ

Lo facciamo raccontando la storia (  lo  so  che  vi aspettereste  storie  Buoniste o  allegre   e  di melassa  natalizia   ma   la  vita   reale    sono  anche storie tristi    di
rotura     dei  tabù  )    del consigliere Pd di Vercelli,Marco Mancuso  di  22 anni, ha raccontato in aula il suo tentato suicidio al liceo per fare approvare una mozione sul benessere psicologico. “Ero arrabbiato perché i consiglieri presenti non pensavano che con il loro voto avrebbero potuto salvare delle vite”


da repubblica del 31\12\2024

“È come quando un aereo rompe il muro del suono e si sente un boato. Non immaginavo ma ho rotto il muro del silenzio sulla salute mentale e ragazzi e adulti, uomini e donne di generazioni differenti hanno messo in comune le proprie fragilità, aiutandosi con il semplice atto di raccontarsi”. Marco Mancuso, 22 anni, consigliere comunale del Pd a Vercelli, il 21 dicembre in consiglio Comunale, quando capisce che la sua mozione sul benessere psicologico dei giovani sta per essere bocciata, racconta la sua esperienza in prima persona: “Pensavo di non valere niente, ero sul cornicione della finestra di camera mia… al liceo tentai il suicidio, mi ha salvato mia mamma”. Pubblica il video del suo intervento su Istagram e diventa virale. Dieci giorni , novantaseimila visualizzazioni e quasi quattromila interazioni dopo, chiediamo a Mancuso se raccontare il tentato suicidio sui social sia davvero servito a qualcosa.

Marco Mancuso: “Io sul cornicione, salvato da mia madre”. Virale il video del giovane consigliere PD

“Sì, è servito – risponde con forza e ci chiede subito di dargli del “tu” perché così parlare è più facile – La premessa è che io a vivo a Vercelli, città capoluogo, ma piccola, dove tutti si conoscono e c’è il terrore di infrangere il tabù della salute mentale all’interno delle mura della città e all’esterno; invece, il mio intervento pubblico ha rotto il muro del silenzio e si è innescata una catena di messa in comune della fragilità”.

Cosa è successo dopo la pubblicazione del video su Instagram? Cosa hanno scritto nei commenti?

“Ho due esami da preparare e ho bisogno di dormire, eppure da giorni non riesco a non leggere, rispondere e condividere i commenti social. Non sono un esperto e spesso non ho gli strumenti adatti per rispondere, mi sono arrivati messaggi molto forti e delicati al tempo stesso, ma la cosa più bella è che non conta, non devo essere io a dare risposte, perché c’è chi racconta e chi ascolta, chi condivide e le persone si rispondono l’un l’altra, si scrivono. Ma non solo sui social, un grande grazie lo devo anche all’eco che hanno dato i giornali…”.

Perché, che differenza c’è tra le visualizzazioni social e la notizia pubblicata dai giornali?

“Perché grazie ai giornali sono entrato in contatto e ho scoperto quelle generazioni che non stanno sui social, ho parlato con genitori che sono andati oltre lo spasmodico desiderio di apparire perfetti e di vedere i loro figli perfetti, e che hanno riconosciuto le proprie fragilità mettendole al servizio di tutti. Grazie ai giornali sono arrivato a chi non usa i social, ma anche loro si sono riconosciuti e si sono raccontati”.

Ma raccontarsi, soprattutto sui social, non può essere visto come una forma di esibizione di sé?

“Quando tenti il suicidio, e parlo per la mia esperienza, il nemico più grande è la solitudine, il buio, il silenzio. Sono ben cosciente che sono gli stessi social ad alimentare questo senso di solitudine, ognuno agisce per uno ed è più importante quello che racconti rispetto a quello che sei, io stesso racconto solo cose belle. Ma questa “catena tossica” può essere usata in positivo, ne ho avuto la prova. Raccontare le proprie fragilità può scardinare qualcosa che nella nostra generazione non è scontata, noi siamo la generazione delle prime volte…ma avere delle fragilità, parlare di salute mentale è anche per noi ancora un terreno minato. Parlare di salute mentale senza paura di essere giudicati è un passo enorme e se avviene sui social e sui giornali ecco che la potenza viene addirittura amplificata”.

A Vercelli che reazione c’è stata?

“Temevo la reazione della gente di Vercelli e invece c’è stata tanta solidarietà, si è creata una rete, ognuno ha raccontato di sé, dei propri figli, dei fratelli, dei nipoti: ognuno nella propria famiglia vive delle fragilità. Io grazie allo studio e alla passione per la politica ho trovato la mia strada, sono uscito dal buio; ma ognuno ha strade differenti da percorrere, l’unico denominatore comune è non aver paura di parlare di salute mentale. Bisogna creare una rete più forte della solitudine, a Vercelli come nelle piccole e grandi città di tutt’Italia”.

Alla fine, la mozione sul benessere psicologico in Comune è stata approvata?

"No. Io avevo preparato per bene il mio intervento, ci tenevo moltissimo, ma proprio quando ho capito che non sarebbe stato approvato mi è montata in corpo una rabbia incredibile, non ci potevo credere che ci fosse tanta disattenzione, che i consiglieri attorno a me non capissero che una loro decisione avrebbe potuto salvare delle vite; perciò, ho raccontato quello che io stesso avevo provato, la mia fragilità. Ora il sindaco e l'assessore hanno promesso di aiutarmi. Il 2 gennaio mi accampo in Comune, non mollo. L’eco mediatica è stata fortissima, ma ora bisogna concretizzare”.

Hai ringraziato tua madre, che ti ha salvato e ti ha preso praticamente per i capelli…

“Sì, ma il suo è stato un salvataggio fisico. Io vivo in una bellissima famiglia dove parliamo molto e ci raccontiamo tutto, dove i problemi cerchiamo di risolverli insieme. Quando sei adolescente e ti senti solobullizzato, incompreso non hai voglia di parlarne con tua madre, con i professori o con il preside, con cui invece dopo ho instaurato un bellissimo rapporto da rappresentate di istituto. Nessuno di loro ha gli strumenti, mia madre mi vuole bene e aveva capito il mio disagio, ma non aveva gli strumenti adatti per aiutarmi. Nelle scuole ci vogliono più psicologi”.zologo, due milioni di euro in più per il 2024. Via libera all’emendamento del Pd

Il tuo emendamento appunto chiedeva al Comune di intervenire per potenziare il servizio psicologico nelle scuole e all’università.

“La politica è disattenta, sorvola su questo tipo di situazioni, si vede nel consiglio comunale a Vercelli, in quello regionale, in Piemonte, e in Parlamento. Il Pd è riuscito ad aumentare il bonus psicologo, ma è ridicolo come l’aiuto psicologico debba essere ridotto a un bonus: se mi rompo un braccio vado in ospedale e mi curano, se tento il suicidio mi devo rivolgere a un privato. Io volevo che il Comune di Vercelli si rivolgesse all’azienda sanitaria per potenziare il sevizio psicologico nei licei. Nel mio liceo, per esempio, ci sono solo due psicologi per 1.500 studenti. Il Comune deve aiutare e supportare la cittadinanza a comprendere che la salute mentale è salute. Bisogna agire nelle scuole e nelle università”.

Perché è così importante agire nelle scuole?

“Perché la mia generazione non ha strumenti per chiedere aiuto, una persona che ha il buio attorno non ha forza di gridare. E, come dicevo prima, mia mamma si era accorta del mio disagio, ma non aveva gli strumenti per aiutarmi. Non deve essere lo studente a gridare, perché non ha la forza di farlo; io non mi fidavo di nessuno, temevo il giudizio degli alti altri, mi sentivo schiacciato e vessato. Davvero non possono esserci solo i social, ci vogliono le istituzioni perché siamo una generazione di persone rotte nell’anima”.

Oggi è 31 dicembre, la notte dell’ultimo dell’anno, è una notte di bilanci e progetti. Da tutta questa storia possiamo trarre, secondo te, un augurio?

“In questi dieci giorni abbiamo creato una rete pazzesca, ci siamo raccontati e uniti. Il mio augurio è che vorrei che tutto ciò proseguisse, che da questo video nato un po’ per rabbia imparassimo tutti a fare squadra in un mondo che tende alla solitudine, dove uno conta per uno”.



31.12.24

Sentimenti pelosi, appetiti giunonici, presepi mondiali, campioni poliglotti, spie un po’ alticce, iguane congelate e minzioni speciali

 ecco  per  l'ultimo dell'anno  delle storie   particolari.  da  incredibile  ma vero



Il marito ama solo il gatto, la moglie lo porta in tribunale, ma vince il felino

Bisogna essere onesti, i gatti hanno tante qualità. Una su tutte: non parlano. È quindi molto facile affezionarsi a loro, a volte pure troppo. In India una donna ha portato il marito in tribunale, accusandolo di dedicare al loro gatto più attenzioni di quante ne riservasse a lei. Succede, anche a ruoli inversi. La donna era particolarmente gelosa delle piccole grandi coccole che erano – pare – esclusiva del felino, soprattutto pasti gourmet e passeggiate notturne. La situazione è deflagrata definitivamente quando la bestia ha graffiato la donna e il marito ha minimizzato il gesto. Secondo l’uomo, in ogni caso, la denuncia è infondata e ha chiesto il rigetto alla Corte Suprema. Il giudice gli ha dato ragione: ha stabilito che l’amore per il gatto non costituisce crudeltà verso la moglie, sottolineando che la legge non può intervenire sulle dinamiche affettive. Il caso è stato archiviato, con l’invito a lavare in casa i panni sporchi. Ma i panni sporcati dal gatto sono un altro casino.



New York Times Femminismi di nicchia: “La pura liberazione di possedere un dispositivo personale per fare la pipì in piedi”


Quando si declama la superiorità del giornalismo anglosassone, bisognerebbe tenere in conto che anche il New York Times pubblica titoli così: “La pura liberazione di un dispositivo personale per urinare”. Un testo fondamentale che porta la firma di Melissa Hart e racconta in soggettiva il giubilo di una donna che riceve un regalo speciale: “Il dispositivo è apparso sulla veranda per il mio compleanno: sette pollici di robusta plastica rosa a forma di cucchiaio profondo. ‘Buona pipì!’ il mio amico – che, come me, è un appassionato escursionista – aveva scritto su un biglietto legato con un nastro”. Siamo costretti a spolierare il resto del prezioso scritto: si tratta di un oggetto di plastica allungato che somiglia vagamente a un calzascarpe e può essere utilizzato dalle donne per fare la pipì in piedi. Affascinante no? Urinare in piedi, apprendiamo, fa scoprire “una forza e una sicurezza” ineguagliabili. E il patriarcato trema come una foglia.



Inghilterra Un’influencer inglese batte il suo ennesimo record: divora 49 grammi di zucchero filato in un minuto

L’inglese Leah Shutkever è una donna dai talenti rimarchevoli. Sui suoi profili social si definisce “professional eater”, mangiatrice professionale. Mangia di tutto, ma il suo vero talento è che lo fa a velocità siderali: nella sua bio di Instagram (385mila follower) si attribuisce la maternità di ben 40 primati nel Guinness World Record, tutti legati a sfide gastronomiche in modalità sprint. L’ultimo è arrivato sotto natale: ha divorato 49 grammi di zucchero filato in 60 secondi. Per la speciale occasione, il cibo era colorato di verde in onore del Grinch. Leah ha vinto la scommessa senza alcuna fatica. “Ho le mani e il viso appiccicosissimi”, il suo primo, pregnante commento a margine dell’impresa, “ma ne è valsa la pena, era delizioso”. Come dicevamo, non è affatto il primo record per Shutkever: detiene anche il primato per aver mangiato 19 nuggets di pollo in un minuto e 10 ciambelle ripiene in tre minuti. E malgrado questo, ostenta un fisico da culturista.


Cinque Terre L’italia nel Guinness grazie a un presepe: quello di Manarola, su 4mila metri quadri, è il più grande del mondo

C’è un presepe italiano nel Guinness dei primati: quello di Manarola è il più grande del mondo. Sorge sulle pendici della Collina delle Tre Croci nelle Cinque Terre ed è composto da oltre 300 figure a grandezza naturale, tra cui pastori, pecore, angeli, contadini, Re Magi e pescatori. Sono illuminati da 17.000 lampadine per 7 chilometri di cavi elettrici alimentati da energia fotovoltaica, che si estendono su un’area di 4mila metri quadrati. È stato ideato nel 1976 dall’ex ferroviere Mario Andreoli e realizzato con materiali di recupero. Viene acceso ogni anno l’8 dicembre con un grande evento che include concerti, fiaccolate e fuochi d’artificio, trasformando la collina in uno spettacolo di luci visibile fino a metà gennaio. Le figure si illuminano ogni sera dalle 17:30 alle 22:00 nei feriali e fino a mezzanotte nei festivi. Andreoli è scomparso il 22 dicembre 2022, ma la tradizione viene portata avanti dai volntari dell’associazione del Presepe di Mario.








Dolomiti Uno sciatore ubriaco resta bloccato sulle piste e si spaccia per agente segreto croato per evitare la multa

L’eroe di Natale che non ci meritiamo è uno sciatore croato ubriaco che è rimasto bloccato sulle piste di un comprensorio dolomitico oltre l’orario di chiusura. Incapace di completare la discesa a valle, ha richiesto l’intervento delle squadre di soccorso, che lo hanno recuperato dopo un’operazione protrattasi ben oltre il normale orario di attività. E qui si è materializzato il genio: all’arrivo dei carabinieri, l’uomo ha cercato di evitare la multa dichiarando di essere un membro delle forze speciali del suo Paese. Uno 007, immaginiamo, in missione tra baite e bombardini. Purtroppo le verifiche hanno rapidamente smascherato la bugia, come si poteva immaginare. Oltre alla pesante multa per ubriachezza sulle piste, lo sciatore è stato denunciato per false attestazioni a pubblico ufficiale. Cornuto e mazziato. L’intervento si è concluso senza ulteriori complicazioni, ma ha richiesto tempo e risorse al personale presente, che avrà sicuramente apprezzato lo straordinario forzato sotto Natale


Florida Piovono iguane: con il freddo i grandi rettili entrano in uno stato di torpore e cadono dagli alberi


Ci risiamo, è quel periodo dell’anno: in Florida piovono iguane. Lo scrive La Zampa, ma è un fenomeno che si ripete ciclicamente nei periodi di grande gelo. Quando le temperature scendono, le grosse lucertole a sangue freddo entrano in uno stato di profondo torpore, possono immobilizzarsi e a volte cadere dagli alberi, come piovute dal cielo. Non sono morte, ma paralizzate dalla temperatura e riprendono a muoversi non appena il termometro risale. Ma non bisogna lasciarsi impietosire. Il National Weather Service, anzi, è costretto a divulgare avvisi specifici per mettere in guardia i cittadini: se toccate, le iguane potrebbero risvegliarsi improvvisamente e comportarsi in modo aggressivo, persino mordere. Le autorità raccomandano anche di rinunciare alla malsana idea di portarle in casa e riscaldarle: le bestie potrebbero diventare incontrollabili. Gli esperti consigliano di lasciare gli animali sul posto e, se necessario, contattare le autorità competenti.


30.12.24

Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove . farà una cosa simile per la manifestazione del 7 gennaio ?

È stata già rimossa la targa firmata "i camerati" che era stata affissa abusivamente a Roma vicino alla vecchia sede del Msi di Acca Larentia, luogo dove nel 1978 furono uccisi a colpi di pistola due militanti del Fronte della Gioventù: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, mentre Stefano Recchioni morì qualche ora dopo durante gli scontri con le forze dell’ordine.
La targa affissa ( vedi foto a sinistra ) è dedicata proprio a quest'ultimo e recita così: "1958-1978. Stefano Recchioni. Chi si è sacrificato nei valori eterni della tradizione è esempio immortale nella rivoluzione".
E Finalmente qualcuno che s'oppone ai topi di fogna ( vedere link precedente è il secondo articolo   ) , speriamo che non sia il solito fuoco di paglia , visto che ogni anno al 7 di gennaio giorno della strage di Acca Larentia ci troviamo con i soliti saluti fascisti e le solite marce svastiche ."Chi usa la tragedia dei morti di ieri strumentalmente per propagandare nel presente le follie del fascismo di oggi ne infanga la memoria e non merita alcun rispetto. In  quanto vuole usare   quelle  vicende    dolorose  di quel  periodo  terribile che  ha  insanguinato  l'italia  per  30  anni  per  scopi  strumentali   

«Senza lavoro dopo una vita in fabbrica, mancava un anno alla pensione: a 61 anni dormo per strada, non ho più niente e nessuno».,Ispettore salva un bimbo da una casa-famiglia lager: 20 anni dopo, lui lo ricontatta per tenere a battesimo la figlia., ed altre storie


Mancava solo un anno per la pensione. Una vita di sacrifaci che si sarebbe dovuta concludere con il meritato riposo (e l'assegno) di chi, dall'età di 16 anni, aveva lavorato sempre. E invece per Andrea Baudissone quel momento non è arrivato. Lui, che per 20 anni, aveva caricato e scaricato i compressori della Embraco, nel 2018 si è ritrovato esodato. E oggi dorme per strada a Torino, in Galleria San Federico.
Baudissone è uno dei 537 esodati della fabbrica che produceva compressori per elettrodomestici, un ex «stabilimento d’avanguardia», chiuso a causa della crisi dopo mesi di lotte sindacali e manifestazioni. Aveva iniziato nello stabilimento a Riva di Chieri nel 1991, dopo due anni passati in un'altra azienda. «Guadagnavo due milioni di lire al mese. Lavoravo anche di notte. Era un periodo felice», racconta a La Stampa. «Mi occupavo di caricare e scaricare i compressori. L’ho fatto per quasi vent’anni. E guardi ora come sono ridotto».
Dorme per strada, raccimola qualche moneta dai passanto che gli fanno l'elemosina, mangia alla mensa dei poveri. «Ma spesso ci sono code lunghissime - precisa - e rischi di restare a pancia vuota. Nei fine settimana mangio se riesco: le mense sono chiuse». Qualche associazione di volontariato lo aiuta, ma non basta.
Quando la crisi della Embraco si fece acuta lo stipendio iniziò a diminuire, ma i politici passavano e facevano promesse: «Ricordo quello con l’allora sindaca Chiara Appendino. Venne da noi anche Alessandro Di Battista. Tutti ci hanno fatto grandi promesse. E tutte sono cadute nel vuoto».Il fallimento è arrivato e a Baudissone sonos tatai dati 30mila euro di Tfr,usati per saldare i debiti accumulati durante la crisi dell'azienda. «Per ripianarli sono rimasto quasi senza soldi. Ho perso anche la casa». E alla fine, rimasto solo e senza più un familiare in grado di aiutarlo, ha dovuto vivere per strada. Cerca ancora lavoro, per poter raggiungere quei contributi che gli mancano er la pensione. «Ma alla mia età chi volete che mi offra un impiego?».

video collegato


 


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Ispettore salva un bimbo da una casa-famiglia lager: 20 anni dopo, lui lo ricontatta per tenere a battesimo la figlia


L’ispettore Mario Giannotta, che 20 anni fa liberò un gruppo di bambini da una comunità-lager nell’Ennese, è stato ricontattato da uno di loro per un gesto speciale: battezzare la sua bambina.
Una storia di speranza e riscatto
Era un’operazione delicata quella condotta dall’ispettore Mario Giannotta vent’anni fa. All’epoca responsabile della Prima sezione della Squadra Mobile di Enna, specializzata nei reati contro i minori,
Giannotta guidò l’intervento che salvò un gruppo di bambini da una casa-famiglia dove subivano maltrattamenti, umiliazioni e venivano nutriti con prodotti scaduti.
Tra quei bambini c’era anche un giovane che, anni dopo, non ha mai dimenticato l’uomo che lo ha aiutato a cambiare vita. Ora padre, lo ha ricontattato per chiedergli di battezzare la sua bambina.
“Ho provato un’emozione unica e tanto orgoglio per quello che la Polizia ha fatto,” ha raccontato Giannotta, oggi dirigente della Polizia Stradale.
Il battesimo: un momento di riconoscenza
Il battesimo si è svolto in un piccolo paese della provincia di Enna, alla presenza di amici e parenti. “Ricordo quei bambini, i loro occhi quando ci hanno visto,” ha dichiarato l’ispettore. Il momento è stato un’occasione per riflettere sull’impatto che il lavoro della Polizia ha avuto sulla vita di quelle giovani vittime.
“Voglio dire grazie a questo ragazzo, oggi uomo, che mi ha restituito il mio impegno. È stato bello vedere che ce l’ha fatta, che ha costruito una vita per sé e per la sua famiglia.”
La rinascita di un giovane salvato
Il giovane padre, uno dei minori liberati dalla comunità-lager, ha raccontato di come, insieme ai suoi fratelli, sia riuscito a ricostruire la sua vita grazie all’intervento delle Forze dell’Ordine. Il legame con Giannotta è rimasto indelebile, tanto da volerlo coinvolgere in un evento così significativo come il battesimo della sua bambina.
Un esempio di dedizione e umanità
La vicenda non è solo una testimonianza dell’impegno delle forze dell’ordine, ma anche un esempio di come il coraggio e l’umanità possano cambiare il corso della vita di chi ha bisogno di aiuto.
“Il nostro lavoro spesso rimane nell’ombra,” ha sottolineato Giannotta, “ma momenti come questi ci ricordano perché facciamo ciò che facciamo.”


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Lascia tutti i suoi averi a «cani e gatti bisognosi», e il Tribunale di Firenze convalida le sue disposizioni testamentarie rigettando il ricorso di un parente che ne chiedeva l'annullamento. Con una sentenza storica, nei giorni scorsi, i giudici hanno spiegato le motivazioni della decisione presa, e il percorso giuridico seguito per arrivare a dirimere il singolare contenzioso giudiziario. 

Una signora fiorentina nel 2020 aveva redatto un testamento olografo e lo aveva depositato da un notaio: non avendo marito e figli stabilisce che tutti i suoi beni, mobili e immobili, debbano essere devoluti «a cani e gatti bisognosi». Nel 2023 muore e quindi il notaio invia il testamento al Tribunale fiorentino, dove si apre ufficialmente la successione nel mese di giugno dello stesso anno. Ad aprile scorso, però, viene fuori un parente, legittimato ad agire, che impugna il testamento chiedendone la nullità. 
Le sue argomentazioni sono molto forti perché a suo dire «i soggetti a cui era stato devoluto il patrimonio della donna sono privi di capacità giuridica a succedere», e inoltre il testamento era decisamente generico e non indicava precisamente a chi lasciare il suo patrimonio. 
Ma i giudici fiorentini, dopo aver analizzato il ricorso, sono arrivati a conclusioni differenti rispetto alle aspettative del parente. Per il Tribunale fiorentino, infatti, l’aspetto più importante dell’intera vicenda, pur ammettendo la genericità del testamento e le legittime contestazioni del parente, era rappresentato dal fatto di riuscire comunque a rispettare le volontà dell’anziana signora, che nel testamento erano molto chiare e poco interpretabili. Bisognava aiutare cani e gatti randagi con i suoi soldi e con i suoi beni, su questo le sue indicazioni erano state inequivocabili e perentorie. 
Il giudice Massimiliano Sturiale, della quarta sezione civile del Tribunale di Firenze, nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi, dopo aver preso in esame tutta la documentazione processuale, leggi, sentenze, trattati e convenzioni, è arrivato alla conclusione che l’unico modo per dare seguito alle volontà testamentarie della donna fosse quello di affidare il suo patrimonio al Comune dove era residente, Firenze, che quando ne entrerà in possesso dovrà utilizzarlo per i canili comunali e per la tutela delle colonie feline. 
Anche perché la donna aveva nominato pure un esecutore testamentario, proprio al fine di vigilare sull’esecuzione del suo lascito. Insomma non aveva lasciato nulla al caso. «Se, come avvenuto in questo caso, non viene indicato l’ente specifico a cui si intende devolvere il proprio patrimonio, allora esso deve essere devoluto agli enti comunali di assistenza, e la devoluzione deve intendersi fatta a vantaggio del Comune in cui la donna aveva domicilio o residenza al momento del decesso». Questo perché, per legge, sono proprio i Comuni che si devono occupare di randagismo. 
Il tribunale fiorentino, dunque, non ha ovviamente attribuito diritti soggettivi agli animali, che non sono titolari di capacità giuridica, ma li ha riconosciuti invece in capo all’ente comunale «al fine di realizzare lo scopo previsto nel testamento dalla signora». In tal senso, quindi, per i giudici il testamento della signora fiorentina è assolutamente valido e legittimo, e il ricorso del parente è stato rigettato. 
Se non sarà appellata, la sentenza del Tribunale di Firenze nelle prossime settimane diventerà definitiva, e l’esecutore testamentario poi farà il resto come da verdetto.

29.12.24

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.






Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo di martello alla testa. Trovata morta Agitu Ideo Gudeta, 42 anni, la "pastora etiope di Frassilongo", in Trentino.
Agitu era una donna etiope arrivata in Italia nel 2010, laureata in sociologia. Era una donna molto intelligente e determinata.
Creò la sua azienda di allevamento "La Capra Felice" nonostante tutte le difficoltà, lei non si arrende. Continuò il suo lavoro che amava così tanto. Quella maledetta sera è stata trovata morta a casa, con ferite sul suo corpo, si trattava di un "femminicidio".È stata assassinata una donna intelligente coraggiosa e determinata.
Che la terra ti sia lieve ovunque  tu  sia   

Diario di bordo n 94 anno II . odio gratutito verso cecilia strada da destra e dal Chef rubio ., i topi di fogna con marce svastiche si preparano al 7 gennaio ricordo ei fatti di acca larentia ., il dramma di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina .,

In queste ore i soliti miserabili (  metaforicamente  parlando  ) stanno infettando   i social e non solo purtroppo  (specie sotto certi giornalacci e siti  di destra extraparlamentare   come  il   ink  citato  nerlle  righe   successive  )  sbavando bile, ignoranza e cattiveria pura contro la giornalista Cecilia Sala, imprigionata da otto giorni in un carcere iraniano.
“Se la tengano pure”.“Si sta facendo le vacanze di Natale in carcere per scrivere il libro”.“La Boldrini
indossi il burka e vada a farla liberare”“ , Diamogli la Salis in cambio”, Fatele fare quello che chiedeva per i Marò in India” Cecilia Sala, mentre frigna dalla prigione, spuntano i suoi post infami che scrisse contro i nostri militari . E poi via delle solite sciocchezze da bar vomitate sotto le decine di notizie sull’arresto. “Cosa ci faceva in Iran?”
Lavorava. Come tutti noi. Di mestiere fa la giornalista. E all’Iran ha dedicato libri, podcast, inchieste.
“Perché andare in un Paese dittatoriale? Se l’è cercata”.
Perché è questo che fanno gli inviati di guerra e nei teatri più pericolosi: documentare le dittature e le violazioni dei diritti umani e farle conoscere. Si chiama giornalismo.
Non doveva, non poteva immaginare che accadesse quello che è accaduto?  Ma certo: le tante Cecilia Sala che nelle zone più tormentate del mondo, vanno, cercano di capire e raccontare quello che vedono e apprendono, lo devono mettere in conto. Come l’avranno senz’altro messo in conto Domenico Quirico e Daniele Mastrogiacomo, Giuliana Sgrena, i tanti – una lunga lista – che ci hanno rimesso la vita.
Cosa ci sono andati a fare, in Iran, in Afganistan, in Somalia, nella ex Jugoslavia, in Cecenia? Cosa ci andavano a fare Antonio Russo, Maria Grazia Cutuli, Marcello Palmisano, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marco Luchetta, Dario D’Angelo… Ma anche cosa ci andavano a fare, pur senza andare troppo lontano, i giornalisti uccisi dalla Cosa Nostra e dalla Camorra, i cui anniversari celebriamo ogni anno e ricordiamo con affetto?
Mesi fa a New York una bella mostra di fotografie di Gerda Taro, la fotografa morta stritolata dai cingoli di un carro armato nei giorni della guerra civile in Spagna. Che c’era andata a fare? A realizzare quelle immagini che ancora oggi si guardano con commozione e dolore, documenti della tragedia di un popolo la cui libertà e i cui diritti venivano soffocati da Francisco Franco, Adolf Hitler e Benito Mussolini.Il suo compagno, Robert Capa, che ci andava a fare anche lui in quella Spagna, e poi durante la Seconda guerra mondiale in Nord Africa, lo sbarco in Normandia, la liberazione di Parigi… e ancora la guerra arabo-israeliana del 1948, la guerra d’Indocina del 1954, fino a morire dilaniato da una mina a Thau Binh ? A centinaia, migliaia di reporter, fotografi, cineoperatori, si potrebbe rivolgere la stessa domanda: che ci siete andati a fare ?Se si risponde: per farvi sapere, forse se la replica sarà una scrollata di spalle. Gli indifferenti, gli “struzzi” ci sono ovunque, sempre ci saranno come sempre ci sono stati. C’è però un’altra possibile risposta: se noi si fosse iraniani, afgani, russi, ucraini, tibetani, appartenenti a uno dei cento popoli che devono subire e patire guerre, dittature, oppressioni, vorremmo o no che il mondo libero sapesse delle nostre tragedie, sofferenze e persecuzioni? Ci conforterebbe o no sapere che qualcuno sa della nostra resistenza, della nostra volontà di poter vivere liberi di sognare e di forgiare il proprio destino? Se la risposta a queste domande è sì, ecco che cosa ci sono andati a fare, che cosa ci vanno a fare, in Iran e in altri paesi che Dio sembra aver dimenticato. Ecco perché a tutti loro occorre dire grazie per quello che hanno fatto e cercano di fare.
“Dove sono ora le femministe?”
Dove sono sempre state e dove saranno sempre (quelle vere): ad alzarsi in piedi contro un regime liberticida e brutale contro le donne e a sostenere la liberazione di Cecilia Sala.
“E adesso chi paga?”
Nessuno. Donne e uomini di Stato sono al lavoro (giustamente in silenzio) per riuscire a liberarla con ogni mezzo e canale diplomatico. Ma, se fosse necessario, sarei ben felice che le nostre tasse fossero utilizzate per riportare in Italia una giornalista la cui unica colpa è quella di fare il proprio mestiere.
Non c’è cifra, invece, che possa ripagarci di tanta miseria  umana     come  ,  oltre  quella    già citata    dello chef  Rubio .  Infatti egli ha   scritto  « Lunga vita all'Iran e a chi resiste alle ingerenze imperialiste Miracolate sioniste e spie con la passione dei viaggi non dovrebbero essere compiante, ma condannate »  .  Ha  già  detto tutto  mentana  un miserabile  idiota



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In questi giorni centinaia di notissimi topi di fogna della Storia si stanno organizzando alla luce del sole per “commemorare i camerati caduti” ad Acca Larentia, come ogni 7 gennaio.
Questo abominio non nasce col favore delle tenebre in qualche riunione clandestina ma in post pubblici sui social, dichiaratamente e orgogliosamente, senza che nessun organo pubblico o di governo alzi un


dito o muova un sopracciglio. 
Quando, il 7 gennaio, ci sveglieremo anche quest’anno con duecento o più camicie nere con 

( ....  ) 
marce svastiche e federali
sotto i fanali
l'oscurità
e poi il ritorno in un paese diviso
nero nel viso
più rosso d'amore
( ....   ) 
che urlano “Presente” a braccia tese,lo sdegno ipocrita e la finta sorpresa della destra destra, sappiate che tutti sapevano tutto, ma nessuno è voluto intervenire.

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  concludo  questo  numero     con un   classico   post \  commento  a mente    fredda  .  

Infatti    è  proprio   a    freddo   , dopo  qualche  giorno dalla sua  diffusione sui media  , che riesco  a  riportare  una  storia triste     come questa  .
Questa non è una storia di mostri e nemmeno di orchi ma di esseri umani capaci di orrori indicibili e di altri esseri umani che, di fronte a quell’orrore, non riescono a trovare una qualche forma di salvezza terrena.
È la storia di una coppia di genitori di Orbassano (Torino), Alessandro e Cristina, lui medico, lei
farmacista, che si sono tolti la vita insieme, come gesto estremo di rifiuto a una vita a cui non riuscivano più a dare un senso, un verso  dopo  la  tragedia  che  gli  ha  colpiti  .
Due anni prima la figlia di 28 anni Laura (nome di fantasia) si era impiccata in seguito a dei traumi indelebili per le violenze e gli abusi subiti da un parente (deceduto da tempo) quando era bambina.
Laura non si è suicidata, non è corretto, avevano raccontato a chi glielo aveva chiesto.  «Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un omicidio psichico e il suo aguzzino è un assassino. Ora noi siamo soltanto ombre  ».Anche il loro gesto è figlio e conseguenza indiretta di quell’omicidio in vita, in una catena familiare di dolore che Alessandro e Cristina non sono riusciti a spezzare in altro modo.  Ha  ragione    Lorenzo tosa  



Questa storia ti annichilisce, ma racconta anche moltissimo di Noi .          Vicino con ogni cellula intima e personale a questa famiglia, sperando che serva almeno in parte per riflettere sulle conseguenze del dolore, sui muri di omertà che circondano la famiglia come costrutto sociale e la società intera. Voglio ricordarli così, in un momento di felicità, come tanti ne avranno vissuti. Riposino in pace, ora.


Ecco  perchè è necessario  introdurre   fin  dagli asili \  ed  elementari una  cultura  non  violenta  e   lezioni  d'educazione : all'affettività  e alla  sessualità , al rispetto e  ala convivenza \  coesistenza  , alla  legalità . Ma  soprattutto    ricominciamo   ad  introdurre   nelle  scuole il medico  e  lo  psicologo scolastico.  Tutti elementi  che  i  precedenti  governi hanno smatellato .   

Daniela Martani è stata denunciata e arrestata per aver manifestato contro le corrida le reazioni dei soliti commenti degli analfabeti funzionali

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