14.6.17

se prima era la tv ora sono i cellulari e i social parcheggio i bambini ? da questa storia : «Così i pedofili minacciano mia figlia» La 13enne aveva foto erotiche nel telefono. Il padre chatta al suo posto: «Ne volevano altre o avrebbero pubblicato tutto»


o è tonto oppure è uno di quei genitori chje credono che il cell sia come la tv . e vienen usato per " parcheggiare" i figli \e e farli stare buoni   questo   è quello che mi  viene  leggendo e sentendo  fatti    . come  quello riportato sotto  .
Accusatemi  pure  di generalizzare  o altro  ma io  non so  come   si spiega   che  si regalano o s'acquistano    senza  prima  spiegarli \ ed insegnarli  ad  uso corretto ed  etico  gli iphone  , smarthone , ipad  , tabelt  , ecc  hai  ragazzi  delle elementari . 



«Così i pedofili minacciano mia figlia» 

La 13enne aveva foto erotiche nel telefono. Il padre chatta al suo posto: «Ne volevano altre o avrebbero pubblicato tutto»


Questa è la storia di una normale famiglia della provincia di Modena, che trascorre alcune ore insieme in casa. Padre, madre e la figlia di 13 anni.Lei, come tutti gli adolescenti, ha il cellulare in mano e chatta con le amiche. Almeno così sembra, finché quell’andirivieni dal bagno non insospettisce la mamma, che le strappa il cellulare dalle mani. Quello che trova è così sconvolgente che distrugge l’apparecchio, lo fa in mille pezzi: nelle chat ci sono foto di sua figlia nuda e anche qualcosa in più.Alla rabbia della madre, si affianca la lucidità del padre, che chiameremo Paolo. 
Prima cerca di spiegare alla figlia le conseguenze di ciò che ha fatto e i pericoli che ne derivano. Poi ha un’idea: vuole capire davvero cosa sta succedendo, allora dai resti del cellulare estrae la sim e la inserisce sul suo tablet, di fatto sostituendosi alla figlia, che nel frattempo, furiosa, la sera non torna a casa. Si rifugia da un’amica, dove i genitori la trovano e condividono con l’altra famiglia la propria esperienza scoprendo che pure l’amica era vittima nello stesso giro di scambio di immagini.Ma torniamo a Paolo che si immerge nella vita virtuale della figlia e si rende conto dell’esistenza di un mondo che non immaginava nemmeno lontanamente: non solo Facebook e WhatsApp, ma anche altri social network e servizi di messaggistica istantanea (come Telegram, Kik o Instagram) attraverso cui la figlia era finita nelle rete di almeno due persone adulte. Già, perché quelle immagini non erano scambiate semplicemente con ragazzini della stessa età della figlia, ma con pedofili.
Paolo, così, inizia lentamente a ricostruire quel mondo virtuale andando a ritroso nel tempo. Tutto ha inizio con un concerto di una tra le band più note a livello italiano. È qui che la figlia viene inserita in una chat di gruppo, che, apparentemente, è solo un modo per i giovani fan di tenersi in contatto. In realtà è la strada preferenziale attraverso la quale i pedofili ottengono i contatti delle ragazze e da lì iniziano quella che si può definire come una vera e propria caccia.La figlia di Paolo è una delle vittime. Lui, infatti, riesce a ricostruire le cronologie, avvalendosi anche dell’aiuto di due ragazzi che lo affiancano dal punto di vista tecnologico, e trova non solo le immagini, ma anche le minacce: «O mandi altre foto o pubblico quelle che mi hai già inviato». «Troia mandami le tue foto». Oppure: «Vengo lì e ti metto incinta», quest’ultima minaccia rivolta all’amica della figlia.Lui per un po’ sta al gioco fingendosi la figlia e i messaggi sono sempre sulla stessa lunghezza d’onda e la rabbia dall’altra parte aumenta per la mancanza di nuove immagini. Ci sono richieste a dir poco esplicite ed evitiamo di entrare nello specifico. C’è anche una sorta di psicologia inversa, con frasi del tipo «sei noiosa» per far leva sulla fragilità di una ragazzina di 13 anni che, per sentirsi accettata, si potrebbe fare sempre più audace, inviando immagini di volta in volta più spinte.Poi il padre si rivela e dall’altra parte viene addirittura deriso. Uno dei due, ad esempio, che utilizza un numero tedesco per chattare, risponde con delle note audio che palesano chiaramente la voce di un adulto. Dice: «Uso il numero straniero perché non mi voglio far beccare. Se la foto arriva di tua spontanea volontà non è più sotto il tuo potere, posso farci quello che voglio e soprattutto c’è la crittografia perché non vogliono aver problemi». Cosa non del tutto vera, dato che la polizia postale ha i mezzi per risalire a cronologie e numeri di telefono. E ancora al padre: «È inutile che parlate di polizia postale. Voi fatelo, vi sfido, perché io non ho fatto niente e quelli che stanno sopra di me (non è chiaro a chi si riferisca, ndr) a controllarmi vanno a controllare in questura e non c’è niente, 
cosa va su di voie non su di me».
Paolo ha voluto rendere pubblica la sua storia per un motivo ben preciso: «Vi prego, controllate i vostri figli perché non si può mai sapere chi si cela dietro ai cellulari. Vigilate sui vostri figli».

Giovanni Balugani

12.6.17

la realtà a volte è una favola la storia Marisa Leonzio, la bambina di Hollywood ed il suo ponte ., Dopo 36 anni riceve le scuse per il furto la storia di Lorenzo Alberton

per chi dice che   :  le favole non esistono ed i sogni non si realizzino,   che    il carcere     non educa  e  chi  esce  dal carcere continuare a delinquere le ecco due storie .

per  chi acvesse  dubbi  trova  qui  sotto    oppure  qui direttamente dall'archivio dell'istituto luce il vido dell'evento






Il ponte e la favola bella: Marisa Leonzio, la bambina di Hollywood, oggi fa la nonnaLei aveva solo 9 anni e ogni giorno percorreva chilometri a piedi per andare a scuola. Chiese alla Befana di avere un aiutino. La sua lettera fece il giro del mondo e un produttore americano esaudì il suo sogno. Ma il viaggio tra i divi non l’ha cambiata

Marisa Leonzio attraversa il ponte sul Chioma al taglio del nastro: è il 1958

Una storia che sembra un film: la piccola Marisa da Nibbiaia, frazione di Rosignano Marittimo, catapultata nel magico mondo di Hollywood accanto a star come William Holden (protagonista di “Sabrina” a fianco di Audrey Hepburn e Humphrey Bogart). Diva lei stessa, immortalata su quel ponte da favola. Ma la piccola Marisa non perderà mai di vista la vita vera. Come ci racconta...
Sessantanove anni ma non li dimostra, nata da una famiglia di contadini a Gorgo, località sperduta nelle campagne di Nibbiaia, oggi è residente a Collesalvetti, sposata, due figli e cinque nipoti. Lei si chiama Marisa Leonzio ed è un po’diversa dalle donne della sua età perché ha un passato favoloso, anzi la sua storia è davvero una favola. Tutto cominciò esattamente 60 anni fa quando di anni ne aveva solo 9. Nell’anno scolastico 1957-1958 frequentava la quarta elementare a Nibbiaia e la sua maestra era la signorina Rossana Cecconi diplomatasi da poco.
La "bambina del ponte" è diventata nonnaLa storia di quando Hollywood esaudì un suo desiderio, espresso in un tema a scuola, resta solo un bel ricordo. Aveva 9 anni e fu invitata negli Stati Uniti, alla Casa Bianca, al Quirinale e in televisione. Ora, nonna felice, racconta questa storia alle nipotine come fosse una fiaba
La piccola Marisa in braccio all'attore William Holden
In quel dicembre del 1957 la maestra dette agli alunni il compito di descrivere quali doni desideravano per le feste natalizie. Molti ragazzi scrissero che la loro aspirazione era di ottenere un trenino o un fucile, mentre per le ragazze l’oggetto del desiderio era in genere una bambola. Bisogna dire che Marisa, abitando in campagna a tre chilometri dalla scuola, ogni mattina doveva anche attraversare quasi a guado il torrente Chioma. E allora nella sua letterina alla Befana scrisse che il dono per lei più bello sarebbe stato un ponte su quel torrente in modo che il suo viaggio giornaliero fosse un po’più agevole.
L’allora direttore del Circolo didattico del comune di Rosignano prof. Benincasa, colpito dall’originalità di quel desiderio, pubblicò la lettera alla Befana sul giornalino scolastico “Sei Rose” da lui creato. Subito dopo sulle cronache locali uscirono articoli che riprendevano integralmente ciò che aveva scritto Marisa.
La notizia rimbalzò poi sulle pagine di alcuni quotidiani nazionali e dopo qualche giorno la favola della bambina di Gorgo ebbe inizio. Un grosso dirigente della casa cinematografica americana Columbia, che stava per lanciare nel mondo il film “Il ponte sul fiume Kwai” con Alec Guinness e William Holden, per la regia di David Lean, chiese il permesso al comune di Rosignano di costruire un ponte sul torrente Chioma identico a quello del film per regalarlo a Marisa Leonzio.
In tempo di record il ponte in legno lungo 16 metri e largo 5 fu realizzato e, il 19 gennaio 1958, quel fantastico dono fu ufficialmente “consegnato” all’alunna di Gorgo. Alla cerimonia erano presenti il prof. Demiro Marchi sindaco di Rosignano con la fascia tricolore, il provveditore agli studi della provincia di Livorno, alcuni dirigenti della Columbia, una quantità di giornalisti dei quotidiani nazionali e quasi tutti gli abitanti di Nibbiaia. Ancora oggi Marisa ricorda che mentre attraversava il ponte molti di loro piangevano e lei a quel tempo non riuscì a comprendere perché. «Solo qualche anno dopo – dice – ho capito il significato di quelle lacrime».

Il ponte sul Chioma in costruzione


Fu comunque una festa meravigliosa che scintillava negli occhi stupefatti e anche un po’increduli della piccola Marisa bersagliata dai flash e dalle domande. Quel ponte era destinato a segnare una svolta radicale nella vita di quella bambina. Lei, cresciuta in modo semplice nella campagna di Gorgo fra le galline che razzolavano nell’aia e i buoi che tiravano l’aratro nei campi, venne catapultata in un mondo che non era il suo. Infatti dopo l’inaugurazione Marisa fu ricevuta al Quirinale da donna Carla, moglie di Giovanni Gronchi a quel tempo presidente della Repubblica. Lei si presentò con due regali: il giornalino scolastico “Sei Rose” dove era pubblica la sua lettera alla Befana e un mazzo di sei rose che sono il simbolo del comune di Rosignano Marittimo.

Marisa ospite a "Lascia o raddoppia" con Mike Bongiorno

Il 2 febbraio del 1958 Marisa conquistò addirittura la pagina della copertina della Domenica del Corriere che in un grande disegno a colori la rappresentava mentre attraversava il ponte seguita dalla banda musicale. Anche i giornali americani pubblicarono foto e articoli della vicenda di “Marisa del ponte” . Una vicenda che a questo punto divenne ancora più favolosa perché l’Associazione Americana Scambi Studenteschi Internazionali con sede a Washington, la cui presidentessa onoraria era Mamy Eisenhower, consorte del presidente degli Stati Uniti, la invitò per una visita di dieci giorni in quel Paese.

La copertina della Domenica del Corriere
(2 febbraio 1958) dedicata alla "bambina del ponte"

Marisa Leonzio con suo padre Alberto il 19 marzo partirono da Roma alla volta di New York. Il viaggio di andata e ritorno fu offerto dall’Alitalia. Con loro era un interprete messo a disposizione dalla Columbia che li avrebbe accompagnati durante tutta l’avventura americana. Su quell’aereo salì anche l’attore William Holden che prese posto accanto a Marisa e che scese a Parigi dove aveva impegni di lavoro. Lei racconta che durante il viaggio lui fu molto gentile e le regalò perfino un mazzolino di violette.
Poi ci fu il gran salto Parigi-New York e Marisa arrivò nella Grande Mela dove rimase 5 giorni. Fu sottoposta a una lunga serie di interviste televisive, filmati, foto... La portarono sull’Empire State Building, a quel tempo il più alto grattacielo della città, e in cima alla Statua della Libertà. Partecipò poi alla prima del film in uno dei più famosi cinema della metropoli. Gli altri cinque giorni di questa straordinaria vacanza li trascorse a Washington dove fu accolta alla Casa Bianca dalla nuora di Eisenhower. Poi fu ospite dell’allora vicepresidente Nixon che aveva due figlie quasi coetanee dell’alunna di Nibbiaia e finalmente ebbe occasione di trascorrere qualche giorno divertendosi molto a giocare con loro.

Ricorda che nel giardino di casa Nixon faceva le pallate di neve con le due nuove amichette. Un giorno la portarono in giro per negozi di giocattoli e le regalarono due bambole. I Leonzio, padre e figlia, rientrarono in Italia il 19 marzo ma la favola di Marisa non era finita. Fu invitata a Milano alla prima nazionale del film e poi fu ospite nella trasmissione di Mike Bongiorno “Lascia o raddoppia” e qualche giorno dopo in quella dello “Zecchino d’oro” condotta dal Mago Zurlì Cino Tortorella.

Marisa Leonzio con il marito in un'immagine recente

La favola si concluse in bellezza perché la Croce Rossa Italiana comunicò ufficialmente che dopo le elementari avrebbe completamente mantenuto agli studi Marisa fino alla maturità. Un anno dopo i Leonzio si trasferirono da Gorgo al Castellaccio vicino a Montenero. Marisa frequentò le medie all’Istituto Santo Spirito di Livorno. Poi scelse le magistrali e allora, sempre a spese della Croce Rossa, entrò in collegio all’Istituto Sacro Cuore di Cecina, dove si diplomò maestra.
Qualche anno dopo si fidanzò e poi sposò Angelo Antonio Olivola che era un dipendente della CMF di Guasticce e si trasferì quindi a Collesalvetti. Nel 1988 Marisa partecipò alla trasmissione televisiva “Trent’anni della nostra storia” condotta da Paolo Fraiese su Raiuno ed ebbe modo di raccontare la sua straordinaria vicenda. Nel 1997 il Comune di Rosignano la festeggiò in una manifestazione al Castello Pasquini di Castiglioncello durante la quale le fu consegnata una targa. I suoi due figli Andrea e Davide le hanno regalato cinque nipoti: Benedetta, Edoardo e Filippo il primo, Alberto e Alice il secondo.
Oggi Marisa Leonzio fa la nonna a tempo pieno ed è felicissima di questo suo ruolo. Dice che quando racconta ai nipoti la sua storia, quasi non le credono e allora lei gliela racconta come se fosse davvero una favola. Il ponte sul torrente Chioma non esiste più. Sono rimasti soltanto i 4 pali piantati in terra che lo sostenevano ma la favola che nacque da quel ponte forse non sarà mai dimenticata.

Dopo 36 anni riceve le scuse per il furto  


Lorenzo Alberton, di Cassola, si è visto recapitare una lettera e un assegno provenienti dal Bellunese: «Vorrei conoscerlo»

BELLUNO.
 Ne è passata di acqua sotto il ponte di Bassano da quando, quel marzo di tanti anni fa, Lorenzo Alberton si trovò il finestrino dell’auto rotto e l’autoradio sparita. Se ne era quasi dimenticato, preso dalla vita che va avanti, dal lavoro, dalla passione per il canto. Qualcuno, però, ha continuato a pensare a quel gesto. E, dopo 36 anni, ha deciso di porvi rimedio con una lettera di scuse e un assegno di 100 euro.
Parte da Belluno la raccomandata con ricevuta di ritorno che lascia a bocca aperta il signor Alberton, residente a Cassola, nel vicentino. Porta la data del 25 maggio di quest’anno ma racconta una storia risalente al 1981. «Scrivo la presente in merito al furto dell’autoradio posta all’interno dell’autovettura di sua proprietà» si legge nella missiva «avvenuto a Bassano del Grappa, episodio per il quale sono stato prima arrestato, poi condannato alla pena di mesi tre di reclusione e al pagamento di lire 30 mila di multa, oltre al pagamento delle spese processuali».
«Quel giorno ero andato a trovare mia moglie, che aveva avuto la mia seconda figlia» ricorda Alberton «e poi ho parcheggiato l’auto sul ponte degli alpini. All’epoca si poteva fare. Dopo un po’ ho sentito dei colpi: qualcuno aveva rotto il vetro dell’auto e aveva portato via l’autoradio». La vittima del furto non poteva immaginare che 36 anni dopo il destino gli avrebbe fatto ricordare quei momenti grazie al postino che gli ha recapitato una lettera firmata con nome e cognome.
«Da anni vivo e lavoro regolarmente nel Bellunese ed ho deciso di intraprendere un percorso di riabilitazione» spiega l’autore della lettera, «vorrei pertanto scusarmi per la condotta posta in essere all’epoca dei fatti e sono pronto, quale piccola azione riparatoria, a corrispondere una somma pari ad euro 100».
«Ricevere questa lettera è stata una grande sorpresa» spiega Alberton «non ho mai incontrato questo signore prima e di certo non mi aspettavo di ricevere una sua comunicazione». Tanto è stato lo stupore, e anche la gioia per essere stati destinatari di un gesto così raro, che ha deciso di raccontare la sua storia in televisione, a Rete Veneta. E grazie al Corriere delle Alpi spera di incontrare di persona l’autore del gesto.
«Per il momento non ho intenzione di spendere quei soldi»  -- aggiunge Alberton  -- «li vorrei usare per brindare, insieme a lui, a questa vicenda. Mi trovo spesso a passare per il Bellunese e mi piacerebbe incontrarlo per farmi raccontare come ha maturato questa idea, qual è la sua storia. Un atto così non è comune ed è da ammirare»

Giuseppe Scano intervista Cristian A. Porcino Ferrara autore del libro "Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne".



Il 12 giugno 2016 un killer uccise ad Orlando 49 persone che si trovavano nel locale gay Pulse. Alle vittime di Orlando e a Eddie Justice è dedicato il libro di Cristian A. Porcino Ferrara Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne. Inoltre Porcino dedica il proprio volume anche a Sara Di Pietrantonio barbaramente assassinata dal fidanzato. Nell'intervista con l'autore si è discusso di omofobia, femminicidio, i moti di Stonewall e molto altro.

1) Qual è il tuo bilancio a un anno dall'uscita del libro "Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne"?

«Molto buono. Quest'anno ho ricevuto recensioni positive, tanti pareri autorevoli come quello della senatrice Monica Cirinnà, ringraziamenti da parte di associazioni Lgbt e molte altre soddisfazioni personali. Penso alle tante opinioni dei lettori che mi hanno contattato in privato per congratularsi del lavoro fatto. Alcuni di loro mi hanno raccontato le loro vite, i problemi che li hanno segnati e la rinascita dopo la consapevolezza di sé»

2) Una bella soddisfazione

«Certo, perché l'unico a credere nel progetto sono stato io. Ho contattato tanti editori ma quasi tutti, pur se interessati, non hanno voluto investire economicamente su un progetto da loro ritenuto di nicchia. In Italia domina l'editoria a pagamento e se non accetti di sborsare quattrini devi impegnarti a fare tutto da solo e diventare quindi indipendente»


3) Se osserviamo i risultati raggiunti non hai avuto torto. Ma mi dicevi di Christopher Park (che appare proprio nella copertina del libro) e la comunità Lgbt. Raccontaci qualcosa.

«Dici bene. Ricordo la soddisfazione di aver portato la mia opera a Christopher Park, New York, dove nacque il movimento Lgbt. Proprio in questi giorni ricorre l'anniversario dei moti di Stonewall. Accanto a Christopher Park si trova lo storico locale Stonewall Inn (foto 2) dove il 27 giugno 1969 si lottò per affermare il proprio diritto di esistere in quanto esseri umani. L'orgoglio di essere se stessi e di reclamare e combattere per ciò in cui si crede davvero. In quelle manifestazioni si sancì la fine della violenza psicologica e fisica affrontando le autorità che volevano schiacciare i diritti civili delle persone gay confinandole in un ghetto. Infatti, per le strade di New York nel mese di giugno ogni anno il gay pride riempie la Grande Mela non solo di colore, ma dimostra concretamente che il proprio orientamento sentimentale e sessuale non deve essere più tenuto nascosto ma vissuto alla luce del sole. La libertà di amare non è una concessione ma, per l'appunto, un diritto»


4) In fondo New York è un po' la tua seconda casa, e quindi è stato un piacere ricevere attenzioni dai newyorkesi, o mi sbaglio?

«Esatto. Non dimentico la gente seduta a Christopher Park (foto 1) che mi continuava a chiedere se il libro era scritto in inglese e se potevano acquistarlo nelle loro librerie. Non posso scordare il loro entusiasmo e la loro positività. Da italiano confesso che tanta dimostrazione di stima e affetto mi ha fatto un certo effetto. In Italia non siamo abituati a manifestare il nostro interesse per qualcuno che non conosciamo. Forse se lo vediamo in TV sì ma per uno scrittore indie è del tutto impensabile. Siamo molto invidiosi dei successi degli altri e raramente ci facciamo coinvolgere dai progetti culturali degli sconosciuti»

 5) All'interno del libro tu includi un interessante progetto educativo sulle varie forme di affettività da realizzare nelle scuole. Hai trovato il modo di presentarlo negli istituti?

 «Da ben tre anni e senza grandi risultati. Ho inviato tempestivamente il progetto all'assessorato alla pubblica istruzione di Catania. L'assessorato ci ha fatto sapere che il progetto era valido però mancavano i soldi per poterlo realizzare. All'epoca ho fatto un tour de force insieme ad una mia amica psicologa nelle scuole statali, ma oltre a congratularsi per il progetto la litania che ascoltavamo era sempre la stessa: non ci sono soldi. Altre volte, invece, i dirigenti scolastici non ci ricevevano  e ci dirottavano presso segreterie didattiche o vicepresidi. Di conseguenza il progetto è stato depositato e protocollato ovunque, ma non mi è mai stato permesso di attuarlo. Il progetto si rivolge proprio ai ragazzi e ragazze delle scuole medie  inferiori e superiori, e l'intento era proprio quello di sensibilizzare i più giovani su tematiche che li riguardano da vicino. Ho notato un ostruzionismo sistemico inaccettabile, e un'indifferenza preoccupante che è la maggiore causa dei problemi che affliggono questo paese. Ed è questo che mi dispiace tanto»

6) Dicevamo prima che il tuo libro ha ricevuto anche l'apprezzamento della senatrice Monica Cirinnà ed è stato ben accolto da pubblico e critica. Mi chiedevo se da parte cattolica hai ricevuto apprezzamenti o rifiuti?

«Colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta la senatrice Cirinnà per le parole di apprezzamento alla mia opera. Devo dire che è una persona davvero sensibile, e soprattutto dotata di grande empatia. Per quanto riguarda l'ambito cattolico io vedo spesso dei muri nonostante i vari appelli al dialogo pronunciati da Papa Francesco. Ci tengo a precisare che non appartengono a nessuna chiesa, e di conseguenza non frequentando alcuna comunità sono escluso in automatico dai vari dibattiti su omofobia e femminicidio. Già in passato per via di alcuni miei libri sono stato estromesso da lavori che erano offerti da strutture religiose, ed ho patito varie forme discriminatorie a causa della mia non appartenenza a nessuna fede preposta al culto. Ho tentato anni fa di parlare con l'arcivescovo della mia città ma non mi ha accordato alcun appuntamento. Chiaramente sono disponibile ad un confronto con le strutture cattoliche ma dubito che ciò  accadrà»

7) Quali sono secondo te i metodi per combattere i numerosi casi di femminicidio e di aggressione omofoba nel nostro paese? E a cosa è dovuta tanta intolleranza e furia omicida?

«È evidente che il nostro paese porta avanti un sistema discriminatorio frutto di una cultura prettamente machista. Una subcultura abbastanza diffusa che deve essere estirpata alla radice. Goleman parla di alfabetizzazione emotiva da iniziare fin da ragazzi ed è proprio quello che nella nostra società manca. Non possiamo restare con le mani in mano e non colmare questo vuoto culturale. Da questo dipende il futuro delle nuove generazioni. Nessuno può possedere nessuno, tantomeno la vita della persona che dichiariamo d'amare. L'amore vero libera dalle catene e non distrugge la vita della persona amata. Stesso discorso per l'omofobia. Si combatte con la violenza ciò che non si comprende con la ragione e la cultura. L'ignoranza genera paranoie e nemici inesistenti. Purtroppo in Italia non esiste ancora una legge per combattere il femminicidio e l'omofobia. Senza una cultura dell'accoglienza e del rispetto reciproco la discriminazione e l'ineguaglianza troverà piena cittadinanza. A tal proposito ho apprezzato il toccante messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella diffuso in occasione della giornata mondiale contro l'omofobia. Per ringraziarlo gli ho inviato in dono una copia del mio libro»

8) Nel libro analizzi alcune canzoni straniere e italiane, mi chiedevo se poi qualche artista italiano si è fatto vivo con te, magari per ringraziarti o per altro?

«Purtroppo no. Ho contattato molti artisti italiani da me citati ma non ho ricevuto alcun segnale. Ho scritto diverse mail ed ho tentato anche tramite i social ma nulla. In fondo ci sono abituato. Ho notato molti messaggi visualizzati a cui però non è mai seguito alcun riscontro. In Italia i 'famosi' ti scrivono solo se vai in Tv e diventi anche tu un fenomeno televisivo. Ma va bene così. Non ho scritto il libro per essere ringraziato da loro, ma per incentivare una lotta attiva al femminicidio e l'omofobia. Ed è questa la mia priorità»

Giuseppe Scano



Il libro Canzoni contro l'omofobia e la violenza sulle donne è in vendita su Amazon al seguente link: https://www.amazon.it/Canzoni-contro-lomofobia-violenza-sulle/dp/1326718746



11.6.17

BAB’AZIZ - IL PRINCIPE CHE CONTEMPLAVA LA SUA ANIMA - NACER KHEMIR FILM DRAMMATICO ED ESISTENZIALE





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Non ricordo   precisamente, come nel mio cazzeggiare   giorvagare in rete   forse  cercando  url o spunti   per  introdurre  un precedente post sull'islam abbia treovato   il film Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima. Un film  dai contenuti esistenziali interessanti  .
Ora, mi sono già stati segnalati molti film con contenuti "esistenziali", ma raramente il film aveva contenuti così evidenti e belli come Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima. IL film  peraltro, non è mai stato importato in Italia, nonostante una paternità in parte italiana per cui è liberamente disponibile per tutti, per esempio su Youtube,  dove  è  li che l'ho trovatroe  visto  
Paternità in parte italiana, d  si  diceva   pocofa  : il film, diretto da Nacer Khemir, è stato scritto a quattro mani dal regista stesso e dallo sceneggiatore Tonino Guerra, sì, proprio quello   di “Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita”.  Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima (2005) è il terzo film di una trilogia, la cosiddetta Trilogia del deserto, dopo I figli delle mille e una notte (1984) e La collana perduta della colomba (1991).
L’ambientazione è quella del deserto, col film che ha svolto le sue riprese in parte in Iran e in parte in Tunisia (a Tataouine il luogo che ha dato volto e nome a Tatooine di Guerre stellari), e In Iran . Le altre riprese sono state girate a Kashan, Yazd, Kerman e nell'antica città di Bam, dove è stata girata la scena del raggruppamento dei dervisci. Pochi mesi dopo aver girato la città fu distrutta da un terremoto. In Tunisia, le altre riprese sono state girate a Tunisi, Korba, Sultan Walad e Tataouine.
IL  film  culturalmente si muove tra sufismo e misticismo islamico, e che più in generale ci parla di fiducia, del cammino dell’esistenza, del viaggio esteriore ed interiore, dei talenti e dei doni personali, e del rapporto tra le persone. Il regista ha affermato -- secondo  wikipedia   che le scene venivano girate solo una volta, poiché era impossibile ricreare la purezza della sabbia dopo che gli attori avevano lasciato orme su di essa, quindi nel caso una scena risultava insoddisfacente il set dove spostarsi in zone senza impronte. Sempre riguardo al luogo ha dichiarato: Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione, allo stesso tempo. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, che sono miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. È anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba, che porta la memoria delle sue origini. In ogni parola araba, vi scorre un po' di sabbia. È anche una delle principali fonti di poesia d'amore araba.
Ecco in grande sintesi la trama del film: Bab'Aziz è un vecchio derviscio ormai cieco, il quale viaggia con la nipote Ishtar, una bambina sveglia e premurosa.
I due sono diretti a un misterioso raduno di dervisci (sorta di monaci-mistici che utilizzano il canto e la danza come metodo di consapevolezza e di illuminazione spirituale) che si tiene ogni trent’anni…
… ma in un luogo sconosciuto, da cui il motivo del loro peregrinare alla sua ricerca.
Durante il loro viaggio, essi incontrano vari personaggi, tra cui Osman e Zaid, e inoltre Bab'Aziz racconta alla nipote, a puntate, la storia del principe che contempla la sua anima in una pozza d’acqua, racconto nel racconto.
<< Va da sé che :  Bab’Aziz - Il principe che contemplava la sua anima ci mostra -come dice https://foscodelnero.blogspot.it-- un viaggio, quello fisico di Bab’Aziz e di Ishtar (nome della dea babilonese dell’amore e della fertilità, mentre il nome Aziz richiama la forza e potenza, e suppongo che i nomi non siano stati scelti a caso), ma soprattutto ci racconta un viaggio interiore, quello che formalmente è la ricerca del raduno dei sufi, ma che di fatto è il viaggio di scoperta di sé e di evoluzione personale che ogni persona compie.>>
La natura di meta-racconto del film è evidenziata anche dal suo essere cornice di un racconto dentro al racconto: quello già citato del principe che contemplava la sua anima, che il nonno racconta alla nipote. A proposito, il rapporto tra i due è molto bello, e rappresenta il rapporto educativo ideale tra anzianità e giovinezza, quella che vi era nelle società tradizionali di millenni fa e che si presume tornerà in futuro: in esso l’anziano non è un relitto della società, un uomo che ha smesso di essere utile e che "è andato in pensione", ma è una risorsa enorme di saggezza ed esperienza… a patto, ovviamente, che abbia percorso un cammino di crescita spirituale, altrimenti si sarà come la gran parte dei vecchi di oggi, che sono bambini spirituali in corpi anziani.
A sottolineare il valore del film, mi sono segnato prese  da lla recensione  di    fosco   del nero (  vedere  citazione delle righe  precedenti  ) alcune frasi, tutte dette da Bab’Aziz, che ci parlano di fiducia nell’esistenza, di cammino personale, di talenti personali, di reincarnazione, ancora di fiducia e di cambiamento e abbandono-resa.

“Chi ha fede non si perderà mai.
Chi è nella pace non perderà la sua strada.”
“È sufficiente camminare, solo camminare.
Chi è stato invitato troverà la sua strada.”
“È sufficiente camminare, solo camminare.”
“E se ci perdiamo?”
“Chi ha fede non si perde mai.”
“Tutti usano i loro doni più preziosi per trovare la strada.
Nel tuo caso è la voce.
Canta, figlio mio, e ti sarà mostrata la strada.”
“Porti il marchio dell’angelo.”
“Bab’Aziz, cos’è il marchio dell’angelo?”
“I bambini nel ventre della madre conoscono tutti i segreti dell’universo. Ma poco prima di nascere viene un angelo che pone un dito sulle loro bocche così che dimentichino tutto. In ricordo di questa conoscenza perduta, alcuni di loro, come te, hanno un segno sul loro mento: questo è il marchio dell’angelo.”
“Ma allora un giorno ricorderemo tutto ciò che sapevamo?”
“Chi lo sa? Forse.”
“Figlio mio, non accontentarti di una goccia d’acqua.
Devi gettarti nella corrente.”
“Se al bambino nell’oscurità del ventre di sua madre fosse detto “Fuori c’è un mondo di luce, con alte montagne, grandi mari, distese ondulate, bei giardini in fiore, ruscelli, un cielo pieno di stelle, e un sole fiammeggiante, e tu, dinanzi a tutte queste meraviglie, stai rinchiuso in quest’oscurità”, il bambino non ancora nato, non sapendo nulla di queste meraviglie, non crederebbe a nessuna di esse. 




Bab'Aziz offre una visione affascinante in bilico tra sogno e realtà, dove immagini e ambientazioni, che paiono scaturire dalle favole dell’antico Oriente, si mescolano con grande naturalezza a dettagli contemporanei come radio, moto, occhiali e abiti. La figura del derviscio cieco fa il paio con quella del Derviscio Rosso, un sufi cencioso che risponde in pieno ai canoni del “folle di Dio”, mentre la bambina Ishtar, spirito rinchiuso in un corpo infantile, ha tuttavia un’anima anziana per saggezza e misteriosa esperienza. Il giovane Osman, invece, vuole ritrovare una bellissima donna incontrata in un palazzo incantato in fondo al pozzo in cui era precipitato, e sembra essere il gemello spirituale di Zaid, un altro giovane innamorato di una donna, conosciuta e sedotta dopo una tenzone poetica in cui è risultato vincitore con una poesia sulla danza dell’universo in lode a Dio.

C’è dunque un continuo contrappunto tra queste esistenze, che intersecano le loro strade e le sciolgono, mentre la luce del deserto delinea, con precisione e volatilità insieme, le orme del cammino che essi imprimono sulla sabbia. Come ha detto il regista stesso: “Il deserto è un campo letterario e un campo di astrazione, allo stesso tempo. Si tratta di uno dei rari luoghi dove l'infinitamente piccolo, che è un granello di sabbia, e l'infinitamente grande, che sono miliardi di granelli di sabbia, si incontrano. È anche un luogo dove si può avere un vero senso dell'Universo e della sua scala. Il deserto evoca anche la lingua araba, che porta la memoria delle sue origini. In ogni parola araba, vi scorre un po' di sabbia. È anche una delle principali fonti di poesia d'amore araba.”
La stessa storia del principe, perduto a contemplare la sua anima specchiandosi nel pozzo, si discosta dal mito di Narciso innamorato del proprio involucro esteriore, visione destinata a sbriciolarsi e a fallire, per calarsi nelle sue profondità invisibili ma durature. Conseguenza naturale è che, alla fine, il principe non si accontenterà della mera contemplazione dell'anima, ma l’abbraccerà fino in fondo in maniera più che sorprendente. Il regista ha spiegato che l’idea del principe gli era venuta da una lastra dipinta in Iran nel 12° secolo, e che voleva anche offrire una visione dell'Islam molto diversa da quella che purtroppo emerge dai fatti di cronaca, dalla lettura che ne danno i media e dagli integralismi religiosi.Infati il regista ( foto a sinistra ) riguardo al titolo del film dichiarato : << (...) È vero che il Principe si specchia sulle acque, ma non vede il proprio volto, a differenza di Narciso, perché chi vede solo il suo riflesso nell'acqua è incapace di amare. Il principe contempla ciò che è invisibile, che è la sua stessa anima. Siamo tutti simili agli iceberg; solo un decimo di noi è visibile, mentre il resto giace sotto il mare. L'idea del "Principe" mi è venuta da una bella lastra che è stata dipinta in Iran nel XII secolo. Si presenta con un principe in prossimità dell'acqua, e porta la seguente scritta "Il principe che contemplava la sua anima." Questa immagine mi ha colpito come qualcosa che dovevo costruire su di essa, motivo per cui mi sembrava ovvio che il film doveva essere girato in Iran. (....) continua qui su http://www.spiritualityandpractice.com/film >> .Il senso del film è una metafora della vita come viaggio nel tempo e libertà di ricerca, secondo la quale, come nel detto sufi che apre il film: Ci sono tante strade che portano a Dio, quante sono le anime sulla terra.”
Un film consigliato a tutti coloro non sono prevvenuti ma aperti e che ancora resistono alla proganda post 11\9\2001 e guardano per parafrasare Una famosa canzone dei  Mcr   sui questi tempi bui ed inquieti." da me più vote citata più volte in questo blog , oltre la guerra e la paura e riesce a sfuggiree e non cadere o quanto meno a schivare ed ad uscirne subito l’imperante cultura del terrore, che si fonde col qualunquismo e la sfiducia e ci rende egoisti, e deboli.
Scongliato  
 ai   :  leghisti (  e non ) , malpancisti   ,   agli islamfobici ma soprattutto a quelli che sono appiatti sulla proganda   che  afferma  l'equazione  islam \ mondo arabo = fanatismo e bombe .




Così siamo noi dinanzi alla morte. Ecco perché abbiamo paura.”

10.6.17

Lesbiche e surrogata Lesbiche e surrogata 06/06/2017di Simonetta Robiony


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Si dice: perché a una donna deve essere concesso di interrompere liberamente una gravidanza e non di portarne aventi una per conto di una altra donna? In altre parole perché l’aborto sì e la GPA no? Ci accusano di essere illiberali dimenticando che una cosa è un feto, un’altra un bambino. Con la surrogata c’è un neonato coinvolto. E ci sono i suoi diritti.

  Di G.dallorto (Self-published work by G.dallorto) [CC BY-SA 2.5 it (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5/it/deed.en)], attraverso Wikimedia Commons


12244349_10206697815537297_7371128982019298820_oProprio nei giorni di questo giugno, quando i cortei del Gay Pride cominciano a muoversi nelle nostre città per rivendicare i loro diritti, ma anche per festeggiare le vittorie ottenute, il movimento si divide sul tema della “surrogata”, definita con un termine più brutale “utero in affitto” o con uno più elegante “gravidanza per altri”. Da una parte le donne omosessuali che chiedono una riflessione perché la maternità è argomento troppo complesso per potersi risolvere con la regolamentazione della pratica della surrogata e dall’altro gli uomini omosessuali che chiedono, invece, che questa pratica sia resa legale anche in Italia. Roberta Vannucci, fiorentina, presidente dell’ArciLesbica nazionale e in quanto tale aderente al movimento LGBT, ovvero Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans, quello che organizza i numerosi cortei di giugno che hanno sostituito la grande manifestazione unitaria di Roma, per sottolineare ovunque in maniera più evidente la partecipazione e la presenza del Gay Pride, ci spiega le ragioni della divisione.

Come mai questa scelta non più unitaria tra voi lesbiche e donne e gli altri, gay, bisessuali, trans e uomini ?
Non è una scelta che nasce all’improvviso, poco prima dell’inizio dei cortei del Gay Pride di quest’anno, per minarne l’unità, come ci è stato rimproverato. Già nel 2012, nel nostro congresso, negli atti conclusivi pubblicati sul sito dell’associazione, mostravamo alcune perplessità sulla surrogata. Ma chi li legge i nostri atti? Gli uomini, si sa, sono poco attenti alla parola delle donne. Adesso, nel momento in cui il tema è diventato all’ordine del giorno, abbiamo deciso di dichiarare pubblicamente la nostra posizione che peraltro era quella di accettare la “gravidanza per altri” solo se solidale e opporci invece a quella commerciale. Ma i confini tra l’una e l’altra, lo stiamo scoprendo, sono assai fragili.
Quante sono le vostre associate?
Siamo all’incirca duemila ma le simpatizzanti, quella che “no, la tessera no”, sono molte di più. Nel 2015 il dibattito su questo argomento tra noi era stato intenso. Che vuol dire portare avanti una gravidanza come gesto di solidarietà nei confronti di una donna che non può farlo? Non ricevere niente in cambio, né l’aiuto per far studiare i figli all’università, né il contributo per acquistare una casa, né un regalo in segno di gratitudine? Oppure accettare questi vantaggi allargando il numero delle donne disposte a farlo? Sono tante le domande. E se si deve restringere alla sola gravidanza solidale come dobbiamo comportarci? Ammettere unicamente una sorella, l’amica del cuore, la cugina ed escludere tutte le altre? Sì, ma in base a quale regolamentazione?
L’accusa più frequente è che vietando la surrogata viene limitata la libera scelta delle donne.
Lo so. Si dice: perché a una donna deve essere concesso di interrompere liberamente una gravidanza e non di portarne aventi una per conto di una altra donna? In altre parole perché l’aborto sì e la GPA no? Ci accusano di essere illiberali dimenticando che una cosa è un feto, un’altra un bambino. Con la surrogata c’è un neonato coinvolto. E ci sono i suoi diritti.
Senza dimenticare che ormai a gestire questa pratica sono organizzazioni internazionali con avvocati, medici, cliniche specializzate e tanto, tanto denaro in mezzo.
Certo, perché per la maternità unicamente solidale non c’è offerta. D’altra parte perché una donna sana di mente dovrebbe accettare di crescere nel suo corpo un bambino di cui disfarsi alla nascita senza trarne alcun profitto? La realtà è una altra. Ci sono coppie sterili, e sono la maggioranza, che vogliono un figlio a tutti i costi, e poi ci sono le coppie omosessuali maschili che vogliono anche loro un figlio ma non possono per i limiti che gli impone la natura. Per esaudire questo desiderio si è creata una attività commerciale. Si sceglie una donatrice che fornisce l’ovulo, giovane, sana, bianca, bella, e si sceglie una donna che terrà nel suo utero questo ovulo fecondato, una donna spesso povera, bisognosa, a volte perfino di Paesi in via di sviluppo. E siamo già a tre donne: tre donne libere? Non lo so. Io credo che vada fatto una riflessione sulla genitorialità. Vengo dal femminismo e un pensiero su cos’è la maternità va tentato.
Si dovrebbe rivedere in Italia la pratica delle adozioni, forse.
Sì, anche questo. So benissimo che tra un figlio naturale e uno adottivo c’è differenza. E che, per la prima volta, in Italia, ci sono più bambini che coppie richiedenti. La legge sull’adozione va cambiata. Va estesa alle coppie omosessuali e ai singoli, con tutti i risvolti psicologici e sociali che questo può comportare. Sarà una lunga battaglia che siamo pronte a combattere. Ma volere un figlio che abbia almeno in parte il patrimonio genetico di una coppia a me sembra voler aderire a un modello antico di famiglia, a un concetto che non corrisponde neanche più alla nostra realtà sociale, a un archetipo patriarcale. Riflettiamoci. Anche in Italia ormai si è coppia in tanti modi, si è famiglia in maniere diverse. Perché il figlio deve essere solo sangue del mio sangue? O almeno di uno dei due membri della coppia? Vero, oggi la scienza lo permette, ma non mi pare una risposta sufficiente. Donare un figlio non è come donare un organo per salvare una vita: crescerlo per nove mesi significa passargli una parte di se stessi e privarsene può essere una violenza innaturale. E se poi, questo figlio, da grande volesse conoscere la donna che lo ha tenuto in grembo, che si fa? E come ignorare quella che ha fornito il suo ovulo cioè metà del patrimonio genetico nucleare di questo figlio? Quante madri ha un essere umano nato con la GPA?.
Gli uomini gay vi rimproverano di aver fatto una scelta egoistica prendendo questa vostra posizione.
Lo so. Noi lesbiche siamo donne, abbiamo ovaio e utero, un figlio se lo vogliamo lo possiamo mettere al mondo senza ricorrere al mercato. I maschi no. Ma quante cose gli uomini hanno potuto fare per secoli e noi no? C’è una differenza, certo, ma questi contratti, queste clausole, questi denari che vanno e vengono non ci sembrano una buona soluzione. Nel variegato mondo arcobaleno che è il nostro le posizioni sono tante su questo tema. Siamo state coperte di invettive, insulti, volgarità solo perché abbiamo espresso la nostra posizione. La maternità è questione troppo complessa che necessita di risposte problematiche. Vogliamo una riflessione. Una pausa. E l’abbiamo detto. Noi lesbiche abbiamo voluto avere una parola pubblica. Non per rompere il nostro fronte ma perché esprimersi è un diritto. Non vorrei fosse soprattutto questo ad aver turbato gli uomini con cui per anni abbiamo lottato e vinto molte battaglie.

La distinzione tra islamisti cosiddetti moderati, come la Fratellanza Musulmana, e islamisti estremisti è illusoria. Intervista dellla rivista tempi al professore Wael Farouq

N.b


Prima di riportare qui sul nostro blog l'interessante intervista , riportata \ condivisa sull' appendice  sulla  pagina facebook del nostro blog   dalla carissima Daniela Tuscano , della rivista http://www.tempi.it aWael Farouq  (  foto  a  sinistra  ) esponente intellettuale del mondo musulmano nonchè docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano e all’Università Americana del Cairo, originario dell’Egitto e profondo conoscitore della realtà araba (  qui  un suo  intervernto  del  2015  in cui  durante una diretta di Tgcom24 ha affrontato i temi dell’Islam, dell’integrazione e del terrorismo ) 
 , riporto una  definizione   , da leggere per  chi volesse una  visione equilibrata dell'islam  non quella distorta e preconcetta islam=terrorismo e fondamentalismo 





Wahhabismo
Il Wahhabismo è un movimento di riforma religiosa, sviluppatosi in seno alla comunità islamica sunnita, fondato nel XVIII° secolo da Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb (al-ʿUyayna, Najd, 1703 - Dirʿiyya, presso Riyāḍ, 1792), un Arabo della tribù sedentaria dei Banū Tamīm.
Definito nelle maniere più diverse - "ortodosso", "ultraconservatore",[1] "austero"[2] - per oltre due secoli il Wahhabismo è stato il credo dominante nella Penisola Arabica e dell'attuale Arabia Saudita. Esso costituisce una forma estremamente rigida di Islam sunnita, che insiste su un'interpretazione letteralista del Corano. I wahhabiti credono che tutti coloro che non praticano l'Islam secondo le modalità da essi indicate siano pagani e nemici dell'Islam. I suoi critici affermano però che la rigidità wahhabita ha portato a un'interpretazione quanto mai erronea e distorta dell'Islam, ricordando come dalla loro linea di pensiero siano scaturiti personaggi come Osama bin Laden e i Ṭālebān. L'esplosiva crescita del Wahhabismo ha avuto inizio negli anni settanta del XX secolo, con l'insorgere di scuole (madāris, plurale di madrasa) e moschee wahhabite in tutto il mondo islamico, da Islamabad a Culver City (California). ( continua https://it.wikipedia.org/wiki/Wahhabismo )

Dopo le ultime stragi terroristiche, la condanna della violenza islamica e della debolezza mostrata dall’Occidente risulta ancora più potente se a pronunciarla è  Parlando con tempi.it, Farouq parte da una delle domande radicali che più assillano il dibattito pubblico europeo di questi anni: è corretto sostenere che l’islam è una dottrina che ammette o addirittura ordina l’uccisione degli infedeli? O è solo una questione di interpretazione del Corano? «È una discussione che va avanti da centinaia di anni, nonostante più del 90 per cento dei dotti musulmani concordi che l’islam non ordini per nulla, né ammetta, l’uccisione degli infedeli. Immaginate questa scena: un malvagio assassino, noto a tutti, afferra la testa della vittima prescelta, estrae il coltello e gliela taglia sotto lo sguardo generale. Scoppia la rivolta. Uno grida: “Coltello infame!”. Un altro dice: “Coltello senza cuore!”. Un terzo dice: “Non c’è da stupirsi, è la sua natura di coltello! Guardate la sua lama affilata! Guardate la sua estremità appuntita!”. Un quarto ribatte: “Sì, ma ci sono anche coltelli senza lama”. E un altro: “E coltelli che non tagliano più”. Allo stesso modo, dopo ogni attacco terroristico, i codardi e gli ipocriti si mettono a criticare il Corano, invece di additare i veri responsabili».
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È necessario quindi fare un distinguo, sostiene Farouq, tra musulmani e islamisti: «I primi sono le persone di fede islamica, i secondi quelli che trasformano la religione in ideologia e sono pronti a morire e uccidere per renderla dominante. Una persona che prega, digiuna e rispetta la propria tradizione religiosa è un musulmano, ma una persona che considera la propria tradizione religiosa come un progetto politico per purificare le altre tradizioni (che ritiene corrotte) è un islamista. L’islam politico, in sostanza, non è una scelta che si fa per se stessi, ma una scelta che si cerca in tutti i modi di imporre agli altri».

La distinzione tra islamisti cosiddetti moderati, come la Fratellanza Musulmana, e islamisti estremisti, invece, è illusoria, spiega Farouq, perché i due gruppi si spartiscono semplicemente i ruoli. Ricordando l’assassinio dello scrittore giordano Nahed Hattar, Farouq descrive «la loro danza» come «caratterizzata da diverse fasi che sempre si ripetono:
1 – La vittima, di solito, è un artista, uno scrittore o un professore universitario, perché questi sono i nemici naturali dell’ideologia religiosa e dei “commercianti di religione”.
2 – La vittima di solito – guarda caso – è attiva e influente nel criticare l’islam politico. La sua critica, inoltre, gode di credibilità presso un vasto settore di pubblico, per la sua integrità e il suo comportamento non ipocrita nei confronti del potere, coerentemente con i suoi principi.
3 – Gli islamisti moderati pescano una frase o una vignetta della vittima, la estrapolano dal contesto e accusano l’autore di miscredenza.
4 – Gli islamisti moderati avviano la propaganda contro la vittima e istigano l’opinione pubblica contro di lei. E poiché sono moderati, non chiedono che la vittima sia assassinata, ma che sia processata.
5 – Il governo laico cede alla pressione e processa la vittima con leggi del Medio Evo.
6 – Infine, arriva il turno dell’islamista estremista che spara alla vittima per ucciderla fisicamente, dopo che gli islamisti moderati l’hanno uccisa moralmente.
7 – A questo punto, gli islamisti moderati condannano l’assassinio della vittima, dicendo che sono contrari alla sua uccisione, anche se è un miscredente.
8 – Poi, gli islamisti moderati propagandano l’idea che sia la persecuzione dell’islamismo moderato a condurre alla violenza dell’islamismo estremista.
9 – Per finire, un gruppo di sciocchi con titoli accademici abbracciano la stessa idea e, se si dice loro che gli islamisti moderati sostengono che la punizione per la blasfemia e l’apostasia sia la pena di morte, ti dicono: ma questa è la sharia, non si può cambiare. E se dici loro che anche la vittima era musulmana, ma non credeva che la sharia fosse questa, l’accademico occidentale progressista ti risponde: sì, ma la vittima era un miscredente!»
La contestualizzazione delle diverse interpretazioni si basa su una premessa fondamentale: non è possibile parlare di islam in generale. «L’islam è qualcosa di troppo vasto che ha numerose interpretazioni persino nel Corano. Il multiculturalismo dell’islam è un aspetto bellissimo e la possibilità di averne infinite interpretazioni non è un fatto negativo. I problemi nascono quando specifici poteri, in specifici momenti storici, approfittano di questa sua caratteristica positiva per abusare del testo sacro e fare del male». Farouq prende quindi ad esempio il recente isolamento del Qatar da parte dell’Arabia Saudita e di alcuni suoi alleati: «Tutti discutono se sia peggio il Qatar o l’Arabia Saudita, per quanto riguarda il loro sostegno al terrorismo, ma nessuno affronta la vera questione. Tutti sanno, infatti, che il wahhabismo, in tutte le sue versioni, saudita, qatariota e anche turca, nonché la storica versione rappresentata dalla Fratellanza Musulmana, è il principale responsabile di questa interpretazione violenta dell’islam. Allora, invece di dibattere se sia meglio il Qatar o l’Arabia Saudita, il mondo intero dovrebbe boicottare entrambi, finché non cessino di sostenere e finanziare la dottrina wahhabita. Questo non è un invito alla violenza, è una presa di posizione morale, simile a quella che il mondo prese con il Sud Africa dell’apartheid».
Il legame tra l’Islam e il potere politico ed economico spiega perché sia solo il Corano ad essere abusato in questo modo. «Sfortunatamente la gente che crede nel Corano vive nelle regioni in cui si trovano le risorse che fanno girare il mondo». Per questo spiega Farouq, quando si parla di terrorismo, bisogna sempre considerare il mercato di armi, cibo ed energia. Farouq cita un altro esempio: «Abbiamo visto tutti, sui muri di Bengasi, il murale dei Manchester fighters, giovani britannici di origine libica spediti in Libia a combattere contro Muammar Gheddafi. Ebbene, chi è il responsabile dell’attacco terroristico di Manchester? Il versetto coranico che il giovane terrorista, responsabile dell’attacco, forse non ha nemmeno letto? Oppure la politica del suo governo che gli ha permesso di arruolarsi e andare a combattere in Libia, a fianco delle truppe alleate?». Anche l’Occidente è chiamato ad assumersi la sua parte di responsabilità: «L’Europa che tollera il wahhabismo e gruppi politici come la Fratellanza Musulmana non è l’Europa liberale, ma quella colonialista che sfrutta tutte queste persone per mettere al sicuro i propri interessi».
Il problema, conclude Farouq, va oltre l’interpretazione del Corano e riguarda la distanza che si è creata fra gli interessi e i valori dell’Europa. «Io credo nel buono dell’islam e nel buono dell’Europa, ma la civiltà superiore dei nostri tempi sembra essersi ridotta a un ristretto margine di scelta fra il male minore e il male peggiore, fra Obama e Trump, fra il fascismo religioso e la dittatura laica. È questo estremismo che mi spaventa».

Giugno 9, 2017 Francesca Parodi - Tempi

9.6.17

"Sembri un maschio": la squalifica di Mili, piccolo talento del calcio In Nebraska, un taglio troppo corto e un piccolo errore di battitura sono costati l'espulsione dal torneo dell'intera squadra di calcio femminile in cui gioca la bambina di 8 anni



http://www.repubblica.it/esteri/2017/06/09/



"Sembri un maschio": la squalifica di Mili, piccolo talento del calcio In Nebraska, un taglio troppo corto e un piccolo errore di battitura sono costati l'espulsione dal torneo dell'intera squadra di calcio femminile in cui gioca la bambina di 8 anni. Negli Usa, l'episodio ha suscitato ondate di indignazione e la solidarietà di alcune stelle dello sport

 di VALENTINA BARRESI





Uno sguardo vivace condito da un taglio un po’ troppo sbarazzino: tanto basta a mettere alla porta una giovane calciatrice, squalificata da un torneo calcistico in Nebraska. Otto anni appena, Mili Hernandez, sognava invece di centrare quella porta avversaria, nel torneo dello Springfield Soccer Club, cui doveva prendere parte domenica scorsa. Ma le sue sembianze “troppo da maschio” e un errore di battitura nell’elenco delle partecipanti non le hanno consentito di essere protagonista di quell’appuntamento tanto importante, insieme alle compagne di squadra dell’Omaha Azzurri Chachorros.
A nulla sono valse le proteste dei genitori, che di fronte alla decisione degli organizzatori del torneo, hanno presentato i documenti che provavano il sesso di Mili. A fianco al nome, nella lista incriminata compariva una ‘M’, anziché una ‘F’: il risultato è stato l’eliminazione dalla gara dell’intero team.
I capelli corti di Milli? La normalità per lei, assicura il padre Gerardo, che fece la scelta per questioni di praticità quando la bambina era piccola. Un taglio che lei stessa ha voluto mantenere anche quando è cresciuta. "Solo perché sembro un maschio, non significa che lo sia. Non hanno motivo di squalificare l’intera squadra”, è stato il commento della piccola giocatrice.
Accade così che nell’America del politically correct il caso susciti un’ondata di indignazione sui social, catturando anche l’attenzione di due stelle del calcio statunitense. Abby Wambach, due volte medaglia d’oro olimpica, detentrice del record di gol a partita con la maglia della nazionale, ha affidato a Instagram un video-messaggio rivolto alla giovane calciatrice: “Mili, non lasciare mai che nessuno ti dica che non sei perfetta così come sei. Con i miei capelli corti ho vinto dei campionati”. Da Mia Hamm, invece, due volte vincitrice del FIFA World Player of the Year e una delle sole due donne incluse nella FIFA 100, la lista dei migliori calciatori di tutti i tempi, è arrivata un’offerta per la piccola Mili: quella di giocare nella Team First Soccer Academy da lei fondata.
I Cachorros, intanto, hanno presentato una denuncia alla Nebraska State Soccer Association, sostenenendo che la squalifica sia da ricondurre a una discriminazione di genere. Il mondo dello sport, anche tra gli adulti del resto, non è nuovo a episodi che hanno messo in ombra o compromesso il percorso di diversi campioni, ma che nulla hanno a che vedere con la loro professionalità o con le loro gesta in campo. Celebre il caso dell’atleta sudafricana Caster Semenya, la cui carriera subì un’importante battuta d’arresto a causa dei dubbi sul suo genere e sulle sue prestazioni "abnormi": nel 2009, mentre vinceva il suo primo oro ai Mondiali di atletica leggera di Berlino, venne sottoposta a una serie di test di verifica. All’epoca diciottenne, fu costretta a ritirarsi per un anno: i suoi tratti mascolini, venne poi provato, erano da “imputare” alla sua natura di ermafrodita, che però non è incompatibile con la sua eleggibilità come atleta nella categoria femminile. Più recente, invece, il caso riguardante la pallavolista Tifanny Pereira de Abreu, che lo scorso febbraio ha esordito nel campionato femminile italiano di serie A2 con il Golem Palmi, in un polverone di polemiche legato alla sua identità precedente: fino al 2016, infatti, era


Rodrigo, giocatore di una squadra maschile in Belgio. La 32enne, però, non ci sta a essere etichettata per un passato con il quale non vuole più essere identificata. Storie diverse, accomunate da pregiudizi legati a tratti distintivi che non dovrebbero fare la differenza.
 

L'elzeviro del filosofo impertinente

Anni fa mi occupai della sessualità dei supereroi. Il libro che conteneva tale saggio non uscì mai in Italia ma fu pubblicato da un editore americano. In alcune librerie newyorkesi circola ancora qualche copia usata del suddetto volume. In quel breve saggio ragionavo in merito alla sessualità di Superman, Batman, Spiderman etc., evidenziandone le numerose contraddizioni. Proprio in questi giorni debutta al cinema il film dedicato alla prima supereroina degna di nota: Wonder Woman. Chi è nato negli anni'80 non può non ricordare il telefilm trasmesso da italia uno con una splendida Lynda Carter nei panni di Wonder Woman.
 Il film uscito il 1 giugno è già record di incassi al botteghino. La pellicola è diretta da una brava regista, Patty Jenkins (Monster) e la protagonista è interpretata dall'attrice israeliana Gal Gadot (ex soldatessa). Per quanto mi riguarda non andrò a vederlo ma tale interesse generale merita una piccola riflessione. È bene ricordare che Wonder Woman è una creazione di William Moulton Marston, psicologo e fumettista. Egli aveva conosciuto le vere eroine del femminismo come Emmeline Pankhurst e Margaret Sanger e decise di ispirarsi a loro per dare vita ad un personaggio in grado di rappresentare il girl power. Fu così che nel 1941 ideò Diana, una guerriera amazzone nata nell'isola di Themyscira. Tale eroina DC Comics per un determinato periodo di tempo ricoprì un ruolo non secondario, ma negli ultimi anni quasi nessuno si rammentava più di questa interessante figura mitologica. Eppure proprio l'anno scorso l'Onu aveva scelto Wonder Woman per rappresentare i diritti delle donne. Questa scelta di nominarla ambasciatrice provocò disordini e proteste e si raccolsero più di 40 mila firme per bocciare tale idea. Una delle tante motivazioni fu proprio quella legata alla rappresentazione stereotipata della figura femminile. Non possiamo negare che le intenzioni dell'autore erano ben diverse, ma è evidente che Marston ha attribuito alla sua eroina caratteri ben precisi. La Nostra protagonista fu ritratta in abiti succinti, in linea con lo stile delle pin up degli anni' 40. A questo vorrei però obiettare che nei supereroi il fattore sessuale è da sempre presente. Guardate la tuta di Batman degli ultimi film e noterete la meticolosa attenzione con cui si mettono in mostra sia i pettorali dell'eroe sia i gioielli di famiglia di Bruce Wayne. E Superman e Captain America? Identico discorso. Per non parlare degli attori, dei veri sex symbol, chiamati ad interpretare tali personaggi. Dunque il sessismo non riguarda solo Wonder Woman alias Diana Prince, ma anche i suoi colleghi maschi. Le loro figure sono tipicamente caratterizzate e su questo non si discute. Il sesso dei supereroi affascina e mobilita l'attenzione del grande pubblico. L'industria del porno ha attinto a piene mani dai supereroi per realizzare parodie hard con attori in costume. In verità il modo di fare l'amore dei supereroi affascina e allo stesso tempo disorienta il pubblico. Esistono anche soggetti che prediligono fare sesso con il/la proprio/a partner mascherati da supereroi. Nonostante questo rimane ancora un mistero la ginnica sessuale di Clark Kent-Superman ma poco importa. I supereroi si prendono cosi come sono stati creati. Senza ma e senza se. Dopotutto chi vorrebbe mai avere una relazione con un supereroe o una supereroina? Sai che gioia dividerli con il mondo intero! Meglio una noiosissima e stabile relazione fra esseri ordinari ma reali. Non trovate? Se non mi credete ascoltate la bellissima canzone dei Coldplay e The Chainsmokers Something just like this e capirete il senso di ciò che dico.

Cristian Porcino
® Riproduzione riservata

Macché censura, Tony Effe è lo specchio del mondo quindi non rompete se va a san remo

Chiedo scusa per coloro avessero già letto i miei post su un fìnto ribelle o un nuddu miscato cu' niente ( cit dal film  I cento passi  ...