Comosso e ispirato , dalla bellissima poesia postata da iperio e dalla reazione / rigurgito dei ragazzi calabresi contro la mafia ( vedere manifestazione del 4 novembre ) ho deciso di riportare le ulteriori news delle vicenda di P.paola: monni di cui avevo già parlato sempre nel blog verso la fine d'ottobre e per rispondere a dei miei amici \ conoscenti maschilisti che dicono che le donne devono rimanere a casa a cucinare a lavare e che sono poco coraggiose , Ecco questo è un caso in cui , soprattuitto in detterminate zone chiuse del sud d'italia le donne sono più coraggiose degli uomini Ecco l'esempio di Pina Paola Monni ( la ragazza dela foto a sinistra ) la. la quale dopo l’uccisione del fidanzato, nonostante le minacce ele pesanti intimidazioni ricevute tramite scritte su muri ( fortto a destra ) per amore ha rotto il tabù dell’omertà detterminante in alcune zone interne della sardegna che continuanoad essere legati ad un codice barbaricino che ormai non nesiste più o si è modificato a tal punto da perdere il significato originario . Pina spiega alla nuova sardsegna ( uno dei quotidianio dell'isola N.d.c ) perché ha rotto l’omertà e che : << Orune rinasce se parla invece muore se tace» e che prima o poi reagirà Pina Paola Monni vorrebbe vivere e lavorare in un paese sereno, normale e tranquillo E lei, «L’ambiente è dominato da pochi violenti che girano armati e molti subiscono Io ho fatto il mio dovere e non ho paura» ecco lò'articolo intervista tratto dala nuova sardegna del 11 novembre
<< ORUNE. Pina Paola Monni ha la sua ricetta apparentemente molto semplice per trasformare Orune in un posto «sereno, normale e tranquillo» dove poter vivere e lavorare: «Il paese rinasce se parla, invece muore se tace». E lei questa strada l’ha imboccata con un indubitabile coraggio: al processo per l’uccisione del fidanzato Pasquale Coccone e dell’amico Amerigo Zori ha puntato il dito contro l’unico imputato in aula. Lei ha parlato, ma molti compaesani - testimoni del delitto - non ricordano o non hanno visto niente. E’ la «cultura del silenzio» dice in una lunga intervista alla Nuova. Non perdona ma non chiede vendetta, la scorta non la vuole e denuncia: il paese è in mano a pochi violenti che vanno in giro armati. Ormai non esce più, non si mostra in giro ma le minacce non le fanno paura. Pina Paola Monni è una ragazza semplice, gli occhi neri pieni di luce. Con le mani poggiate sulle ginocchia flesse, esterna un piccolo grande desiderio: poter vivere, passeggiare, lavorare “in un paese normale, sereno, tranquillo”. Usa questi tre aggettivi uno dopo l’altro conversando a testa china, nel primo pomeriggio, nella sua casa profumata da rose gialle e rosse tra i lecci di “Su Pradu”, l’acropoli verde che domina Orune e spazia nell’orizzonte fino al mare. Il cielo è pulito, neanche una nuvola, cielo blu, blu sardo. Parla guardando la foto del fidanzato, ucciso con un suo amico la sera della Domenica delle Palme 2004 in un bar pieno di gente, nella piazza centrale del paese, quella del mercato, piazza Lanfranco Latino, eroe orunese della prima guerra mondiale. Ma nessuno ha visto. Nessuno ha parlato, tranne uno dei due assassini. Ha parlato e parla lei, donna sarda dell’anno. È intelligente, non veste i panni dell’eroina (“mi sento solo una ragazza normale”). E si chiede: “Non è normale onorare col ricordo un fidanzato ucciso dalla follia e che verso di me era pieno di tenerezze?”. Parla con i magistrati e conversa con i cronisti. Accetta il flash di una macchina fotografica. Qualche giorno fa il prefetto di Nuoro, Antonio Pitea, è venuto a portarle la solidarietà delle istituzioni. Un gesto ricco di significati civili, siglato da un uomo dello Stato, nel silenzio inquietante di altre istituzioni, di altri pulpiti, di tanti professionisti. Pina Paola parla serena e decisa avanti alla mamma che ne apprezza ogni gesto, ogni riflessione. Non porge l’altra guancia. “No, non perdono, non si può perdonare chi uccide un uomo, chi stronca una vita”. In tre ore di colloquio mai evocata la parola vendetta. La giustizia è quella pubblica, non quella privata, da Far West. Parla piano, quasi sotto dettatura: “Io accetterò le decisioni dei giudici, dovrebbe accettarle sempre tutto il paese. Il processo è in corso e con la sentenza, per me, calerà il sipario su un dramma assurdo che ha ferito ancora una volta Orune, lo ha riportato in negativo alla ribalta della Sardegna. In me resterà il disprezzo a vita verso chi ha compiuto un atto così vile”. Motiva questo suo comportamento: “Credo che occorra parlare sempre: l’uso della parola non uccide, l’uso della pistola sì. Orune rinasce se parla, muore se tace”.Sembra di vedere e sentire Juliette Binoche, l’attrice francese che ha interpretato “Niente da nascondere” del registra austriaco Michael Haneke. E come in quel film anche qui, tra Nunnàle e Sant’Andria, si capisce che la donna nuova della Barbagia ha una forza e una passione che l’uomo forse non ha. Anche qui “la verità” diventa “la cosa più importante, senza paura”. Orune - coperto ormai dalla nebbia delle prime ore della notte - è sotto choc perché Pina Paola Monni ha creato per amore un evento storico, ha frantumato il tabù dell’omertà complice, ha sbriciolato una muraglia a tenuta stagna di silenzi dettati da un codice più barbaro che barbaricino. Perché oggi Orune non è un paese normale, né sereno, né tranquillo. Non lo è mai stato dal dopoguerra. Si può vivere bene, si può sorridere tra case e pascoli dove la vita è scandita dai rintocchi a lutto delle campane a morto? Nella piazza del Comune freddano a fucilate una mamma che va a prendere il figlio al bar. In campagna uccidono un pastorello di 14 anni com’era successo il 19 luglio del 1971 a Giovanni Gattu che badava alle pecore sfogliando Topolino sotto una quercia in un prato di primule bianche. È sereno un paese dove padre e figlio vengono decapitati e tre fratelli massacrati da uno spavaldo squadrone di morte? È normale che a Capodanno, come avvenne tra il ’91 e il ’96, si sparino migliaia di colpi e le strade siano pavimentate di bossoli? È normale calo demografico o c’è dell’altro se gli abitanti negli Anni ‘50 erano seimila, 4.600 nel ’70 e oggi ridotti a 2.860, anzi a “2600 residenti”? Negli anni ’50-‘60 alle elementari rispondevano all’appello 975 bambini in 34 classi, oggi gli scolari sono 123 divisi in nove classi. È normale che un paese - anche nella Sardegna dello spopolamento delle zone interne - si dissolva per la fuga dei suoi abitanti che vivono sotto una cappa di paura e varcano il Tirreno per cercare la nuova terra promessa all’estero o nei casolari della Toscana, nelle colline del Montefeltro o della Maremma? Pina Paola Monni ha 22 anni. Capelli lisci neri, maglioncino grigio, voce composta ma decisa. Porta all’anulare una fedina “regalata da Pasquale”, al medio un anello rosso-melagrana “regalato dalla famiglia di Pasquale”. Dal girocollo pende un filo di catenina in oro. Poche parole incise, come usano i fidanzati: “Pina Paola e Pasquale per sempre”. Si conoscevano di vista ma si erano frequentati dal giorno della festa di Sant’Isidoro 2003, a fine maggio. Possiamo uscire stasera? “Gli ho risposto di sì, mi aveva accompagnato a casa in macchina”. Poi tanti altri incontri “quando lui rientrava dal lavoro, manovrava l’escavatore di un cantiere edile, facevamo lunghe passeggiate in macchina, dopo qualche settimana il primo bacio, sotto un leccio, qui, vicino a casa. Lo presento ai miei genitori, lui mi porta dai suoi, eravamo felici, insieme stavamo bene, mi copriva di carezze”. Oggi Pasquale Coccone avrebbe avuto 24 anni. Era nato in un’altra famiglia normale di Orune, figlio di ziu Peppinu, pastore di pecore e di zia Pietrina Zidda. Abitava in via Isonzo, rione “Punteddone”. Un hobby su tutti, i cavalli: “Aveva comprato un purosangue baio da corsa, si chiamava Nitèo”. Una passione che sfocerà nella tragedia. Una fucilata in gola contro il povero Nitèo. “Pasquale sa subito chi ha sparato sul cavallo, lo cura e Nitèo si salva. Poi lo vende. Ne acquista un altro, lo teneva a Chilivani. Con i cavalli partecipava alle sfilate del Carmelo, a quella de “Su Segnore”, per Corpus Domini. Gli piaceva il trotto, il galoppo, le quadriglie. E quando era in groppa, sorridente nel tenere le briglie e nell’abbellire Nitèo con fiori bianchi e rossi sulla criniera, si sentiva felice”. Era felice anche la sera della Domenica delle Palme. Pina Paola ricorda quel giorno, era una giornata più londinese che orunese, cielo grigio. Di mattina Pasquale va a casa, a Su Pradu, e la porta in chiesa. Lui esce con gli amici. Dopo la messa a pranzo a Bitti, dalla nonna materna di Pina, Paola Bocco. C’era tutta la famiglia, allegra. Da nonna Paola fino alle quattro e mezzo del pomeriggio, poi a Sa Matta, all’ovile del padre di Pasquale. Ci si fermano fino alle sette. Tornano in paese, lui va casa per fare la doccia, lei lo attende per strada. Si incontrano di nuovo, fanno qualche passo insieme, lui entra da solo al bar 2000. Pina Paola - raccontano gli atti processuali - nota due giovani armati, Alessandro Sestu e Mario Pala. Uno di loro aveva sparato contro il cavallo di Pasquale. Dopo qualche minuto sente alcuni colpi d’arma da fuoco. “Mi si gela il sangue, tento di entrare al bar, mi viene impedito, vedo uscire tante persone, ma Pasquale no. Urlo il suo nome”. Cerca ancora di entrare. La bloccano. “Capisco che Pasquale è stato ucciso, è stato ucciso anche un suo amico, Amerigo Zori”. Vede Mario Pala che col calcio della pistola “infierisce” sul corpo di Amerigo. Continua a urlare. “Mi portano a casa, poi corro all’ospedale di Nuoro dove trovo Pasquale morto”.-Perché ha deciso di parlare? “Era la cosa più giusta che potessi fare secondo la mia coscienza”.-Ha paura? “No, ho fatto il mio dovere di fidanzata e di cittadina”.-Da poco quelle scritte sui muri contro di lei, piene di offese. “Ho saputo ma l’ho messo nel conto. Sono sempre più convinta di aver fatto bene a parlare”.-Il paese le è stato vicino? “Direttamente no, indirettamente sì”.-Come passa le sue giornate? “Ormai non esco più da casa, non mi piace l’ambiente del mio paese”.-Come è questo ambiente? “È dominato da poche persone violente che incutono timore sugli altri onesti e rispettosi. Vorrei che Orune vivesse tranquillo e dimostrasse agli altri paesi che cosa siamo in positivo. L’ambiente, lo voglio ripetere, è condizionato da pochi prepotenti che girano armati e molti subiscono. Occorre reagire. In altri paesi c’è stato un mutamento, da noi , e mi dispiace perché vorrei vivere nel mio paese, ricco di intelligenze, di laureati, di donne creative”. La mamma di Pina Paola è Maria Antonietta Ruiu, lavora come ausiliaria all’ospedale “San Francesco” di Nuoro. Voleva studiare ma a casa non c’erano soldi. Sposata con Salvatorangelo Monni, noto Baddòre, pastore di pecore a “Serra ‘e mesus” verso Nule, ha altri due figli: Pietro, di 16 anni (lavora in un cantiere edile) e Nina che studia al liceo intitolato a un grande sardo, Michelangelo Pira. Dopo le scuole medie anche Pina Paola frequenta lo scientifico di Bitti. Si ritira dopo il secondo anno (“mi aveva infastidito la bocciatura, non ritenevo di meritarla”). Nel 2000 apre un negozio di abbigliamento nel paese, in via Andrea Chessa: “All’inizio gli affari giravano, dopo tre anni sono costretta a chiudere”. E poi? “E poi a casa, ad ascoltare musica leggera e classica, guardo la tivù, leggo Sergio Atzeni, mi piace molto Stephen King, ho riletto due volte Il miglio verde. In estate vado a fare la stagione negli hotel di Orosei, e poi di nuovo a casa. Quando c’era Pasquale uscivo spesso, andavamo a Nuoro e Bitti a mangiare in ristorante o in pizzeria, adesso sto qui. Sola. Con i miei genitori e i miei parenti”. La casa è all’ingresso del paese, sulla vecchia strada per Nuoro, quella della casermetta di Sant’Efisio. È nel rione dov’è sorto il campo sportivo, prima del bivio che porta a Bitti. Un rione da residence, belle case con giardino, ci abitano cinquanta famiglie. All’ingresso vi accoglie un cartello di “Benvenuti nell’area leader II Gal delle Barbagie”, trovate ragazze che fanno trekking, sentite i campanacci delle pecore al pascolo e le grida festose di giovani atleti che si allenano nel campo di calcio. La casa di Pina Paola è ombreggiata da un agrifoglio verdissimo, tanti alberi da frutta, una fitta siepe di piracanta con le bacche rosse e gialle. Una casa normale, all’ingresso c’è il padre che sta rientrando dall’ovile. Pina Paola è nella sala da pranzo dove accoglie gli ospiti, dove ha ricevuto il prefetto. Qualcuno le chiede se accetterà la scorta che le è stata proposta. “No, io non la voglio. Ringrazio il dottor Pitea per le attenzioni che ha avuto ma io sono una ragazza di 22 anni, voglio potermi spostare senza dover essere di peso a nessuno. Io so di avere infranto alcune regole ma - lo ripeto - l’ho fatto in piena coscienza. Perché dovevo star zitta se ho visto chi ha sparato il mio fidanzato e l’amico?”. Nella stanza tante foto alle pareti: spiccano alcuni ingrandimenti con Pasquale cavallerizzo. Sul piano del comò altre foto di momenti felici, lei e lui abbracciati, lei e lui che si baciano, e poi il luttino con una scritta scelta da Pina Paola: “Guardando il cielo vedremo tante stelle, ma una sola la riconosceremo con il tuo sorriso immenso”.Il processo, al palazzo di giustizia di Nuoro, è in corso. Uno degli assassini - Alessandro Sestu - ha confessato. L’altro, Mario Pala, è latitante. La confessione di Sestu non avrebbe dovuto convincere i giovani presenti al bar 2000 a testimoniare? Pina dice: “Sì, potevano parlare, le loro dichiarazioni avrebbero fatto solo da cornice. Ma qui non si parla per costume”.-Che cosa vuol dire “per costume”? “Vuol dire che così è sempre stato. Ma con il silenzio ci ritroviamo con un paese vuoto e triste, dove le mie coetanee hanno paura di uscire e di parlare. Io mi sono comportata spontaneamente, ma è vero che ho avuto poche manifestazioni di solidarietà. Ciò non è successo per mancanza di rispetto né verso la mia famiglia né verso quella di Pasquale e Amerigo. Qui la gente ha paura, perché tutti sappiamo che nel paese ci sono molte, troppe pistole”.-Proprio nessuna solidarietà? “Ha preso posizione Bachisio Bandinu, il professore-antropologo di Bitti. E ha detto a Rai3 parole sagge. Il parroco di Orune, don Fenudi, dall’altare ha detto: vigliacco chi ha visto e non parla. Non mi sembra che quelle parole siano state ascoltate. Poi poche altre manifestazioni di solidarietà tranne il commento di qualche giornalista nuorese e di Giulio Angioni. Ma il paese - quello delle campagne e quello delle professioni - hanno taciuto”.-Continuerà a vivere a Orune? “Sì, perché credo che questo paese prima o poi reagirà. Non credo che i bambini di oggi vogliano vivere in un paese dove di sera scatta il coprifuoco. Vorrei che i bambini di oggi possano vivere in un paese normale, sereno, tranquillo. Se tutti parlano, se tutti accettano la legge dello Stato e non quella privata, Orune può rinascere”. E forse in qualche casa vuota tornerà la vita.Pina Paola Monni vorrebbe vivere e lavorare in un paese sereno, normale e tranquillo >> Sempre dallo stesso giornale un articolo che descrive bene il clima di orune e di quelle zone dove in particolare dal 1950 più di 90 delitti: il sangue chiama vendetta in una spirale che pare inarrestabile e porta a chiedersi in luce del gesto coraggioso di Pinna Quanti morti ancora perché il paese sia pacificato? e che neppure l’impegno degli Anni ’70 ha piegato i violenti << ORUNE. Negli anni Settanta era stata la cooperativa teatrale “Antonio Pigliaru” a tracciare la strada del palcoscenico e della recitazione per tentare di esorcizzare la vendetta. Attori e attrici di Orune, di primo piano, espressivi, avevano portato in scena “In nome del padre”, un delitto come tanti, l’abuso di alcool, il canto delle prefiche (“ana mortu Antoni, coro meu”). Era un no corale alla vendetta, alla faida. Fu un successo in tutta l’isola con una regista, Pina Càmpana, che amava il suo paese più di se stessa. Il teatro approdò nelle scuole, lassù, a “Cuccuru ‘e teti” dove erano arrivati attori nazionali ed esteri, con testi sardi, nazionali ed esteri, ballerine di danza classica, giocolieri. Sindaco era un medico comunista, Pietro Pala. Diceva: “Dobbiamo cambiare pian piano la cultura quotidiana: portare i giovani in biblioteca, allontanarli dai bar, dare ai giovani un libro, togliere le pistole da ogni casa”. E ancora: “Dobbiamo chiedere alle mamme di educare i figli. Ogni giorno”. Nacque la biblioteca comunale Antonio Pigliaru, dietro il municipio di Piazza Remigio Gattu. Tornarono altri spettacoli teatrali, ce ne furono alcuni itineranti, di notte, per le strade del paese dove spesso soffiava “su ventu malu”. Qualcuno aveva paura di quella sfida, ma fu vinta. E fu una festa, un trionfo. Si capì che si poteva camminare sicuri tra viottoli illuminati da fiaccole. Se tornava l’ombra dei delitti, col coltello o con la doppietta, in aperta campagna o tra i flipper di un bar, si convocava il Consiglio comunale e si discuteva in pubblico. Intervenivano Mario Melis, presidente della Regione ed Emanuele Sanna, presidente del Consiglio regionale. Il vescovo, monsignor Giovanni Melis, predicava da sacerdote invocando la pace. Certo. Molti tacevano. Molti disertavano. Ma l’istituzione, la politica svolgeva il suo compito. Civico e civile. Non è bastato. Perché i delitti sono continuati come prima e peggio di prima. In campagna e in paese. E non sono state risparmiate le donne. Nel 1971 - per stare alla cronaca più recente - uccidono una mamma che non voleva che il figlio stesse al bar a ubriacarsi. Si chiamava Domenicangela Senes. Povera donna, trovò la morte in piazza. Perché? Perché voleva spezzare la catena alcool-pistola-delitto-faida. Non glielo avevano perdonato. Un anno dopo, il 30 luglio, ammazzano Antonietta Goddi e Pietro Tolu, erano in via Asproni, rione Parraghine. E chi dimentica quel fiore di ragazza - Maria Teresa Moni - assassinata la notte di Capodanno del 1977 sulla porta di casa? Aveva tredici anni. A novembre del ’90 massacrano di piombo una ragazza di 26 anni, Giuseppina Sanna Pirrolu. Risparmiano il padre “per fargli assaporare il lutto, non l’hana mortu pro intènnere prus su dolore”, spiegò un orunese a un cronista. Dopo Giuseppina ammazzano anche un fratello: rientrava dalla festa di nozze della sorella. Quanti altri delitti? Dal 1950 a oggi ne sono stati commessi 92, quasi due all’anno. Con periodi di terrificante recrudescenza. Sei delitti nel 1984 (due fratelli Deiana, un Mula, un Sanna, un Malune, uno Zidda), altrettanti nel 1989 (ancora un Deiana, Vargiu, tre fratelli Coccone, un altro Malune) e così l’anno successivo (tre Chessa, Busia, Moreddu e Pirrolu). E poi le croci sui Baracca, Arridu, Pittalis, Montesu, Deserra, Burrai, Mangia, Siotto. Come dire che in ogni famiglia c’è stato un morto ammazzato. Deve essere una catena senza fine? Tornano alla mente alcune frasi di un gigante della dottrina forense nuorese, l’avvocato Gonario Pinna. Conversando nel 1967 con alcuni universitari durante la pausa di un processo in Corte d’Assise a Perugia, aveva parlato di alcuni centri del Nuorese: “In Barbagia più di un paese ha saputo superare i drammi ereditati dal passato. Le tragedie, le faide avvengono dove regna la prepotenza, dove l’ospite è guardato con sospetto, dove il carabiniere o il poliziotto sono visti come nemici”. Gonario Pinna difendeva alcuni pastori di Orune. Di Orune - e di un altro paese oggi forse pacificato - parlò: “Occorre il ricambio dei globuli rossi. Orune da solo non ce la farà mai, ha bisogno di innesti buoni”. Pinna, che aveva studiato in Germania, aggiunse: “Bisogna portare a Orune i pedagogisti di Heidelberg e farli vivere lì. E siccome gli orunesi sono intelligenti capiranno che cosa vuol dire il confronto”. Tornare alla terapia di Gonario Pinna il sociologo sarulese? Tornare alla ricetta più semplice di Pina Paola Monni che invita tutti all’uso della parola per uscire dalla notte nera della vendetta? Certo è che a Orune le migliaia di onesti hanno il diritto di vivere in un paese “normale, sereno, tranquillo”.(g.m.) >> Speriamo che sia il primo esempio perchè è così poco usuale che qualcuno "parli" e abbai un coraggio cosi grande che bisognerebbe scriverne ogni giorno.