non esiste la storia muta . per quanto le diano fuoco . per quanto la frantumini , per quanto la falsifichino , la storia umana si rifiuta di tacere
Eduardo Galeano
per chi volesse farsi un ulteriore idea ecco alcune delle recensioni ottenute
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
non esiste la storia muta . per quanto le diano fuoco . per quanto la frantumini , per quanto la falsifichino , la storia umana si rifiuta di tacere
Eduardo Galeano
per chi volesse farsi un ulteriore idea ecco alcune delle recensioni ottenute
«Quando ho saputo che sarei andata a insegnare a Pomezia, sono stata a vedere la scuola con mio padre. Troviamo il collaboratore, gli spiego che sono la nuova maestra. Lui, molto gentile, ci fa entrare, ci racconta come funziona la scuola, giriamo per aule e corridoi e io lo saluto dicendo che tornerò nel giro di qualche settimana. Quando ho preso servizio vedevo gli insegnanti un po’ cauti nei miei confronti. Una volta entrati più in confidenza mi hanno detto che il collaboratore aveva detto loro che parlavo a stento italiano».
Le è mai capitato un episodio spiacevole con i colleghi?
«Tempo fa c’era una collega che durante il collegio dei docenti mi diceva: “Tu come la pensi, cioccolatino?”. Le sembrava di usare un vezzeggiativo. Le ho fatto notare che se voleva usare un tono affettuoso avrebbe potuto chiamarmi con un diminutivo: Rahmuccia, casomai. La collega si è offesa».
Aneddoti, ricordi, ferite di una maestra nera, per di più con le gambe rese incerte dalla poliomielite. Rahma Nur è appassionata di poesia, ha scritto racconti e saggi, l’ultimo nell’Alfabeto della scuola democratica (Laterza, a cura di Christian Raimo). E’ diventata insegnante per caso e per necessità: «Non era il mio sogno: studiavo lingue e volevo viaggiare, scrivere e fare l’interprete, però ho passato il concorso, volevo essere indipendente e avere un lavoro. C’erano già state troppe lungaggini».
Non aveva cercato altri posti?
«Avevo provato a fare qualche colloquio ma sono una persona nera e con disabilità. Mentre studiavo sono stata presso una signora che mi chiamava la sua “dama di compagnia”».
Lei l’ha avuta dura. Ritiene che i tempi siano cambiati?
«Ho vissuto momenti davvero tristi e difficili. Nel collegio dove ho fatto le superiori mi sono sentita sola e non capita. Gli assistenti mi dicevano: perché non torni nel tuo Paese? Una volta risposi a una di questi assistenti, allora ero più coraggiosa… Le dissi: siete voi che siete venuti nel mio Paese in Somalia, a farci colonia».
E oggi?
«Oggi ci sono più persone che approfondiscono: si parla di più di antirazzismo, antiabilismo, femminismo. Sono persone che studiano e si documentano. Dall’altro lato però vedo che non ci si vergogna più di essere definiti razzisti, anzi, ci sono molti che si sentono orgogliosi di dire: "questi non li voglio qui nel mio Paese". Sono persone che hanno paura di affrontare questi temi perché non hanno gli strumenti per capire e superare i pregiudizi.
E i bambini?
I bambini sono più curiosi che paurosi. I miei studenti sono più preoccupati perché io non posso accompagnarli in gita o al campo scuola visto che non ci sono strutture accessibili. Quando tornano hanno pudore a dirmi che si sono divertiti, perché sono tristi per me. Purtroppo, le scuole non sono organizzate per gli insegnanti disabili. Ma loro i bambini mi vedono come persona, mi disegnano con la mia carrozzina blu piena di stickers, per loro è normale».
Lei, avendo vissuto tra due culture, porta in classe qualcosa di diverso o anche di più di altri suoi colleghi?
«Credo di sì. Per esempio, oltre ai nostri autori classici faccio conoscere sempre poeti e poetesse di lingua inglese non solo europee. Ho fatto con i bambini lavori sulla poesia afroamericana, o su Mahmud Darwish con la poesia “Pensa agli altri”; mi piace molto Nicky Giovanni, una poetessa e attivista americana che è appena scomparsa. Un altro progetto che i bambini hanno amato molto è quello sulla poesia “Homesick blues” di Langston Hughues: l’abbiamo ascoltata letta da lui, abbiamo provato a tradurla, ci abbiamo messo la musica, il blues. Bellissimo… Ma faccio anche Ungaretti».
Chi le ha dato una mano nei momenti di difficoltà?
«Ricordo due insegnanti. Adriana è stata la mia maestra a Roma: diceva alla mia mamma che non dovevo stare lì nell’istituto, perché ero super, capace e sensibile. Ma io avevo bisogno di cure, della fisioterapia e non c’era alternativa. E’ stata la prima a credere in me e a farmelo capire. Poi ricordo con affetto la prima collega che mi ha accolta e sostenuta, Carmela Crea. Temevo di non essere in grado di entrare in comunicazione con i bambini. Poi ho capito che, se io non avevo paura, loro mi avrebbero visto soltanto come colei che ama il proprio lavoro e ama trasmettere curiosità e amore per il sapere.
E ora come si trova in classe?
«In classe sto bene, è il mio luogo sicuro e spero sempre lo sia anche per i miei studenti ma siamo molto soli: se hai un gruppo non omogeneo di studenti formato da italiani, neoarrivati, seconde generazioni devi diversificare anche le attività, dividendo gli studenti in gruppi. Bisognerebbe potenziare l’insegnamento dell’italiano L2, non in orario extrascolastico, ma dentro la scuola, per dare a tutti la possibilità di lavorare insieme anche facendo cose diverse. Trovo poi che si tenda a non dare importanza all’acquisizione degli strumenti culturali, alla capacità di pensare criticamente. Ci chiedono concentrarci sul fatto che lo studente deve essere inserito nel mondo del lavoro: ma questo viene dopo, prima bisogna imparare a imparare e poi è possibile scegliere la propria strada».
E le sue colleghe, lei come le vede?
«Ci sono tantissime insegnanti sensibili alla diversità culturale: cercano di conoscere le realtà che hanno in classe, di capire la cultura e la religione. I testi sui quali formarsi ci sono, ma in generale in Italia prevale la paura della diversità: è più facile chiedere ai bambini di omologarsi e assimilare la nostra cultura. Ma lo studio della storia e della cultura è già previsto: la questione è come aprirsi anche noi agli altri, alle alterità che abitano le nostre aule».
E come si fa?
«Per cominciare dobbiamo saper pronunciare bene i nomi dei nostri alunni: saper dire bene Mohamed o Jasmine è un primo passo per creare incontro, chiedere al mio alunno che lingua si parla a casa, che cibo si mangia, quali sono le feste. Creare dei momenti in cui festeggiare anche le feste degli altri: lei ha mai sentito parlare della festa della primavera in Romania, per esempio? Da qui parte l’integrazione o meglio “l'accoglienza nelle differenze”, dal riconoscere i nostri alunni per aprire un dialogo. Siamo noi adulti, noi insegnanti, che dobbiamo aiutarli: se non siamo pronti noi, come possono essere pronti loro a vivere serenamente?»
Se potesse, che cosa cambierebbe nella scuola?
“Semplificherei. Ci sono troppi progetti che non portano a nulla, toglierei i soldi a quei progetti e li userei per far funzionare bene la scuola, per gli arredi e per la sicurezza”.
P.s
mentre leggendo i commenti a tale notizia non ho saputo controllarmi ed ho risposto a questo commentoi idiota e fuorviante
Franz Pier11m
Ma potrebbe andare in africa la c e tanto bisogno di insegnanti, invece di stare qui a dire stupidaggini.
@Franz Pier perchè invece non ci vai tu in africa . coi capisci perchè si fugge e si corrono rischi per venire qui e poi ne riparliamo . scusa dove sarebberoi le stupidaggini che dice , elencale grazie
scusate lo screenshot ma oggi non ho ne tempo ne voglia d'estrapolarlo dal pdf . Eccovi le puntate precedenti
Sui presunti costi interviene pure il presidente della Società speleologica italiana Sergio Orsini: «Non paga assolutamente il cittadino perché tutti gli speleologi sono assicurati». Sempre Orsini chiarisce che la speleologa e il suo gruppo stavano ricostruendo il percorso sotterraneo dell’acqua: «È importante — precisa — anche per capire se subisce inquinamenti».«Si può essere speleologi per spirito d’avventura e per altri mille motivi — riprende Guiducci —. Ma la speleologia è prima di tutto ricerca e studio». E cita esempi concreti: «In una grotta è possibile osservare l’andamento di una faglia, studiare il modo in cui si è formata migliaia di anni fa. All’aperto tutto questo non è possibile, perché la superficie è alterata dagli agenti atmosferici».
A cosa giova tutto questo? «Ci può dare molte informazioni anche a livello antisismico». Le analisi degli speleologi (Ottavia Piana e altri otto suoi compagni d’esplorazione sabato avevano iniziato a mappare un chilometro di galleria fino a quel momento ignota) possono fornire indicazioni utili anche a prevedere gli effetti della siccità: «In alcune grotte il livello dell’acqua può variare di decine di metri — conclude Guiducci —. Conoscere le falde, il percorso dell’acqua nelle montagne, come si modificano i bacini durante le stagioni è interessante per chi deve gestire la distribuzione dell’acqua pubblica».
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non sono contro i fast food o cibo spazzatura in quanto da piccolo ( i sono cresciuto negli 80 \90 influenzato dalla moda dei paninatri e dalla cultura drive in e ella scarsa conoscenza alimentare )
e ora , anche se quasi zero per motivi di salute e perchè educato \ fornmato sia dai miei genitori e amici vegetariani \ vegani e dai film :Ora dopo qiesta premesa veniamo al post vero e proprio
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