4.7.05

non etichettatemi sono un cane sciolto REPRISE

lo potete  anche  capire  da  questo mio articolo le cui biografie   e acune  delle  foto  sono prese da  questo bellissimo sito   http://canisciolti.info
Sulla parete della scuola di Barbiana, c’era scritto: “I care - Me ne importa, mi sta a cuore”. “Ho imparato - ha scritto don Lorenzo Milani ( foto  in basso  ) che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Questo atteggiamento etico, questa diffusa assunzione di responsabilità deve da oggi in poi, più di ieri, caratterizzare i comportamenti di tutti coloro che lavorano per l'affermazione di valori radicali di pace, di giustizia, di libertà, di uguaglianza.E la nostra storia è fatta incontri, di strade, di orizzonti e di utopie. Di viandanti e compagni con cui abbiamo diviso e dividiamo il pane, il vino e il cammino. Tu che sei in viaggio, sono le tue orme la strada, nient'altro. Tu che sei in viaggio, non sei su una strada, la strada la fai tu andando. Mentre vai si fa la strada e girandoti indietro vedrai il sentiero che mai più calpestarai. Tu che sei in viaggio, non hai una strada, ma solo scie nel mare. L'utopia è là, all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai la raggiungerò. A cosa serve l'utopia? Serve a questo: a camminare ..E noi voglio che ci sia ancora spazio per i sogni…Queste parole sono il mio e   nostro sogno. Sono la nostra identità, il nostro modo di essere, pensare, lottare. Sono le parole di uomini liberi, di persone che dicono no alla guerra, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, alla mancanza delle libertà, alla distruzione dell'umanità e del mondo. Siamo cani sciolti, senza guinzagli e senza padroni. Viandanti senza casa e senza confini, uomini liberi in cammino verso la libertà. Qual è la velocità del sogno? Non lo so. Dove c'era memoria, oggi c'è oblio. Al posto della giustizia, elemosina. Al posto della patria, un mucchio di rottami. Invece della memoria, immediatezza. Invece della libertà, una tomba. Al posto della democrazia, uno spot pubblicitario. Invece della realtà, cifre. Loro, quelli in alto, ci dicono : "Questo è il futuro che ti abbiamo promesso, goditelo." Questo ci dicono, e mentono. Questo futuro somiglia troppo al passato. E, se guardiamo con attenzione, forse vediamo che loro, quelli in alto, sono gli stessi di ieri. Quelli che, come ieri, oggi ci chiedono pazienza, maturità, buonsenso, rassegnazione, resa. L'abbiamo già visto, l'abbiamo già sentito.I poveri, i diseredati, cioè, l'immensa maggioranza dell'umanità, sono confiscati e relegati. Confiscati della loro dignità, relegati nelle periferie delle grandi città, ai margini dei programmi governativi, negli angoli del futuro che adesso si decide, in alcuni paesi, non nei parlamenti o nelle sedi nazionali di governo, bensì nelle riunioni degli azionisti delle multinazionali. Oggi lo sfruttamento è più brutale come mai prima nella storia dell'umanità, oggi il cinismo è credo filosofico di chi vuole governare il pianeta, cioè, di chi possiede tutto, meno la vergogna. Oggi la guerra contro l'umanità, cioè, contro la ragione, è più mondiale che mai. Oggi la guerra è su tutti i fronti ed in tutti i paesi. Se ieri era un dovere opporsi, lottare, resistere di fronte alla stupida logica del profitto, oggi è semplicemente e assolutamente, una questione di sopravvivenza individuale, locale, regionale, nazionale, continentale, mondiale. La nostra lotta, cioè, il nostro sogno, non finisce. Nel nostro sogno, il mondo è un altro, ma non perché qualche "deus ex machina" ce lo regala, bensì perché lottiamo, nella permanente veglia della nostra veglia, perché in quel mondo sorga l'alba... Dalle montagne del Sudest Messicano  Subcomandante Insurgente Marcos Messico, Settembre 2004


Riccardo Orioles


 IL fondatore con Pippo Fava dell'indimenticabile «I Siciliani», e poi tra i promotori del settimanale «Avvenimenti». Oggi La catena di San Libero è certamente una delle e-zine più diffuse d'Italia ed arriva in moltissimi punti del mondo a portare l'immagine di una Sicilia che non si arrende alla violenza mafiosa, ma che anzi produce cultura e informazione di grande livello. Recentemente, in un'intervista a Girodivite, un'interessantissima rivista siciliana su carta e su Rete, Orioles raccontava delle ragioni che lo hanno indotto a dare vita alla sua e-zine: «Siamo in un momento storico in cui le possibilità comunicative sono tantissime. Bene, la Catena si vuole porre come mezzo di crescita culturale, è un confronto tra persone diverse e un dibattito su alcuni temi proposti da me. Penso che sia una grande possibilità che internet ci offre. Ricevo numerose lettere da tutto il mondo, molte persone mi scrivono quello che pensano, e anche se non condividono il mio punto di vista è molto bello aver scatenato e suscitato una reazione nei lettori. Di norma il giornalista dovrebbe fare questo…». E la Sicilia e l'Italia tutta hanno, oggi più che mai, bisogno di giornalisti coraggiosi capaci di fare ciò che di norma i giornalisti dovrebbero fare. Cercare la verità senza paraocchi e senza sudditanze. La "Catena di San Libero" e' una e-zine gratuita, indipendente e senza fini di lucro.Viene inviata gratuitamente a chi ne fa richiesta. Per riceverla, o farla ricevere da amici, basta scrivere a: riccardoorioles@libero.it. La "Catena" non ha collegamenti di alcun genere con partiti, lobby, gruppi di pressione o altro. Esce dal 1999. L'autore e' un giornalista professionista indipendente.Puoi riprenderla su web, mail, volantini, giornali ecc, purche' non a fini di lucro. Puoi forwardarla ai tuoi amici o   a  chi vuoi  , purchè citi la  fonte  . Trovate al catena    su questi siti  (  è  solo un elenco parziale  )  


www.antimafiaduemila.com                                                                                                                 www.censurati.it
www.carmillaonline.com
www.broderie.it
www.antoninocaponnetto.it
www.cuntrastamu.org
http://www.bellaciao.org
www.girodivite.it
www.articolo21.info
www.centomovimenti.it                                                                                                                                                        www.clarence.com
www.consumietici.it
www.museosatira.it
www.macchianera.net                                                                                                                                                                                                                                              www.freaknet.org
www.itacanews.it                                                                                                                                                                www.nonluoghi.it   
www.megachip.info


e  su   alcune     pubblicazioni  cartacee in particolare  : Antimafia", "Mucchio Selvaggio"                   
                                                                                                                
 Don Andrea Gallo         
  
Nessuno si libera da solo. Nessuno libera un altro. Ci si libera tutti insieme.Il prete rosso, il prete di strada, il prete new global. Don Andrea Gallo è il fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, un'isola di solidarietà che accoglie persone in difficoltà, di qualunque genere: tossicodipendenti, ex prostitute, ex ladri, uomini e donne in transito da un sesso all'altro. La sua celebrità ha raggiunto una dimensione nazionale quando ha tenuto un accorato discorso sul palco dello storico concerto di Manu Chao e ha denunciato i fatti della scuola Diaz e di Bolzaneto in occasione del G8 genovese. Da allora è diventato una vera icona del mondo pacifista che lo vuole sempre in prima linea durante le sue marce. Don Gallo, però, è soprattutto un uomo di Chiesa, profondamente convinto di indossare l'abito talare, e altrettanto convinto di poterlo fare in piena libertà di pensiero e di azione. Un prete angelicamente anarchico. Esprime il suo punto di vista rivoluzionario su temi complessi come la lotta alla droga, il new globalismo, la politica, ma lo fa (ecco la sua straordinarietà) proclamando di sentirsi pienamente dentro il solco della Chiesa cattolica e romana.Chierico rosso, prete comunista, protettore dei tossici. E ancora: amico delle prostitute, dei devianti, dei balordi, dei border line, cioè di quelli che viaggiano ai limiti della società. Un “prete da marciapiede”, insomma, come Bruno Viani, giornalista del Secolo XIX ha voluto intitolare un recente libro-intervista a lui dedicato. Trent’anni fa il parroco don Federico Rebora generosamente aprì le porte di San Benedetto a don Gallo e ai suoi amici, che trasferirono qui sacchi a pelo e speranze postconciliari. Quella che era nata come comunità ecclesiale di base, nel 1975 si costituì in comunità d’accoglienza. Accoglienza di tutti: giovani e vecchi, uomini e donne, italiani e stranieri. Persone, insomma. Da allora qui trovano asilo altri naviganti, naufraghi spesso, salvati da paurose derive, superstiti di tempeste umane e sociali indicibili. Persone con problemi di droga, di alcolismo, di malattia fisica e psichiatrica, di disastro familiare, di abbandono nel mare grande della solitudine e della disperazione. Andrea e Faber Fabrizio è modestamente un anarchico, perché l’Anarchia, prima ancora che una appartenenza, è un modo di essere. Chi sceglie un’ideologia, può anche sbagliare…Chi sceglie i poveracci, i senza voce, i fragili, come uomo, non sbaglia mai. Basta scorrere il libro: donne, prostitute, suicidi, ultimi, zingari...Credo che io e Fabrizio in un certo senso avessimo dei parenti in comune o per lo meno frequentassimo le stesse persone, le stesse storie dignitose e disperate.Fabrizio rimescola le categorie del bene e del male, fino a farne emergere gli imprevisti: le puttane insegnano e i professori vanno a lezione. I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno... I suoi personaggi appaiono ricchi di una fragilità che ce li rende cari (come nel Vangelo di Gesù), personaggi capaci di coinvolgerci e di indurci a cercarli fra i vicoli della Città Vecchia e nelle periferie....Quanti Miché, Marinella, Bocca di Rosa.... In “Anime Salve”, del 1996 Fabrizio canta “...Chi viaggia in direzione ostinata e contraria ...col suo marchio speciale, di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore, di Umanità, di Verità...”. Evangelicamente, potremmo dire, Fabrizio non aveva la presunzione di “indicare la strada”, di trasmettere una sua cultura. Casomai, l’unica presunzione che aveva era quella di riconoscere a se stesso e agli altri la “libertà di scelta”.
Gesù disse ai Discepoli: “Volete andarvene via anche voi?” Anarchico non è un catechismo o un decalogo, tanto meno un dogma! E’ uno stato d’animo, una categoria dello spirito. E’ vero, Faber aveva lo spirito anarchico, lo spirito libertario. A volte, mi piace dirlo, rasentava anche il francescanesimo...Per Faber, amico fragile, l’inquietudine dello spirito coincideva con l’aspirazione profonda alla libertà. “Signora Libertà, signorina Anarchia”, questo libro fa vivere, a chi lo legge, quel sentimento, culturalmente unico in grado di accomunare in una medesima storia, vincitori e vinti, per una liberazione comune. Questo avviene, a volte, anche per un solo momento, riandando ad un solo spazio di una sua canzone...Fabrizio contesta i Comandamenti uno ad uno con il “Testamento di Tito”, ma propone, per ognuno di essi, un suo personale, terreno e schiettamente imperfetto modo di appropriarsene, cioè prendere dentro allo sguardo dell’Uomo quanta più vita possibile, bonificando l’umana pietà del rancore. “Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto…Chi può contestare che “…dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori”??? In questa attuale realtà complessa e triste, ubriachi di tecnologia e consumismo, sarà la poesia a salvarci, nel senso che ha detto Dostojesky. Inoltre, dal Canto, come leggiamo in Vico e Ungaretti, ricomincerà forse la Storia. Ha ragione, allora, Dori Ghezzi: “Fabrizio, ora, è di tutti”.


Fabrizio De Andrè   
"Il massimo della libertà è il potere fuggire da ogni regola precostituita. E in questo senso il folle è libero. Ma il mio non è un elogio alla follia, l'ha già fatto un certo Erasmo. Comunque non capisco come chi esercita il potere non si renda conto di non essere anche lui libero. Chi esercita il controllo sugli altri, infatti, non è libero. Basta vedere come certe madri vanno in apprensione per i figli, perdendo così ogni libertà. Eppure ci sono ancora del matti che si divertono ad esercitare il controllo sugli altri...""Non c'è molta distanza tra certo anarchismo e certo misticismo. L'anarchismo affonda le sue radici nel cristianesimo, visto che il Cristo filosofo è stato il più grande anarchico di tutti i tempi insieme a Socrate. La solitudine a cui inneggio, comunque, non porta all'egoismo ma diventa un mezzo per aiutare gli altri. Credo infatti che chi non sa aiutare se stesso non possa aiutare gli altri...""Mi fa paura questo sistema che considera gli uomini meno importanti dei capitali: tant'è vero che i primi sono molto meno liberi di circolare dei secondi. E' una cosa ignobile e pericolosa...""Non vedo contraddizione: se ho scelto una vita a margine è proprio perché non mi è quasi mai riuscito di conciliare l’immaginario con il reale, i miei desideri con quelli di chi vorrebbe impormene altri. Mi chiedo sempre se sia giusto andare contro i miei impulsi..."Parole d'amore e d'anarchia - Faber raccontato da Fernanda Pivano
I suoi interlocutori, a diciassette anni, erano i compagni genovesi della Federazione Anarchica Italiana di Carrara, senza nessuno che si comportasse da leader. Brassens è stato per lui la conferma delle sue idee anarchiche, ma anche un esempio musicale che gli ha dato aperture tecniche sull’uso della chitarra. Si è ritrovato a inventare tarantelle non prendendo spunto dalla musica napoletana ma dalle canzoni di Brassens, scoprendo solo più tardi, dieci anni fa, che lo stesso Brassens aveva avuto una nonna e la mamma napoletane: cioè, imitando Brassens, imitava un italiano.Brassens a quattordici anni è diventato un suo maestro di vita, che confermava scelte già maturate: era anarchico, viveva su un barcone della Senna; ma non ha mai voluto incontrarlo per paura di restarne deluso. Così, quattordicenne, aveva cominciato a cantare le canzoni di Brassens, ma anche quelle di Aznavour, di Gilbert Bécaud, di Moulodji: solo a diciotto ne ha cantato una sua. Cantava tutte le sere in un locale in piazza De Ferrari e gli davano settantamila lire la settimana, il quadruplo di quello che prendeva un operaio. Già da adolescente era turbato dai problemi sociali suggeriti da Brassens, ma anche da quelli morali che contrastavano con quelli sociali. Ancora otto anni e Fabrizio, poco più che un ragazzo, avrebbe affrontato quello che sarebbe rimasto il suo problema fondamentale, la morale come complesso di leggi istituito dalla classe al potere: già allora ha fatto una critica dei dieci comandamenti della morale corrente contrari a qualsiasi senso sociale. Ancora adesso Fabrizio si accende quando spiega: "E’ comodo dire "non rubare" o "non desiderare la donna d’altri" quando si hanno soldi e concubine". I suoi interlocutori, a diciassette anni, erano i compagni genovesi della Federazione Anarchica Italiana di Carrara, senza nessuno che si comportasse da leader.Brassens è stato per lui la conferma delle sue idee anarchiche, ma anche un esempio musicale che gli ha dato aperture tecniche sull’uso della chitarra. Si è ritrovato a inventare tarantelle non prendendo spunto dalla musica napoletana ma dalle canzoni di Brassens, scoprendo solo più tardi, dieci anni fa, che lo stesso Brassens aveva avuto una nonna e la mamma napoletane: cioè, imitando Brassens, imitava un italiano.Quando, osservando la realtà, si è staccato da lui e dalla famiglia, ha inventato il suo stile: ha inventato De André. Forse senza rendersene conto ha inventato il cantore delle più belle, struggenti, sofisticate poesie — non soltanto canzoni — del nostro tempo. Ha inventato un De André che ha dovuto fare i conti con la sua anarchia poetica che precedeva il Comunismo e i movimenti operaio e sindacale: perché dal momento in cui negli anni Cinquanta aveva preso piede il marxismo, chi non faceva coincidere la Sinistra col marxismo era considerato di Destra alla maniera sovietica; mentre, dice Fabrizio, la differenza tra comunisti e anarchici era che i comunisti si basavano soltanto su Marx e gli anarchici si basavano su Bakunin e Stirner e la critica a Hegel. I comunisti, dice Fabrizio, non sapevano che la guerra civile spagnola era stata perduta dai Repubblicani perché nelle trincee gli anarchici (che costituivano il maggior numero di combattenti) si trovavano a combattere due guerre: quella fuori delle trincee contro i franchisti e quella dentro le trincee coi compagni delle Brigate Internazionali che seguivano Stalin: questo, commenta Fabrizio, un anno e mezzo prima che Stalin, chissà perché, firmasse attraverso Molotov e Ribbentrop il patto di non aggressione con la Germania. Così nei primi mesi del 1936 le armi sovietiche avevano smesso di arrivare al fronte, il che voleva dire che Stalin malgrado tutti i suoi proclami, aveva maggior convenienza a veder instaurato in Spagna l’ordine di Francisco Franco. Le torve, orribili immagini della guerra, le perverse, funeste immagini della politica avevano invaso la dolce baia col sole ormai tramontato. I papaveri rossi della canzone di Piero erano ingigantiti nella mia memoria e forse anche in quella di Fabrizio. Mentre si alzava , ha detto: "Quando è morto Stalin nelle strade della Foce dove abitavo allora c’erano mazzi di fiori con la sua fotografia. E’ la prima volta che ho visto il lutto vestito di rosso". Dal Corriere della Sera, 3 Settembre 1997    << La domenica delle salme gli addetti alla nostalgia accompagnarono tra i flauti il cadavere di Utopia la domenica delle salme fu una domenica come tante il giorno dopo c'erano i segni di una pace terrificante mentre il cuore d'Italia da Palermo ad Aosta si gonfiava in un coro di vibrante protesta.>> dall'omonima canzone 
      


Leo Ferrè                                                                                                                                                                                                                                       Io vorrei misurare il pozzo di San Patrizio delle vostre democrazie. Vorrei immergermi nel vuoto assoluto e divenire il non detto, il non avvenuto, il non vergine per mancanza di lucidità. La lucidità me la tengo nelle mutande..."
Leo Ferré nasce nel Principato di Monaco il 24 agosto 1916. Oggi rappresenta la massima espressione della poesia in musica avendo lasciato un patrimonio artistico immenso tra canzoni, poesie, sinfonie, opere, saggi e romanzi. All'età di otto anni viene internato in un collegio di preti a Bordighera rimanendovi imprigionato fino all'adolescenza . Questa esperienza creerà l'anarchico adulto che racconterà questa storia lacerante nel romanzo Benoit Misère scritto nel '56 e pubblicato nel '70 da Laffont, nell'89 dalle Edizioni Gufo del tramonto, e adesso da Gallimard. Nel 1946 si insedia a Parigi dove prende a cantare nei cabarets mitici di Saint-Germain. E' l'epoca in cui nasce la nuova canzone francese del dopoguerra che in Ferré mostra timbri anarchici e afflati poetici mai espressi prima. Stringe amicizia con gli esiliati spagnoli cui dedica le canzoni: Flamenco de Paris, Le Bateau Espagnol e Franco la Muerte, per la quale non potrà più entrare in Spagna se non dopo la caduta del regime.Frequenta Maurice Joyeux e il gruppo libertario "Louise Michel". Ai libertari dedica la famosa canzone Gli Anarchici. I temi di provocazione libertaria si susseguono incessantemente: Monsieur Tout Blanc contro Pio XII, Mon General contro De Gaulle, Allende contro Pinochet. La trilogia contro la pena di morte vede i seguenti titoli: La Mort de Loups, Madame la Misère, Ni Dieu ni Maitre. Nel frattempo mette in musica i poeti maledetti dell'ottocento francese. Nel '53 va in scena l'oratorio lirico su testo di Apollinaire: La chanson du mal-aimé. Nel '54 scrive e dirige la Symphonie interrompu. Nel '56 pubblica il libro di poesie Poete, vos papier! e negli anni a seguire Testament Phonographe in diverse edizioni arricchite di nuovi testi. Accoglie con fraternità prima il movimento beatnik, poi il Sessantotto. Sulla copertina di "Le Monde Libertaire" proprio nel '68 appare una sua foto con la scritta autografa: Viva l'Anarchia con una grande A come Amore! Nell'83 scrive l'opera L'Opera du Pauvre, forse il vertice massimo della sua espressività. Da vent'anni viveva a Castellina in Chianti con la moglie Maria e i figli Matteo, Cecilia e Manuela. E' scomparso il 14 luglio 1993. Una  sua   citazione  Hanno bandiere nere sulla loro speranza e la malinconia per compagna di danza coltelli per tagliare il pane dell’amicizia e del sangue pulito per lavar la sporcizia. Non sono l’uno per cento ma, credetemi, esistono stretti l’uno con l’altro e se in loro non credi li puoi sbattere in terra ma son sempre in piedi sono gli anarchici. 


Piero Ciampi               
"La morte mi fa rabbia perché non la posso fregare" ripeteva spesso il grande poeta-cantautore livornese. Era il 19 gennaio del 1980 quando il cuore di Piero Ciampi cessava di battere. Aveva soltanto 45 anni (nato a Livorno il 28 settembre 1935), anni spesi a metà fra il bene e il male.Un poeta che trovava in se stesso, nel suo amaro passato e in quello che era il suo imprevedibile futuro, continui argomenti per parlarci della nostra vita, dei nostri problemi, dei nostri sogni, delle nostre fragilità e della nostre fantasie. Di Piero Ciampi, artista dotato in misura straordinaria di profonda umanità, ne fece un bel ritratto un altro grande nostro artista, Francesco De Gregori che, in occasione dell'uscita di "Dentro e fuori" (album doppio che Ciampi pubblicò nel 1975), scrisse: "Piero Ciampi scrive le sue canzoni sulle tovaglie di carta. Alcune, ne sono sicuro, si perdono insieme alle molliche e ai cerchi rossi lasciati dal bicchiere. Altre, invece, quelle che si salvano, te le racconta a tavola, o quando ti capita di dargli un passaggio. Altre ancora, infine, le registra su disco. E queste non sono necessariamente le migliori, né lo rappresentano meglio di quanto non faccia un suo gesto o una sua risata. Eppure bastano questi frammenti così ingenerosi, questa scelta arbitraria e capricciosa, questi graffi di vita a restituirci Piero Ciampi intero e solitario nella sua voglia di essere e nella sua capacità di parlare. Nella noiosa foresta della Gente Muta le sue canzoni sono i sassolini che ci portano alla spianata da cui, con un po' di fortuna, si può vedere un pezzetto di luna. E' facile sbarazzarsi di Piero Ciampi dandogli del poeta, ma non è vero. Ciampi non ha tempo per questo; è troppo occupato a vivere." Un bohemien che resterà ancorato, suonando e cantando, all'alcol, alle elemosine e alle miserie. In una vita breve, senza compromessi discografici e artistici, sregolata da ogni canone "civilizzato", ha prodotto stupende e spesso irridenti canzoni amalgate da un pensiero politico-esistenzialista anti-borghese. Un uomo, un artista, che si alternava tra immagini dolcissime e altre feroci e violente, accompagnate da una voce roca, sporca.Dopo la sua morte è stato sempre più spesso volutamente dimenticato, nonostante gli sforzi di Gino Paoli (che l'aveva aiutato nel pubblicare i primi dischi oltre che a cantare in pubblico alcuni suoi brani), di Fabrizio De André (che ha sempre ritenuto opportuno "pagar pegno" a Ciampi). Un cantautore che prese di mira il benessere economico e il conformismo piccolo borghese non solo con i suoi testi, ma anche con una vita altrettanto coerente. Forse fu proprio questa la "causa" dello sconcertante e ricorrente insuccesso di pubblico .Ha  detto :  <<  Ha tutte le carte in regola per essere un artista. Ha un carattere melanconico, beve come un irlandese. Se incontra un disperato non chiede spiegazioni, divide la sua cena con pittori ciechi, musicisti sordi, giocatori sfortunati, scrittori monchi  >>


Enrico Berlinguer         

...Chiudo gli occhi e penso a te, dolce Enrico nel mio cuore accanto a me, tu sei vivo. Chiudo gli occhi e tu ci sei, dolce Enrico tu cammini insieme a me..."Antonello Venditti, 1991, "Dolce Enrico"
“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spontanee, più turbato che alettato dalla prospettiva del potere, e in perfetta buona fede di cui ci resta un programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese." Indro Montanelli:
Enrico Berlinguer nasce a Sassari il 25 maggio, 1922primo di due fratelli ( Giovanni, il secondogenito, è del 1924) da Mario Berlinguer, avvocato, e Maria Loriga; 1984: il 7 giugno durante un comizio a Padova per le elezioni europee, viene colto da ictus cerebrale. Muore l’11 giugno. Imponenti i suoi funerali. "...I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei programmi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune". "Noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione: e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi dello Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo…" "...La questione morale esiste da tempo, Ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perchè dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.""...Quali furono infatti gli obiettivi per cui è sorto il movimento per il socialismo? L'obiettivo del superamento di ogni forma di sfruttamento e di oppressione dell'uomo sull'uomo, di una classe sulle altre. Di una razza sul'altra. Del sesso maschile su quello femminile, di una nazione sulle altre nazioni. E poi: la pace fra i popoli, il progessivo avvicinamento tra governanti e governati, la fine di ogni discriminazione nell'accesso al sapere e alla cultura..."...Ebbene, se guardiamo alla realtà del mondo d'oggi chi potrebbe dire che questi obiettivi non sono più validi? Tante incrostazioni ideologiche (anche proprie del marxismo) noi le abbiamo superate. Ma i motivi, le ragioni profonde della nostra esistenza quelle no, quelle ci sono sempre e ci inducono a una sempre più incisiva azione in Italia e nel mondo..."
"...Il riscatto e la liberazione dei giovani - degli uomini - presuppone un impegno individuale, della singola persona, il rispetto delle sue propensioni e vocazioni, delle sue specifiche preferenze e aspirazioni personali nei vari campi: ma si realizza pienamente e duraturamente solo attraverso un sforzo collettivo, un'opera corale, una lotta comune. Insomma ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno..."

Tom Benetollo
In questa notte scura, qualcuno di noi, nel suo piccolo, è come quei “lampadieri” che, camminando innanzi, tengono la pertica rivolta all'indietro, appoggiata sulla spalla, con il lume in cima. Così il lampadiere vede poco davanti a sé, ma consente ai viaggiatori di camminare più sicuri. Qualcuno ci prova. Non per eroismo o per narcisismo, ma per sentirsi dalla parte buona della vita...  .
"...Programmi e percorsi, modi e contenuti della "rivoluzione": cari compagni, il mio segretario del Pci, quando mi iscrissi al partito, mi disse di evitare due derive, riformismo e massimalismo. Il riformismo è "niente subito", il massimalismo "tutto mai"... scusate compagni, non mi sento bene..."
Tom Benetollo muore improvvisamente il 20 giugno 2004. Un aneurisma all'aorta e poi un'emorragia. Si era sentito male mentre parlava a un convegno sul pacifismo organizzato dal "Manifesto". Lo aveva soccorso Gino Strada, che era al tavolo con lui. Lo aveva portato al San Giacomo e poi di corsa al Policlinico. Dieci ore sotto i ferri. Inutile. Forse Tom si ispirava al vecchio modello del funzionario di partito: la politica al primo posto e l'"io" all'ultimo. Però se era un funzionario di partito era il più fantastico e moderno funzionario che si sia mai visto. Guardava lontano, gli piaceva il futuro, odiava gli schemi. Se dobbiamo dire i nomi di tre padri del pacifismo italiano moderno, i nomi sono quelli: Lucio Lombardo Radice, Ernesto Balducci e Tom. Due vecchi e il giovane Benetollo che fu il loro allievo prediletto. Sono morti tutti e tre. Tom mi diceva che Lombardo Radice e Balducci avevano lasciato un vuoto incolmabile, che non era mai stato riempito. Adesso anche Tom Benetollo è morto, all'improvviso, a poco più di cinquant'anni, e anche lui lascia un vuoto enorme dietro di se: non sarà facile colmarlo. Tom era una persona rara. Lo dico senza nessuna retorica, e non perché adesso è morto. Tom era un uomo politico di altissimo livello, come pochi, aveva grandi capacità di pensiero, di mediazione, di organizzazione; e aveva una statura morale che lo faceva sembrare quasi un personaggio del passato. Sapete qual era la sua rarità? Questa: l'amore travolgente per la politica, accompagnato dalla più gigantesca riservatezza che abbia mai visto; e da uno spirito che era tutto il contrario del narcisismo. Non voleva mai apparire. Lui lavorava sodo, pensava, costruiva: il momento della pubblicità lo lasciava agli altri, non gli interessava. Conoscete molte altre persone così?Tom Benetollo era un leader, un vero leader. Di quelli che al mercato della politica-politicante valgono poco. A lui piaceva la politica e non l'immagine. La politica intesa come "teoria e pratica" della lotta contro le ingiustizie. Piacevano le idee, il pensiero, e piaceva moltissimo l'azione. Diceva che la politica della solidarietà non ha nessun senso se non è riempita di concretezza, di solidarietà praticata, di stili di vita. Andava controcorrente. E' dura andare controcorrente, anche per un uomo come lui, alto un metro e novanta, con l'anima di ferro e con la scorza dura. Viene da ridere, Tom, a pensare che sei stato abbattuto da una stupidissima arteria sbagliata. Viene da piangere, vecchio, dolce, carissimo Tom, a pensare che non ci sei più.  

Francesco Guccini 


 Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali: parole che dicevano "gli uomini sono tutti uguali", e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via la bomba proletaria, e illuminava l'aria la fiaccola dell'anarchia...>> (da "La Locomotiva")per  chi volesse sapere  di più su di  lui . sulla  sua  discografia ,trovare i suoi testi  e  sui  film a  cui a partecipato  e  i suoi scritti    c'è il  sito del  fans  club   http://www.guccinifansclub.it/

Giorgio Gaber  
 Ma i cani sciolti un po’ individualisti, un po’ anarcoidi, sono gli ultimi utopisti, purtroppo non si accontentano delle elezioni e dei partiti e delle coalizioni, ne hanno pieni i coglioni. Non ce la fanno a delegare se non si sentono coinvolti, sono proprio allergici al potere i cani sciolti. ." Cito  questa  sua canzone   (G. Gaber e S. Luporini - Canzone dell'appartenenza) : <<"Uomini, uomini del mio presente /non mi consola l'abitudine a questa mia forzata solitudine,\ io non pretendo il mondo intero vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero, \ dove un bel giorno, magari molto presto, / io finalmente possa dire: questo è il mio posto. / Dove rinasca non so come e quando  il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.">> Per ulteriori news    http://www.giorgiogaber.org/index2.php  un sito molto  bello e  ben  fatto  che  consiglio  di vissitare 


 

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