5.9.05

Senza titolo 765

Il viaggio come ricerca di se stessi


Molte invenzioni e scoperte, agli inizi del ‘900, cambiano profondamente il modo di vivere e di percepire la realtà. Le distanze si accorciano dopo la costruzione delle prime automobili, aerei e transatlantici, la comunicazione a grandi distanze diviene facile con il telegrafo, la radio e il telefono; si modificano i concetti di spazio e di tempo, dopo la scoperta delle "leggi della relatività" di Einstein.

La scienza non offre più certezze, la relatività domina ogni aspetto della realtà creando disorientamento e insicurezza, angoscia e solitudine. L’unica certezza, per l’uomo contemporaneo, rimane il proprio io, la propria interiorità, indagata e ricercata persino nelle pieghe dell’inconscio.

Il tema del viaggio assume quindi il valore simbolico della ricerca di se stessi, dei meccanismi psichici, dei ricordi, delle emozioni e delle motivazioni dei comportamenti.

Le opere letterarie di questo periodo, più che viaggi a lunghe distanze, descrivono percorsi, spostamenti, perché ciò che è importante non è "il viaggio esterno", ma quello interiore che si svolge nella profondità della coscienza.

Un esempio è il romanzo di Virginia Wolf, "Gita al faro" (1927) in cui l’escursione al faro, programmata fin dall’inizio del romanzo, si presenta come una meta simbolica, densa di significati allusivi: la famiglia Ramsay riesce a realizzare questa gita dopo dieci anni, a causa della guerra e di lutti. Nella descrizione della gita sono inseriti immagini, ricordi, situazioni e personaggi del passato che portano a intrecci fra passato e presente, dilatando la dimensione temporale della vicenda.

Per i viaggiatori delle opere letterarie del ‘900, lo spazio si fa ristretto, tanto più ristretto quanto più tortuoso si fa il loro vagare psicologico ed emotivo.

Essi sono spesso "viaggiatori di città", che, camminando per le strade, sembrano stabilire una singolare relazione tra il paesaggio urbano e la propria interiorità.

Il prototipo di questi viaggiatori è Leopold Bloom, protagonista del romanzo "Ulisse" di James Joyce; egli è un "nuovo Ulisse" nella squallida Dublino dell’inizio del ‘900 che vaga per la città.

Nel romanzo non c’è intreccio, non ci sono avvenimenti, ma solo registrazione di eventi apparentemente insignificanti. Il percorso materiale per la città non ha importanza; ciò che conta sono i molteplici percorsi mentali che si accavallano, si intrecciano e si sovrappongono a pensieri, ricordi ed emozioni.

L’azione si svolge dall’alba alla notte di un solo giorno: uno spazio temporale dilatato fino all’infinito, che giunge a essere simbolo della esistenza, della vita. Ai pochi gesti di Mr. Bloom si alternano, registrati senza alcun ordine logico, i pensieri del personaggio, in una sorta di "monologo interiore"; insieme alle immagini della città, compare un’orda di ricordi disordinati e confusi, di progetti senza sbocchi, di paure segrete.

Anche i personaggi di Italo Svevo, come Zeno Cosini in "La coscienza di Zeno", percorrono l’ambito circoscritto della loro città, Trieste, impegnati in un’incessante analisi interiore. Il romanzo riproduce il fluido scorrere dei ricordi, che non rispetta gli schemi cronologici (prima –dopo), né i rapporti di causa-effetto, alternati agli episodi del presente, visti dall’interno della coscienza del personaggio. La passeggiata notturna in compagnia del cognato (cap. VII ) è un’occasione per riflettere sull’assurdità della vita; Zeno pensa che "la vita non è né bella né brutta, ma è originale. E’ un’enorme costruzione priva di scopo, forse l’uomo vi è stato messo dentro per errore e non vi appartiene."

Il personaggio esprime l’angoscia dell’uomo, privo di certezze e verità, che vive immerso nel fluire casuale degli avvenimenti, privi di nessi logici e razionali.

Il viaggio può essere anche viaggio nella memoria, occasione per un percorso mentale dentro se stessi o per un bilancio della propria vita. E’ ciò che esprime Giuseppe Ungaretti nella lirica "I fiumi" dove la vista del fiume Isonzo richiama, nel ricordo, altri luoghi, ormai lontani, ma cari al poeta:

"…Questo è il Nilo che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle estese pianure

 

Questa è la Senna

e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Alle immagini dei fiumi è legata la consapevolezza di sé, delle scelte morali e intellettuali della vita del poeta.

Il tema del viaggio, anche nel ‘900, continua ad esprimere il parallelismo fra la vita umana e il viaggio stesso, come in "Allegria di naufragi"; il poeta, arricchito di profonda e dolente umanità dopo l’esperienza della guerra, riprende il cammino, spinto dal desiderio di proseguire, di ritrovare se stesso:

"……E sE subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare

dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare

Anche Umberto Saba nella poesia "Ulisse" esprime questa costante spinta al viaggio come ricerca di se stesso e amore per la vita:

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d'onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d'alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l'alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l'insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.

Cardarelli, nella lirica "I Gabbiani" davanti a uno scenario marino, paragona la propria inquietudine al volo senza sosta di quegli uccelli:

"…...ma il mio destino è vivere

balenando in burrasca".

 

1 commento:

compagnidiviaggio ha detto...

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